Morta travolta da un treno: ma non diamo la colpa alle cuffie

La ragazza investita da un Frecciarossa con tutta probabilità stava ascoltando musica. Ma davvero lo smartphone è peggio della droga?

L'incidente che ha ucciso Lisa Digrisolo - 19 anni, a Milano, nei pressi della stazione Certosa - travolta da un treno mentre aveva le cuffie nelle orecchie, continua a far discutere, specie dopo l'intervento di Paolo Crepet che ha paragonato cuffie e smartphone alle droghe. Anzi, dice lo psichiatra, sono peggio, perché le droghe erano e sono percepite come un male, la tecnologia è sempre un bene, e si fa fatica – in sintesi – a mettere in guardia le persone, specie i giovani.

A quanto sembra, però, la ragazza è stata uccisa da un Frecciarossa mentre stava attraversando i binari: una scelta molto, troppo ardita, cuffie a parte. Non voglio minimizzare i rischi di smartphone e auricolari, ma prima di tutto vorrei scinderli dalla tecnologia: le cuffie accompagnano i ragazzi da molto prima dell'avvento degli smartphone.

Vorrei poi precisare che ascoltare musica con entrambe le cuffie mentre si va in bici o in auto o si guida un camion è perseguibile dalla legge da decenni ed è dunque bene – certamente – imparare a rispettare le regole della strada. Dovremmo estendere l'obbligo ai pedoni? Fin qui i pedoni sono esentati dal divieto perché, certamente, sui marciapiedi si corrono meno rischi che per strada. Un discorso ben diverso – dove le cuffie perdono rilevanza - merita la possibilità di camminare con le cuffie mentre si attraversa col rosso, o mentre si attraversano i binari di una stazione ferroviaria. Se si sceglie di farlo, e addirittura con le cuffie nelle orecchie, ci si sta assumendo un rischio enorme, che appunto però va oltre il problema-cuffie.

Quello che sembra più pericoloso in questa storia è un atteggiamento di così cieca demonizzazione da parte di personaggi influenti come Paolo Crepet. Leggerlo fa venire i brividi: secondo lui, per esempio, Whatsapp è “uno strumento pericolosissimo” perché “per sua stessa natura ci costringe a rispondere subito, non ci permette di concentrarci neppure mentre si guida”. Chiunque abbia usato questa applicazione sa che semplicemente non è vero, e che si può ribattere alla chat subito o dopo due giorni, esattamente come se il telefono suona e noi scegliamo di non rispondere.

Ora, voglio dire, la vicenda della ragazza morta a Milano è una tragedia su cui tutti abbiamo bisogno di riflettere e magari cogliere l'occasione per ripensare il nostro modo di vivere (è verissimo che ci distraiamo troppo, in generale, e con gli smartphone) e quello dei nostri figli. Ma si tratta di incidenti: ci si distrae per un cartellone pubblicitario, per il sorriso di un bel ragazzo, per raccogliere le chiavi che ci sono cadute, per rispondere alle notifiche sui cellulari. Ma demonizzare le cuffie - o la tecnologia in toto - mi sembra onestamente controproducente se è vero, come dice Crepet, che gli adolescenti sono oggi “immersi in una sorta di isolamento autistico perché odiano il mondo”. Non credo servano divieti o stigmatizzazioni per rendergli quel mondo meno odioso.