«E’ una legge che fa brindare solo le lobby dei ristoratori e che lascia l’amaro in bocca a chi vede vanificati due anni di sforzi diretti a trovare delle regole giuste e corrette per tutti», protesta Giambattista Scivoletto, amministratore del sito www.bed-and-breakfast.it con 16.000 B&B registrati il 30% dei quali interessati all’home restaurant e fondatore di HomeRestaurant.com. Conferma Cristiano Rigon, fondatore e ceo di Gnammo , la principale piattaforma di social eating in Italia: «Questa legge fortemente voluta da insistenti attività di lobbyng da parte delle associazioni di categoria che non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore”. Dagli operatori del settore arriva un coro di critiche contro le nuove regole introdotte dalla Camera per regolare «l’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant)», ovvero la possibilità di organizzare cene, prenotabili sul web, all’interno di abitazioni private.

Spiega Scivoletto (sopra nella foto): «Vengono imposti tanti e tali controlli e limiti che avremo inevitabilmente alla rinuncia di tantissimi aspiranti cuochi casalinghi, soprattutto quelli che più avrebbero portato lustro ed esperienza al settore dell’accoglienza culinaria domestica. Si pensi, ad esempio, alle nonne, alle mamme o alle zie, prime depositarie della cultura gastronomica tipica italiana, alle prese con le registrazioni sulle “piattaforme digitali” o con i pagamenti in forma elettronica, costrette a dire a chi le chiama al telefono che no, se si vuole assaggiare la parmigiana di melanzane come si faceva una volta bisogna andare sul sito www-punto-punto, prenotare e pagare lì e poi, mezz’ora prima di servire il pasto, collegarsi al sito e dichiararlo, pena multe salatissime».

Rigon (sotto nella foto), invece, offre una doppia lettura. «Da una parte - spiega - è senza dubbio positivo il fatto che esista una norma che regolamenti le attività di home restaurant, in quanto permetterà a tutti gli aspiranti cuochi di sperimentare la sharing economy senza paura di andare contro le autorità. Di contro però, sarebbe stato più opportuno, come prima cosa, normare a livello quadro la sharing economy, negli aspetti condivisi da tutte le attività, per poi scendere, se e dove necessario, a specificare i paletti da mettere nei singoli settori». Ed ora «l’augurio è che il Senato sappia produrre una legge sufficientemente agile e snella, rispondente ai suggerimenti Ue di non promulgare norme che limitino, ma che favoriscano lo sviluppo del mercato del social eating, limando ancora i forti vincoli presenti nel testo approvato oggi alla camera».

In sintesi, bene i pagamenti solo on line, i requisiti sugli immobili, e l’aver rimosso l’obbligo di certificazione HACCP e soprattutto l’aver trasformato in comunicazione digitale la comunicazione di inizio attività in un primo tempo prevista sottoforma di Scia. Pollice verso invece rispetto al limite dei 5.000 euro sui proventi che si potranno ottenere con le attività di home restaurant «Tale forte limite di “profitto” significa non aver compreso il potenziale della sharing economy, ma tutelare incondizionatamente una categoria a discapito di un’altra, misurandola su piani differenti - afferma Rigon -Più adeguata sarebbe stata la proposta, rilanciata da Altroconsumo, di porre limiti sul numero di coperti, metro usato anche per i ristoranti, ma non di fatturato. In questo modo, la legge rischia di andare contro lo sviluppo, contro i suggerimenti della comunità europea, a favore di qualcuno». Altra «grave limitazione della norma è infine il divieto di svolgere l’attività di home restaurant in abitazioni destinate anche ad affitti a breve termine. Così, ad esempio, chi volesse sperimentare, anche solo una volta, l’affitto della propria casa su piattaforme come AirBnb, non potrà più cimentarsi come cuoco su Gnammo, e viceversa: si tratta - conclude Rigon - di limitare la sharing economy, mettendo gli italiani in condizione di scegliere se mettere in gioco le proprie abilità culinarie o utilizzare una stanza in più disponibile in casa».

Il relatore della legge, Angelo Senaldi dei Pd, definisce invece la nuova legge sugli home restaurant è «un intervento necessario che mira a regolamentare un settore, quello dei ristoranti in casa, che si sta sviluppando in modo esponenziale sulla scia della più ampia legge sulla sharing economy. Mira a tutelare sia l’esercente che il consumatore ed è stata scritta rispettando la massima trasparenza, poiché i pagamenti del servizio saranno effettuati in modo elettronico e quindi tracciabile attraverso la piattaforma web che unisce l’esercente che fornisce il servizio di ristorazione al cliente finale. È una normativa innovativa, prima in Europa, che tende a dare impulso alla sharing economy, in linea con la direttiva europea che mira proprio ad incentivare e incoraggiare la sharing economy». Secondo Senaldi non c’è stato nessun cedimento alle pressioni delle lobby, anzi. «La nostra proposta di legge vuole essere un punto di equilibrio fra l’attività degli home restaurant e la ristorazione tradizionale; non vuole fermare il fenomeno degli home restaurant ma nemmeno renderlo concorrente della ristorazione tradizionale, fiore all’occhiello del nostro Paese. Il tetto dell’attività è di 500 coperti l’anno con un introito di 5 mila euro l’anno, numeri che rispecchiano questo intento di equilibrio». E quindi conclude: «La nostra proposta di legge vuole regolamentare un settore in profonda crescita prima che la situazione possa divenire incontrollata e incontrollabile. La legge prevede che i pasti dovranno rispettare i criteri igienico sanitari , in modo da tutelare la salute dei cittadini. No dunque a concorrenza sleale, no a pagamenti in nero e nessuna attività professionale. Solo un piccolo arrotandamento del reddito per chi ama l’attività della ristorazione fai da te e ha la passione per la cucina».

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