Spettacoli

CINEMA

Chantal, modella, attrice e campionessa di Thai boxe: "Sul ring della vita"

Presentato al Biografilm festival il film 'Goodbye Darling, I'm Off To Fight', racconta la storia di una donna che per salvarsi ha deciso di combattere: "Di fronte a te hai il tuo avversario, devi difenderti per forza"

3 minuti di lettura
"La mia vita è stata un combattimento continuo, forse per questo ho scelto la Muay Thai". Non come uno qualsiasi sceglierebbe lo sport della domenica, Chantal Ughi è stata cinque volte campionessa mondiale di Muay Thai. Tutto questo dopo aver fatto la modella, la cantante e l'attrice. "Sì, mi butto a capofitto nelle cose, ma con la boxe è stato diverso, avevo bisogno di qualcosa che mi salvasse". Timida al punto che non diresti mai che ha passato la vita davanti agli obiettivi dei fotografi e dei registi, né tantomeno a combattere su un ring, Chantal Ughi arriva al Biografilm Festival di Bologna per presentare in anteprima nazionale Goodbye Darling. I'm Off To Fight, il film sulla storia della sua vita – o delle sue tante vite – diretto da Simone Manetti.

Chantal Ughi: "Ho scelto la Muay Thai per essere felice"

A vent'anni, nel 2001, Chantal si trasferisce a New York per continuare la carriera di attrice iniziata in Italia con Peter Del Monte, Giuseppe Piccioni e Fulvio Ottaviano. Una volta nell'East Village, però, non essere trascinata dal vortice della cultura musicale underground è impossibile: Chantal inizia a girare video musicali e a cantare in un gruppo, il loro locale di riferimento è il Nublu. Qui incappa in "una storia d'amore distruttiva con un sassofonista tedesco. Era geloso, paranoico, beveva e si drogava. Siamo stati insieme tre anni, ma io non ero felice". È a lui che dici "Goodbye Darling, vado a combattere"? "Sì. Ho sempre avuto lo spirito da crocerossina, speravo di poterlo salvare dal suo destino, ma quella volta ho pensato che era più importante salvare me stessa". Chantal aveva già iniziato con la Muay Thai,"“mi allenavo al piano terra di una palestra di New York. È stato un mio amico a suggerirmi di andare in Thailandia, mi ha detto 'vai, prova a rimettere a posto la tua vita'. Così sono partita". Per un viaggio che sarebbe dovuto durare qualche settimana e che invece si è trasformato in un'esperienza di cinque anni. Probabilmente la più importante della vita di Chantal, sicuramente non la più facile: "oggi un po' meno, ma allora la Muay Thai era uno sport misogino. Nei principali stadi di Bangkok c’erano cartelli che vietavano alle donne di avvicinarsi al ring, in alcune palestre non eravamo neppure ammesse. Nei casi fortunati c'erano due ring separati, ma solo quello per gli uomini era sacro, benedetto dai monaci. Ed è per la tradizione buddhista che equipara la donna al serpente se non possiamo entrare nel ring scavalcando la corda più alta, ma, per accedervi, dobbiamo strisciare sotto quella più bassa". Non le piacciono quegli aspetti del combattimento, ma la sua nei confronti della Muay Thai è una devozione totale, per cui Chantal accetta di condurre "una vita ascetica, in solitudine, per anni. Sempre allenandomi e pregando, evitando la mondanità: ho completamente allontanato computer, cellulari, non indossavo mai vestiti, né tacchi alti. Il mio sogno era acquisire uno stile di combattimento thailandese". Tutto era ripagato dalle sensazioni che Chantal provava durante il combattimento: "la cosa più bella è che è estremamente vero: ci sei tu e di fronte c'è il tuo avversario. Ti devi difendere per forza, non ci sono scappatoie". E dalle vittorie, naturalmente: “il primo combattimento per il titolo mondiale, nel 2008 a Bangkok, è stata un'esperienza incredibile. Era il 5 dicembre, la giornata dedicata alle celebrazioni per il compleanno del re, ho lottato all’aperto davanti a 200mila persone e ai rappresentanti della famiglia reale. Non avevo nemmeno capito di aver vinto, tanto ero frastornata, quando mi hanno sollevato il braccio". E quei momenti Chantal li ha tutti impressi addosso, marchiati è proprio il caso di dire. La sua schiena è coperta di tatuaggi: "sono tatuaggi magici, si chiamano Sak Yant: si dice proteggano dagli infortuni durante i combattimenti e in generale nella vita. Addirittura farebbero sì che i proiettili non ti colpiscano. Ne ho parecchi, ognuno è legato a un ricordo speciale di quel periodo in Thailandia". Dopo cinque anni, però, a causa di un infortunio Chantal non può più allenarsi. Decide allora di tornare in Italia ed è a questo punto che conosce Simone Manetti. “Una mia amica mi ha raccontato la sua storia – ricorda il regista – e mi sono subito interessato”. Manetti inizia a visionare le riprese che Chantal stessa aveva girato durante i suoi anni a New York e poi a Bangkok, e a leggere i suoi diari "scritti in tre lingue diverse. Sono rimasto affascinato, ho capito che c'era altro oltre al cinema e alla boxe". L’occasione allora "per raccontare non di come si arriva a vincere un titolo mondiale, ma di come è possibile curare le ferite del cuore procurandosene altre, reali, sul ring" arriva quando Chantal dice al regista che tra due mesi sarebbe ritornata a Bangkok per giocarsi nuovamente il titolo di campionessa. “Due mesi dopo eravamo in mezzo ai campi di fighter nella periferia di Bangkok. La sfida è stata entrare nella vita di Chantal disturbando il meno possibile". Per Chantal, infatti, si tratta dell'ennesimo momento complicato: deve ricominciare ad allenare il corpo e sta vivendo la fase di rottura di un'altra storia d'amore. "Ero molto concentrata sulla mia preparazione, abituarmi ad avere una troupe che mi filmava quasi 24 ore al giorno è stato difficile. Ma sono contenta di averlo fatto". Chantal ha disputato il suo ultimo match lo scorso marzo, "penso che sia arrivato il momento di prendere una pausa dalla Muay Thai, vorrei tornare a fare l'attrice, mi piacerebbe recitare per Sorrentino o von Trier". E poi lei il suo sogno lo ha realizzato: "You fight like a thai" le hanno detto all’ultimo incontro, "combatti come un thailandese".