Differenze nella concezione dell'archetipo della coniunctio in Jung e Silvia Montefoschi

Da LogicaUnitaria.

SOMMARIO: Distinzione non è differenza ovvero il concetto a cui rimanda il significato del termine "distinzione" ci chiarisce che non è assolutamente un sinonimo di "differenza". Tra i due amanti eterni non c'è alcuna differenza ma solo distinzione, quest'ultima, necessaria per non ritornare alla "singolarità" precedente l'evento Big Bang quale simbiosi assoluta che ha dato i natali al molteplice e quindi alla differenza poichè è invece proprio la differenza e non la distinzione che sostanzia la molteplicità dell'Uno.


La realtà degli archetipi

Gli archetipi non sono delle costruzioni mentali ma sono una realtà. L'archetipo della coniunctio è l'archetipo principale, il vero nucleo del mondo archetipico e adesso è più ormai che l'unico archetipo che sia ancora vivente in quanto tutti gli altri archetipi ormai sono cose vecchie mentre solo l'archetipo della coniunctio rimane ancora attuale.

A ben vedere non è che ci sia poi così tanta differenza tra la visione di Freud centrata sulle pulsioni sessuali e quella di Jung centrata sulla coniunctio: in fondo si tratta sempre di movimento verso l'unione di frammenti dell'Essere.

Certo Freud, in ultima analisi, ed è proprio il caso di dire "ultima analisi", non riesce ad andare oltre una visione concretistica della sessualità e anche con Lacan non si fa tanta strada malgrado sottolinei e precisi ulteriormente come la vicenda sessuale abbia il suo vero senso come iniziazione alla socialità ben più che una iniziazione alla semplice sessualità mentre in Jung si intravede, anche se Jung non l'ha esplicitato ma solo Silvia Montefoschi, come la coniunctio miri proprio a non dare alcun valore di realtà agli stessi limiti biologici: la coniunctio non vede altro che la coniunctio arrivando infine a negare perfino la realtà della morte.

Ovvio che Freud non poteva seguire Jung ma Jung a sua volta non poteva seguire Silvia Montefoschi poichè in Silvia Montefoschi la spinta dovuta all'archetipo della coniunctio arriva nel suo estremizzarsi a negare non solo la morte ma la realtà biologica stessa della donna ritenuta dalla psicoanalista un "travestimento" di un soggetto e in questo senso nella donna Silvia Montefoschi l'archetipo della coniunctio si radicalizza al punto da negare ogni separazione proprio a partire da quello di uomo e donna e via fino ad ogni principio di autorità necessariamente edipica in quanto mira proprio a interrompere il cammino psicoanalitico verso il compimento simbolico dell'incesto che nella sua elaborazione psicoanalitica non porta alla "guarigione del paziente ma all'apocalisse (etimologia=rivelazione) dell'universo come Uno e che pertanto cessa di andare verso l'Uno (uni-verso).


L'Essere e l'Essere vero: la dualità dell'Uno non è dualismo

Comunque sia si tratta sempre, al di là di ogni concretismo e personalizzazione, dell'unico cammino della conoscenza anche perchè non esiste altra storia che la storia del processo autoconoscitivo dell'unico soggetto in quanto l'Essere è un soggetto che al termine di questo lungo cammino di autoconoscenza si rivelerà a se stesso come Uno si, anche se questo l'ha sempre saputo arrivando addirittura a negare l'Altro della relazione proprio per salvaguardare l'Intero anche se non si trattava evidentemente dell'Intero vero, ma soprattutto si rivelerà a se stesso come Uno-Duale ed è questa dualità che non è dualismo a costituire invece l'Intero vero cioè l'Essere Vero.


"Questo lavoro continuo e capillare deve coinvolgere il nostro quotidiano andare a dispetto e compreso il temere che la nostra forma materiale non sia in grado di sostenerlo."

(S. Montefoschi, M. Marasco "Il breviario dell'amore", 2002, cit. pag.15-16)


L'archetipo della coniunctio

Con il termine di "Coniunctio" introdotto in psicoanalisi da Carl Gustav Jung intendiamo riferirci ad un archetipo cioè ad un modello, che è anche un modello comportamentale, un'idea elaboratasi nel noumenico e che si manifesta nel fenomenico.

E' grazie a questo archetipo della coniunctio che l'evoluzione può procedere.


Dalla Coniunctio oppositorum alla congiunzione tra i simili

La differenza tra i due concetti di "coniunctio" junghiana e quello di "ultima coniunctio" di Montefoschi è che la prima si svolge una tantum in quanto Jung parla di "Coniunctio oppositorum" ossia tra i diversi, tra gli opposti, che ripristinano comunque la loro opposizione proprio in quanto la biologia "è il fondo roccioso della psicoanalisi" come sostiene chiaramente Freud in "Analisi terminabile e interminabile" (Freud, 1932) mentre Silvia Montefoschi parla di "ultima coniunctio" che è una congiunzione stabile che dà così e infine nascita all'unico individuo duale e che non può essere realizzata che da coloro che sono simili.

Questo significa che per realizzare l'ultima coniunctio occorre necessariamente mettere da parte ogni differenza fino ad annullarle per farsi simili. Questo perchè, come sostiene Silvia Montefoschi a differenza di Jung "solo i simili possono congiungersi veramente"


Come possono gli opposti divenire simili?

Ora siccome solo in quanto "pensanti" possiamo farci simili ne consegue che occorre sacrificare ogni pensato in cui ancora ci identifichiamo e in cui ancora riponiamo la nostra identità e che proprio in quanto "pensato" continua ancora a differenziarci dagli altri.


L'inferno di un mondo di opposti

Coloro che invece intendono rimanere pervicacemente attaccati alla loro particolarità che li differenzia dagli altri soggetti in cui l'Essere resta tutt'ora ancora frammentato devono sapere che questo attaccamento gli costerà caro: la dannazione eterna.


Distinzione è sinonimo di differenza?

C'è un equivoco e cioè che solo la differenza è distinzione mentre al contrario è invece proprio l'unione che opera a distinguere gli amanti eterni.

Distinzione non è differenza.


Chi è chi

Ciao sono io

io chi?

Bernardo Geltrude Filomena?

ma chi è

Bernardo Geltrude Filomena?

chi è chi?

miliardi e miliardi di esistenti

tutti uguali

ognuno dei quali

chiama se stesso

io.


(Silvia Montefoschi “L’essere vero – Il pensiero consapevole di sé quale unico esistente”, 1996, cit. pag. 339)


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