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forme di partenariato industriale

Start-up “adottate” dalle pmi
Così l’innovazione costa (quasi) zero

Le aziende offrono esperienza imprenditoriale; le startup ricambiano con progetti innovativi

forme di partenariato industriale

Start-up “adottate” dalle pmi
Così l’innovazione costa (quasi) zero

Le aziende offrono esperienza imprenditoriale; le startup ricambiano con progetti innovativi

Prendere una creatura neonata, darle un tetto e farla crescere nell’attesa che esprima le sue potenzialità. In una parola: adottare. È quello che cominciano a fare le Pmi italiane con le startup per poter trovare nuove idee dall’esterno e innovare senza svenarsi. Si sta delineando un modello di “adozione” che prevede uno scambio alla pari: le aziende offrono esperienza imprenditoriale, mercato, risorse finanziarie, sede, attrezzature e relazioni; le startup ricambiano con progetti innovativi, competenze in ambito tecnologico e manageriale, professionalità al passo con i tempi, entusiasmo e condivisione degli eventuali utili.

C’è chi intravede in questa nuova forma di partenariato industriale una soluzione ad alcuni mali del sistema produttivo tricolore ed è pronto a scommetterci. Come Alberto Baban, fondatore dell’azienda di tappi Tapì e presidente di Venetwork, una rete di 47 imprenditori veneti che si dedicano allo sviluppo di nuove attività imprenditoriali. «Le startup in Italia – osserva – hanno buone idee ma spesso non conoscono le difficoltà concrete del fare impresa: l’idea di adottarle, ovvero di farle accompagnare da un imprenditore che non si limiti a dare quattrini, è decisiva per farle crescere con pochi errori e impedire che muoiano». Secondo Baban, che è anche presidente di Piccola Industria Confindustria Veneto, questo può diventare un «incrocio perfetto» che smussa i limiti delle aziende e rende meno velleitarie le startup.

«È come avere un reparto di ricerca e sviluppo che arriva dall’esterno ed educa gli imprenditori ad aprirsi alla contaminazione. Inoltre, cosa non da poco, porta manager freschi di studi nelle Pmi». Tra le startup a cui il patron di Tapì e i suoi colleghi di Venetwork stanno facendo da chioccia c’è Uqido, una società creata nel 2010 che ha immesso sul mercato un sistema per eliminare le code negli uffici pubblici e non e ora sta lanciando una piattaforma per acquisire nuovi clienti attraverso i dispositivi mobili. «Gli imprenditori che ci supportano ci hanno fornito denaro ma anche know-how nella gestione del business», dice il cofondatore, l’under 30 Pier Mattia Avesani. «E non importa se ad adottare siano imprese che operano in settori diversi: quale pizzaiolo non accetterebbe consigli preziosi da un grande chef che prepara altri piatti?».

L’organizzazione più attiva nel promuovere questo tipo di cooperazione è Confindustria, che ha messo in campo diverse iniziative. A cominciare dalle adozioni più soft, ovvero la possibilità per le startup di iscriversi gratis per almeno uno-due anni a molte delle associazioni confindustriali regionali e di utilizzare i servizi a disposizione degli associati. Confindustria Verona, nello specifico, sta anche selezionando imprese neonate a cui fare da mentore. Infine, il progetto più ambizioso: Adottup, lanciato da Piccola Industria Confindustria e Intesa Sanpaolo, un programma che prevede anche una fase di formazione per le startup candidate. Nella prima edizione, partita lo scorso luglio (ne seguirà una seconda nel 2014), sono state selezionate circa 50 baby imprese. Dal 28-29 settembre cominceranno un percorso formativo di un mese in cui studiare imprenditoria, business modeling, marketing e aspetti giuridici del fare impresa.

Al termine, le startup sono inserite in una vetrina online visibile agli imprenditori che ne valutano l’adozione. «Il concetto alla base – spiegano da Piccola Industria – è che entrambi scontino pesanti gap: le startup fanno fatica a trasformare l’idea in impresa per vari fattori tra cui la difficoltà nel redigere business plan corretti; le Pmi invece sono così concentrate sul quotidiano da non avere energie e tempo per innovare. Un progetto del genere può colmare queste lacune». Se anche le idee proposte dagli startupper non dovessero conquistare le imprese, l’adozione potrebbe concretizzarsi comunque sotto forma di assunzione. «Le Pmi – aggiunge l’associazione – hanno bisogno di innovare le proprie professionalità. Se il team ha le caratteristiche adatte e si fa conoscere, la collaborazione può nascere ugualmente».

Un recruiting alternativo, insomma. Chi invece non ha bisogno di cercare troppo lontano è Alvise Biffi, ceo della società di sicurezza informatica Secure Network. La sua esperienza di adozione è sui generis perché l’idea è venuta in mente a due dei suoi dipendenti. Gli hanno presentato il progetto di una piattaforma per acquistare biglietti di cinema e teatri tramite smartphone. Il tempo di fare i dovuti approfondimenti e Biffi ha fondato insieme agli ideatori una startup per prodotti informatici, 18months, l’ha finanziata e ha messo sul mercato 18tickets, il sistema di cloud ticketing per le sale cinematografiche integrato con i social.

«Loro hanno avuto l’idea e ci mettono la componente tecnica», racconta Biffi, che presiede anche Piccola Impresa in Assolombarda. «Io ho messo la visione imprenditoriale e i soldi, lasciando a loro la maggioranza delle quote. Adottarli mi ha permesso di innovare integrando una società di prodotto alla mia azienda di servizio». Per il numero uno di Secure Network, questa ibridazione è la strada per risolvere i problemi dell’industria di casa nostra. E talvolta può essere fatta a costo zero. «Prendiamo quelle aziende che utilizzano alcuni macchinari non a pieno. Se una startup ha bisogno di quella strumentazione e gliela si mette a disposizione in cambio di una piccola quota sugli eventuali utili c’è il rischio che la Pmi si rivitalizzi e faccia innovazione senza spendere un centesimo».

Il modello si può applicare anche alle imprese manifatturiere. Lo dimostra il caso di Reda, un lanificio attivo nel biellese dal 1865 che ha preso sotto la sua ala protettrice Natural Gentleman, una startup fondata da cinque giovani manager che vende online abiti su misura. «Abbiamo chiesto ai ragazzi se volevano fare davvero gli imprenditori e abbiamo dato loro capitale, una sede fisica in cui lavorare e la nostra conoscenza del tessile», dice l’amministratore delegato di Reda, Ercole Botto Poala. «Per noi – continua – l’e-commerce è un canale ancora poco conosciuto, pur avendo un nostro reparto che si dedica a questo. La scelta è strategica anche per la vendita di tessuti, visto che loro utilizzano i nostri. Ma il vero obiettivo è creare un team di persone che lavorano per vendere sul web: una piccola Silicon Valley a Valle Mosso (dove ha sede l’azienda, ndr)». L’esperimento per ora sembra funzionare. Simone Maggi, uno dei fondatori di Natural Gentleman, descrive così lo scambio: «Reda ci fa da consulente nell’ambito della vendita del prodotto, mentre noi potremmo essere per loro consulenti di immagine web. È un modello che si rivelerà vincente. Non a caso, sto dicendo ai miei ex colleghi del master in business administration di cercare un’azienda che adotti le loro idee imprenditoriali».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maurizio Di Lucchio

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