I bambini si tuffano nel fiume e lo attraversano su zattere improvvisate e gomme d’automobile gonfiate. Lo Zab è in magra ma ancora imponente. Il grande affluente del Tigri è a una trentina di chilometri da Mosul, a metà della strada da Erbil. Per due anni ha segnato un confine non tracciato sulle mappe, quello fra il Califfato e il Kurdistan iracheno. Poi, questa primavera, i Peshmerga hanno consolidato le teste di ponte a Ovest e si sono installati nell’ex base militare di Khazir.

E lunedì hanno lanciato da lì la grande spallata che ha rotto la prima linea delle difese dell’Isis. Nove villaggi conquistati nello spazio di un mattino, un’avanzata di oltre dieci chilometri. La cittadina di Kalak, sulla sponda sinistra, per anni esposta ai lanci di razzi degli islamisti, è adesso una retrovia relativamente tranquilla. I Peshmerga fanno filtro all’imbocco del grande ponte ferrato sul fiume. C’è un po’ di nervosismo perché l’Isis ha contrattaccato di prima mattina nella zona del villaggio Bartella, liberato lunedì. Solita tattica dei veicoli corazzati in modo artigianale lanciati contro le colonne dei curdi. La maggior parte è stata neutralizzata, dicono. Ma almeno uno ha centrato un Humvee, le jeep corazzate americane in dotazione ai guerriglieri. Con i mezzi kamikaze i jihadisti hanno compiuto undici attacchi nel giro di un paio d’ore.

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I Peshmerga negano di aver avuto perdite consistenti e confermano solo i 6 «martiri» di ieri, più qualche decina di feriti. Ma in ogni caso si sono presi una pausa. Anche perché i nove villaggi liberati ieri non sono ancora sicuri. «Le strade sono disseminate di bombe improvvisate - spiega il colonnello Mohammad Darwish -. Mai vista una cosa così». Gli islamisti hanno «trasformato tutto in una trappola». Alcuni combattenti si sono avvicinati ai rottami di un drone e sono stati investiti dall’esplosione. Altri sono stati tratti in inganno dal cadavere di un jihadista, anch’esso imbottito di esplosivo. Per tutta la giornata di ieri squadre specializzate hanno ripulito le strade e cercato anche terroristi nascosti, che potrebbero colpirli alle spalle: «Hanno scavato tunnel dappertutto e spuntano all’aperto all’improvviso, come topi». «Non si sa quando» i villaggi saranno accessibili e la gente potrà tornare nelle case.

È il copione della guerra all’Isis. Come in Siria, per esempio a Palmira, e in Iraq, dove Ramadi e Falluja sono ancora semidisabitate a mesi dalla liberazione. Ed è un assaggio di quello che potrebbe essere Mosul. La «pausa» di ieri forse serve a evitare lo scenario peggiore, un assedio infinito per poi ritrovarsi in mezzo a un cumulo di macerie. I Peshmerga contano in un tracollo degli islamisti. Che hanno ancora aperta la porta a Sud-Ovest della città e potrebbero scegliere di ritirarsi. «Il loro morale è basso - conferma il generale di brigata Hajar O. Ismail -. E abbiamo anche notato che la loro organizzazione tattica è molto meno efficiente. Segno che l’eliminazione di un gran numero di leader e comandanti li ha indeboliti».

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Il generale stima il numero dei combattenti dell’Isis in «4 mila in città e qualche migliaia nei sobborghi tutto attorno», in tutto 7-8 mila. La leadership spinge per una difesa a oltranza ma come già a Falluja e poi a Manbij in Siria potrebbe esserci un cedimento nella truppa e nei capi intermedi. Un altro colpo alla tenuta dell’Isis può arrivare dai primi segni di sollevazione da parte di alcune tribù, come quello segnalato ieri nel villaggio di Lazani, fra Hammam al-Alil e Qayyara, lungo la direttrice da Sud-Est dell’offensiva. Qui le truppe governative sono entrate nella cittadina cristiana di Qaraqash, da dove nell’estate del 2014 ventimila cristiani furono cacciati dagli islamisti in un’implacabile pulizia etnica. La presenza dei cristiani caldei nell’offensiva è per ora limitata a qualche unità assieme ai curdi. I turchi invece hanno allestito un battaglione turkmeno a Nord di Mosul, a Bashiqa, ma non è chiaro se parteciperà, anche perché il premier Haider al-Abadi ha ribadito ieri che Ankara «non è invitata» e l’Iraq non è un Paese «assoggettato alla Turchia». Mosca nel frattempo lancia avvertimenti: a Mosul si profila un disastro umanitario, dice rilanciata dall’agenzia ufficiale Interfax la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova: «Qualcuno ha calcolato dove andranno i rifugiati, quanti saranno e chi potrà dar loro ospitalità?», ammonisce

Propaganda Isis

Sul fronte Sud-Est la resistenza sembra meno accanita, tanto che alcuni comandanti dell’esercito si sono lamentati con i Peshmerga «che segnano il passo» e hanno costretto anche i reparti regolari a rallentare. Una piccola crepa, dopo appena un giorno, nel «perfetto coordinamento» vantato lunedì. La propaganda dell’Isis, che si è rifatta viva ieri con video e comunicati sull’agenzia Aamaq, ha segnalato anche tre attacchi suicidi vicino a Qayyara. E sostenuto che una contro-manovra «sui fianchi» ha consentito di riprendere cinque dei nove villaggi conquistati dai Peshmerga, mentre gli altri sono «contesi». Sui social islamisti, ma la notizia non può essere verificata, i simpatizzanti sostengono che fra i «martiri» c’è anche Abu Hajir al-Badri, cugino di Al-Baghdadi. Come per dire che il Califfo è disposto a sacrificare ogni uomo pur di non perdere Mosul.

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