Essere autistici non significa non essere umani, ma essere diversi. Quello che è normale per altre persone non è normale per me, e quello che io ritengo normale, non lo è per gli altri - afferma Jim Sinclair, autistico ad alto funzionamento -. In un certo senso sono mal “equipaggiato” per sopravvivere in questo mondo, come un extraterrestre che si sia perso senza un manuale per sapere come orientarsi. Ma la mia personalità è rimasta intatta. La mia individualità non è danneggiata. Ritrovo un grande valore e significato nella vita e non ho desiderio di essere guarito da me stesso. Concedetemi la dignità di ritrovare me stesso nei modi che desidero; riconoscete che siamo diversi l’uno dall’altro, che il mio modo di essere non è soltanto una versione guasta del vostro. Interrogatevi sulle vostre convinzioni, definite le vostre posizioni. Lavorate con me per costruire ponti tra noi» (Jim Sinclair, 1998).

Nel giro di due decenni il tema dell’autismo è stato oggetto di un interesse sempre maggiore da parte della comunità scientifica, divenendo una delle patologie più studiate al mondo. Recenti studi suggeriscono una “triade” dietro questi disturbi: l’interazione tra fattori genetici, ormonali e ambientali potrebbe generare comportamenti autistici. I dati attualmente a disposizione segnalano il fenomeno in aumento a livello globale. Un report del «Centre for Disease Control» degli Stati Uniti indica che un bambino su 68 sarebbe affetto da autismo. Con un incremento del 30% rispetto al 2012. In Italia il dato ufficiale reso noto dal ministero della Salute parla di 2,5 casi ogni 1.000 bambini. Dati meno preoccupanti, ma con un trend in aumento. Una crescita che si spiegherebbe principalmente con il progresso medico che ha permesso significativi passi avanti a livello diagnostico ed anche al paziente lavoro di sensibilizzazione e divulgazione sulla tematiche dell’autismo.

Molte persone con autismo mostrano difficoltà ad apprendere le abilità e i comportamenti necessari per orientarsi nella complessità della vita adulta in modo indipendente. Ma qual è la natura di queste difficoltà evidenziabili già nell’infanzia? É possibile facilitare l’apprendimento sociale nei bambini con disturbi dello spettro autistico? Una serie di studi recenti ha iniziato a fare luce su queste importanti questioni attraverso il metodo dell’eye-tracking, tecnica dell’inseguimento dello sguardo all’interno di un compito di scelta visiva e l’utilizzo dell’eye-tracker, un sistema di telecamere a raggi infrarossi che permette di registrare i movimenti oculari per capire ciò che il soggetto osserva all’interno del suo ambiente naturale.

Nell’ambito del 4° convegno internazionale «Autismi», organizzato dal Centro Studi Erickson di Trento (14 e il 15 novembre, Rimini), Giacomo Vivanti, ricercatore presso La Trobe University di Melbourne e grande conoscitore della vita di persone con autismo, per esperienza personale (ha due fratelli autistici) presenterà i risultati delle sue ultime ricerche che hanno documentato per la prima volta come le difficoltà di apprendimento nell’autismo siano legate ad anomalie nel modo in cui i bambini osservano gli altri (Workshop 9. Come apprendono i bambini con disturbi dello spettro autistico? Eye-tracking per capirlo a colpo d’occhio).

Mentre le persone neurotipiche apprendono le abilità sociali osservando gli altri, per i bambini autistici non è così. Infatti, nell’età in cui i bambini normalmente si interessano alle persone e iniziano a comunicare, i bambini autistici hanno difficoltà ad interagire con gli altri e sono caratterizzati da una limitazione di comportamenti non verbali, come l’utilizzo dello sguardo e la mimica facciale. Riguardo ai processi imitativi, le difficoltà d’imitazione presenti nei soggetti autistici sarebbero legate ad una particolarità della loro attenzione visiva: nel seguire una conversazione tra due persone, i soggetti autistici tendono a dirigere il loro sguardo non al volto dei personaggi, ma a elementi della scena molto meno pertinenti per comprendere come funziona la relazione in atto. Ad esempio non registrano segnali importanti come la direzione dello sguardo dell’interlocutore.

«Alla luce di questi dati è possibile ipotizzare che un miglioramento delle competenze dell’attenzione visiva, orientandola verso stimoli pertinenti alla comprensione della situazione sociale, influenzi positivamente il funzionamento del sistema dei neuroni specchio che permette, a sua volta, lo sviluppo delle abilità sociali» spiega Emmanuelle Rossini Drecq, ideatrice della metodologia SAS, tra i responsabili di un progetto congiunto Svizzera-Italia, condotto presso l’Istituto Scientifico Medea di Bosisio Parini.

La metodologia SAS adotta la drammatizzazione e l’uso di marionette per promuovere le abilità sociali in bambini con diagnosi dello spettro autistico. Nella sua prima fase, utilizza volti immobili che si attaccano e si staccano dalla sagoma di marionette (volti che amplificano, in modo un po’ caricaturale, l’espressione di un particolare stato d’animo) e, associandoli ad una mimica facciale fortemente drammatizzata dal terapeuta, sostiene l’attenzione visiva del bambino, incitandolo a guardare l’oggetto del viso (statico della marionetta e dinamico del terapeuta).

L’analisi dei cambiamenti d’attenzione visiva viene effettuata all’inizio, alla fine dell’intervento e dopo tre mesi dall’interruzione della procedura, attraverso il metodo dell’eye-tracking. A differenza di altri interventi psicoeducativi, il metodo si concentra sulla cognizione sociale, anziché sulle competenze sociali. «Si è visto che il bambino non impara la competenza, impara la cognizione, ovvero la consapevolezza di come funziona veramente la relazione. Noi lavoriamo su questa consapevolezza», sottolinea la ricercatrice.

Sito ufficiale del Convegno «Autismi» :

http://www.convegni.erickson.it/autismi2014/

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