Dimmi come insulti Fedez e Ferragni e ti dirò chi sei

Il bisogno di dichiarare al mondo che qualcosa ci fa schifo dice molto di noi, perché ormai su internet preferiamo che siano gli odi a definirci, più che le passioni

In questi giorni la serie tv in tempo reale messa in scena da Fedez e Chiara Ferragni è culminata nella proposta di matrimonio che, ovviamente, non poteva che avvenire di fronte a un pubblico emozionato e fotografante che ampliasse il già grande potere virale dei due.

Al di là del bene e del male e di quanto possa esserci di vero o costruito nel rapporto fra due persone che hanno imparato presto a gestire in maniera millimetrica la propria identità pubblica e che non sembrano percepire i confini tra realtà e finzione da social network, questo avvenimento si è rivelato l’ennesima cartina tornasole sul comportamento sociale. La verità infatti è che l’opinione sui Ferragnez, e soprattutto il modo in cui viene o non viene espressa, rivela su chi li commenta molto più di quanto i due non dicano di loro stessi.

Ho scelto loro due perché sono l'ultimo esempio, ma potete tranquillamente sostituirli con altri personaggi che fanno parte della nostra cultura pop, da Selvaggia Lucarelli a Matteo Salvini, passando per Favij.

Chiariamo subito che è assolutamente legittimo non avere il benché minimo interesse nei loro riguardi. Forse studiare il modo in cui si pongono potrebbe comunque raccontare qualcosa sul linguaggio di oggi, ma se trovate “tutto molto interessante”, per citare Rovazzi, va bene così.

La questione si fa più intricata però se sentite l’assoluto e totale bisogno di dire al mondo che a voi non ve ne frega niente, ribadendolo più volte. Immaginate di fare una passeggiata nel parco, quando improvvisamente un tizio vicino a voi grida  “Quanto non me ne frega di quel ragazzo là che fa jogging!”. Strano no? Come se uno si mettesse di fronte allo stadio con un cartello “Non mi piace il calcio”.

I più carini sono senza dubbio quelli che fingono la più totale ignoranza sulla coppia, sul fatto che esistano, che fare la fashion blogger possa essere un lavoro o che addirittura esista Instagram. Una volta c’erano quelli che quando gli parlavi di un film che avevi visto la sera prima rispondevano “io non ho la televisione”, col tono di chi non vedeva l’ora di dirtelo e stava finalmente coronando il sogno di mesi senza la Domenica Sportiva, oggi abbiamo queste persone. Il punto è che non si rendono conto di non essere né originali, né tantomeno affascinanti eremiti, nelle migliore delle ipotesi mentono, nella peggiore sono soltanto dei nonni in jeans stracciati o gente che non sa vivere il proprio tempo.

L’altra faccia dello snobismo sono quelli che hanno a cuore le magnifiche sorti e progressive dell’umana gente e condividono stralci di wikipedia nei commenti sotto la notizia (sono sicuro che lo faranno anche qua). Una resistenza passiva, dadaista e in parte geniale, ma tenera come un gattino che cerca di fermare un treno. Chissà forse sono gli stessi che ritengono un’ottima idea leggere un libro ad alta voce in metropolitana per sensibilizzare alla lettura.

Oltretutto non si rendono conto che commentare un articolo in un sito regala click, mentre su Facebook contribuisce a renderlo più appetibile e visibile secondo l’algoritmo del social network. Insomma, è come se uno scienziato cercasse in tutti i modi di sconfessare un antivaccinista regalandogli un megafono. Oltretutto, cercare di condividere la cultura atteggiandosi a snob, proprio nel decennio in cui le persone si credono più furbe di chi ha studiato, non mi pare proprio una grande operazione simpatia.

Poi ci sono i livorosi, i rancorosi, i dietrologi, quelli che la sanno più lunga o che commentano le notizie dei due come se questi potessero in qualche modo leggerle o fossero interessati, quelli secondo cui, visto che non piacciono a loro, nessuno dovrebbe in alcun modo guardarli e considerarli. Quelli che li vedono come specchio di una generazione che odiano perché li sta lentamente soppiantando, che non capiscono e non vogliono capire, che se fossero nati trenta o quaranta anni fa avrebbero guardato male i capelli lunghi o le gonne troppo corte.

La cosa si fa ancora più assurda quando i livorosi sono giovani. Credo sia perfettamente normale non apprezzare il gossip e in particolare quello dedicato al markettistico duo, ma seriamente tu mi vuoi venire a dire che la cosa più interessante e produttiva che puoi fare nella tua giornata è scrivere un commento in cui vomiti bile contro due persone che non lo leggeranno mai?

Non è che, forse, il tuo incredibile disprezzo e il tuo appello affinché la gente si occupi di cose più serie (ovvero le cose che interessano a te) nasconde qualcos’altro? Non è che magari li odi perché sono due ragazzini carini, ricchi, seguiti e hanno la vita che tu vorresti? E allora non sarebbe meglio investire meglio il tuo tempo cercando di fare qualcosa per diventare, se non carino, almeno più ricco e con cose più interessanti da fare?

Sono sicuro che i minatori di coltan in Congo apprezzano molto la tua dura presa di posizione contro il decadimento dei costumi, adesso sì che il mondo è più giusto. Sappi inoltre che il tuo insulto era già ampiamente previsto, sei l'ennesimo clown di un circo mediatico che si ripete identico da anni e che vive di haters, fan e vite spinte al massimo sui social.

D'altronde lo dice anche Fabri Fibra "Qui nessuno diventa autonomo, senza fare un po’ il fenomeno"

Il problema è che internet, con la sua democrazia, col suo azzerare alcuni limiti, rendendo possibili nuove forme e nuovi modi per farsi conoscere, per lavorare e per inventarsi una professione, ci ha tolto le scuse che per anni hanno funzionato perfettamente quando dovevamo giustificare il fatto che gli altri fossero famosi e noi no.

Crollate le scuse vecchie, ne abbiamo create di nuove, diventare famosi su internet è diventato brutto, i tempi di oggi schifosi (mica come quando eravamo piccoli noi) e odiare qualcosa pubblicamente si è trasformata in una presa di posizione moraleggiante, perché ovviamente tutto ciò che non ci piace diventa automaticamente una cosa da stupidi. Anche se ci fa schifo il calcio ma amiamo il tuning.

Ecco perché su internet dire che qualcosa non ci piace è diventata una sorta di affermazione di identità, in particolare sui social network. Le nostre “dramatis personae” vengono spesso definite non tanto da ciò che ci piace, ma da ciò da cui sentiamo assolutamente bisogno di prendere le distanze. Spesso nel farlo non facciamo altro che dargli più forza, vedi alla voce “Effetto Streisand”.

Se ci pensate è molto interessante perché, lontano da uno schermo, le uniche persone che cercano in qualche modo di distanziarsi da uno scandalo o da un qualunque avvenimento sono spesso quelle più coinvolte. Su internet invece vale la massima Schifo, dunque sono, dunque, forse è il caso di scegliersi migliori nemici da odiare.