Fame

Fin dai miei primi anni ho amato la pesca. Il mio primo fiume è stato quello che scorre attraverso il paese in cui sono nato, un paese dal nome strano: Zero Branco. Il fiume si chiama Zero. Le sue acque non sono più pulite come un tempo, quando i ragazzini del luogo vi facevano il bagno, e sono anche meno profonde, ma continua ad ospitare una numerosa popolazione di pesci. A parte qualche luccio, si tratta di pesci non particolarmente nobili: alborelle, triotti, scardole, cavedani, rare carpe. Io amo la pesca con l’esca artificiale, la caccia ai pesci predatori, la pesca di movimento: un lancio qui, uno lì, con lunghe scarpinate sulle rive. Qualche volta, però, mi piace ritornare all’infanzia, e allora canna lunga, ametto, galleggiantino, larvette, e pesca per ore fermo in un punto, tirando su un pesce dopo l’altro. Quasi tutte alborelle, buone da friggere e da mangiare con polenta e radicchio amaro.
Qualche giorno fa, vicino ad un ponte, detto il Ponte del Tasca, mentre pescavo ho avuto un colloquio con un anziano che passava sull’argine, e si è fermato per una chiacchierata. Si è rivelato un lontano parente. Abbiamo parlato di caccia e di pesca, e delle trasformazioni del territorio. Le siepi scomparse, la bellezza svanita, la ricchezza dei contadini un tempo poveri, la scomparsa anche della fame. Perché qui, ancora negli anni Cinquanta, c’era fame, e la gente andava in America. Ora ci sono il radicchio rosso igp spedito in Giappone, le fragole, gli allevamenti di tacchini e maiali, le mercedes degli agricoltori, le piccole aziende e i capannoni come funghi. Mi ha raccontato che negli anni Cinquanta, quando sua madre la sera non aveva nulla per la cena, mandava lui e i suoi fratelli in giro per i fossi col carburo. Il carburo nell’acqua esplodeva, stordiva i pesci che venivano a galla: qualche chilo di carpe e tinche, magari un’anguilla, e la cena era pronta. Tempi lontani, terribilmente vicini. Chi loda i tempi antichi, la civiltà contadina, di solito ignora la fame, o, nella sua sazietà, le attribuisce un significato minimale. Opinioni: semplici e confortanti, nella complessità del mondo.

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3 pensieri su “Fame

  1. Il salto, le modificazioni nello stile di vita (essenzialmente contadino) avvenute negli ultimi decenni è oggettivamente clamoroso. Senza dare giudizi e senza mostrare rimpianti, è un dato di fatto che ci sono stati più cambiamenti negli ultimi 100, o forse 50, anni che non nei duemila anni precedenti.
    Io ho fatto appena a tempo a vedere (anni ’50) arare con i buoi e trebbiare con la “macchinona rossa” ferma cui occorreva portare la messe tagliata, e da cui occorreva portar via i sacchi da 50 chili di grano….
    Mio padre (classe 1913) ricordava bene quando in famiglia (media borghesia professionale ferrarese) le uniche cose che si compravano erano il sale, il caffè, lo zucchero e il tabacco. I vestiti duravano decenni, e la tela di canapa veniva fatta in casa.
    La fame forse non c’era, ma anche in una famiglia che certamente veniva considerata benestante, nulla poteva paragonarsi all’abbondanza di beni che oggi permea la nostra società. Un esempio: nel 1822, un mio bis-bis-bis-nonno, notaio e carbonaro, dalle prigioni austroungariche scrive al fratello a Ferrara, e i due si tengono aggiornati reciprocamente sui raccolti, sulle stalle, e sulla gestione dei beni di famiglia. Appurato che la governante, in assenza del notaio-padrone di casa, sta facendo buona ed onesta manutenzione, dai Piombi di Venezia, il mio antenato autorizza il fratello a elargire alla fantesca -oh munifico regalo !- uno dei tre fazzoletti che sono custoditi nel secondo cassetto….
    Alzi la mano chi di voi sa quanti fazzoletti sono presenti in casa sua !

  2. Chi preferisce quei tempi a quelli di oggi lo fa essenzialmente perchè li ritiene più puri a livello morale. A volte però viene da chiedersi lo siano stati veramente. Io non ne sono così sicuro, anche se mi è difficile esprimere un giudizio in merito essendo nato a fine anni 80.

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