Palermo

Clan senza soldi, la protesta delle donne di mafia

La cassa assistenza per le famiglie dei boss detenuti è in crisi di liquidità. Le intercettazioni svelano tagli pesanti e le voci furenti di mogli, madri e sorelle di picciotti e reggenti in cella. Ecco la contabilità della "mutua"

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NELLE ultime settimane, le microspie piazzate per ordine della procura nelle viscere della città hanno registrato voci di donne furenti. Sono le voci delle mogli, delle figlie, delle madri, delle sorelle dei boss arrestati nei recenti blitz di carabinieri, polizia e finanza. Voci insistenti, voci di protesta contro i nuovi capi di Cosa nostra palermitana  -  le donne di mafia sanno già chi sono  -  perché gli ultimi assegni della cassa assistenza dell'organizzazione sono stati quasi dimezzati. Le cosche sono in piena crisi di liquidità, questa estate verrà ricordata dai mafiosi e dai loro complici come una delle più nere degli ultimi anni. Tutta colpa degli arresti a raffica che si sono succeduti sino a fine giugno, quasi 200 dall'inizio del 2014, che hanno aumentato esponenzialmente il numero dei detenuti assistiti. E il sistema è andato in tilt, con la conseguente vigorosa protesta delle donne dei boss.

Protesta al cospetto di chi adesso ha preso il comando delle famiglie e dei mandamenti, dall'Arenella a San Lorenzo, da Brancaccio a Porta Nuova. Una protesta invisibile agli occhi della città ufficiale, ma è comunque una protesta pesante nell'universo mafioso. E ha già avuto alcune conseguenze: due esattori del pizzo organici alla cosca di Bagheria arrestati nei mesi scorsi dai carabinieri hanno deciso di collaborare con la giustizia. Le loro famiglie erano già in crisi economica, le mogli hanno incoraggiato senza alcun tentennamento la scelta di passare dalla parte dello Stato.

Basta leggere le ultime intercettazioni per comprendere l'entità della crisi per le casse di Cosa nostra palermitama. "Non possiamo stare due minuti per pensare le cose nostre  -  diceva Giuseppe Di Giacomo, il boss di Porta Nuova ucciso a marzo  -  e devi cercare questi qua... ce ne vogliono 7.500 per Palermo centro, 2.000 per il Borgo, 12.500 per Porta Nuova ". Chiosava il fratello Giovanni, in carcere: "Complessivamente non arrivi a raccogliere per tutti". Giuseppe confermava: "Nooo, non ci arrivo". Dopo l'ulteriore blitz di aprile, le esigenze di assistenza sono salite a più di 30 mila euro. Altrettanti, se non di più, necessitano per San Lorenzo e Resuttana, dopo il blitz dei 95 scattato a fine giugno. Un vero crac per la cassa assistenza di Cosa nostra. E i tagli, i ritardi, le cancellazioni degli assegni mensili sono stati inevitabili. Come le proteste delle donne di mafia.
Poco prima di essere ucciso, Giuseppe Di Giacomo aveva cercato di contenere le rimostranze mettendo 5.000 euro di tasca propria, prelevandoli dalla sua agenzia di scommesse.

Così, fra gli introiti delle estorsioni e del traffico di droga, a febbraio era riuscito a mettere insieme 11.500 euro, la metà di quanto serviva. Non c'era di più. Unica attenzione particolare era stata per la figlia incinta di un detenuto: "Sua figlia ha il bambino di dentro mal combinato, una malformazione", spiegava Di Giacomo al fratello detenuto. Ma non era bastato a contenere la protesta delle donne di mafia. Silvana Lo Presti, sorella di Tommaso e figlia di Salvatore, entrambi pezzi da novanta del clan Porta Nuova, aveva fatto la voce grossa. I vertici della famiglia gli avevano dato addirittura una casa, in via Regina Bianca. Ma non era stata di suo gradimento. "Questa è una sdisonorata  - dicevaancora Giuseppe Di Giacomo  -  questa Silvana, la più piccola è... in mezzo alla strada con i cristiani si bisticcia, Maria quant'è... L'altra volta gli hanno trovato la casa a sua madre. Dice: "Mi è venuta a buttare in questo fondaco". Anzi che gliel'hanno trovata ". Il fratello in carcere invitava alla prudenza: mai mettersi contro le donne di mafia.