Tijuana, sotto il muro che divide l'America

Tijuana, sotto il muro che divide l'America

Costruita e ampliata nel corso degli Anni 70, la barriera oggi rappresenta il simbolo di uno scontro tra due mondi opposti non solo da un punto di vista geografico. Tra il 1990 e il 2007, il numero degli irregolari che ha attraversato il confine è quasi triplicato. Ma a partire da quella data è sceso a poco più di un milione e altrettanti hanno deciso di rientrare in Messico. Moltissimi provano ancora a superarlo. Siamo andati a vedere chi sono, chi sfrutta la loro disperazione, a quanto ammonta il business di un sogno che resiste

Verità e bugie di Donald Trump
La tua vita nella mani di coyotes e polleros
"Così li salviamo nel deserto di Sonora"
Deportazione nel terzo millennio
Il lavoro impossibile dei volontari
Verità e bugie di Donald Trump
di ALBERTO FLORES D'ARCAIS
NEW YORK - "Odio vedere del filo spinato, ovunque sia". Quando l’allora First Lady Pat Nixon (moglie del presidente del Watergate) arrivò in visita al confine tra California e Messico, rimase scioccata nel vedere quella piccola barriera protettiva che separava la grande potenza dal suo vicino del sud. Era il 1971, un'altra epoca e un altro partito Repubblicano, che ancora si richiamava agli ideali di Abraham Lincoln. Nel corso dei decenni quel filo spinato è diventato più grande, si è raddoppiato, si è trasformato prima in un muro, poi in due muraglie. Che oggi, sempre più simili alle mura di un penitenziario, si estendono a cavallo tra di San Diego e Tijuana per 14 miglia (22 chilometri e mezzo) nel tentativo di bloccare i 'latinos' alla disperata ricerca di un futuro migliore negli States.

Primarie. A Donald Trump, il candidato del Grand Old Party che sta dominando le primarie per la Casa Bianca, tutto questo non basta. "Costruiremo un grande muro, una barriera impenetrabile lungo tutto il confine tra gli Usa e il Messico e saranno loro, i messicani, a pagarne le spese", tuona in ogni comizio il miliardario newyorchese. Uno slogan cui forse non crede fino in fondo neanche lui, che ha però mostrato grande presa su un'elettorato sempre più incline a prendere per buoni programmi populisti più o meno credibili.
Il confine tra Stati Uniti e Messico è lungo 1.954 miglia (3.145 chilometri), dal Pacifico al Golfo attraversando California, Arizona, New Mexico e Texas da San Diego fino al Delta del Rio Bravo. È il border con il più alto numero di passaggi "legali" al mondo (ogni anno oltre cinque milioni di auto e camion) e con un grande numero di passaggi "clandestini", in maggioranza percorsi a piedi e di notte lungo le rotte che i coyotes (veri e propri trafficanti di persone umane) conoscono a memoria. Oltre a quelli di San Diego/Tijuana, che dividono la California dalla Baja California messicana (da anni un'area molto turistica) da quel 1971 altri muri sono stati costruiti lungo l'immenso confine fino a raggiungere una lunghezza complessiva di oltre mille chilometri. Nel 2005, dopo che George W. Bush aveva lanciato una riforma dell'immigrazione piuttosto progressista (il partito repubblicano si ribellò in massa), la sua amministrazione varò la cosiddetta Operation Streamline, una politica di "tolleranza zero" per frenare l’ondata di clandestini, che l'attuale presidente Obama ha proseguito praticamente in toto.  

Grande ondata. Tra il 1990 e il 2007, gli anni della grande ondata di immigrazione illegale dal Messico, i clandestini erano quasi triplicati, raggiungendo la cifra record di 12,2 milioni. Negli ultimi anni la cifra è scesa di circa un milione, anche perché è cambiata la tipologia (e l'età) di chi prova ad attraversare il confine in modo illegale: prima erano i giovani in cerca di lavoro, adesso sono gli ultra trentacinquenni che spesso hanno già vissuto (illegalmente) negli Usa e sono andati via per scelta o perché deportati. Negli ultimi due anni di presidenza Bush e nei sette di Obama il Border Patrol (il cui bilancio nell'ultimo decennio è salito a 10,7 miliardi di dollari) ha speso lungo il confine centinaia di milioni in droni, sensori ed altre sofisticate tecnologie che hanno ridotto sensibilmente la quota di immigrati clandestini e che hanno funzionato più di ogni muro. Raddoppiati (oggi sono oltre 18mila) anche gli agenti di frontiera, con la conseguenza di un rapido calo - anno dopo anno - del flusso di immigrazione clandestina. Nel 2000 lungo il confine tra Messico e Stati Uniti erano stati arrestate ben 1,6 milioni di persone, nel 2013 (ultimi dati ufficiali disponibili) sono calate a 400mila. E nell'anno fiscale 2015 la stima prevede un ulteriore calo del 28 per cento. Diminuiscono ovviamente anche le persone che a migliaia - per colpi di calore, disidratazione e ipertermia, perché abbandonati e talvolta uccisi dai coyotes - sono morte nella ricerca di una vita più umana.

Tijuana, il muro che separa la disperazione dal sogno americano

La metà è americana. Negli Stati Uniti oggi circa un terzo degli immigrati clandestini è proprietario di una casa e quasi la metà ha figli che sono cittadini americani. Nonostante siano diminuiti di circa un milione i messicani clandestini sono ancora oggi circa la metà degli irregolari di tutti gli States ed è forse per questo che Donald Trump (e non solo) si scaglia contro di loro e minaccia la costruzione di mura invalicabili. Che rappresentino veramente un ‘pericolo’ per gli Stati del Sud-Ovest (senza entrare in discussioni politico-ideologiche) è tutto da dimostrare. I numeri ci dicono una cosa diversa: dal 2009 al 2014 un milione di messicani (con famiglie al seguito, inclusi i figli che hanno cittadinanza statunitense) hanno abbandonato gli Stati Uniti per fare ritorno in Messico; nello stesso periodo di tempo sono 870mila i messicani che sono entrati negli Usa. Il saldo, anche contando i ‘clandestini’ non identificabili, è pari a zero. Nella famosa "invasione di messicani criminali e stupratori" di cui parla Donald Trump c'è molta fantasia.
La tua vita nella mani di coyotes e polleros
di ROBERTO DI MATTEO
TIJUANA - Una nota canzone di Manu Chao recitava: "Benvenuti a Tijuana, qui con il coyote si salta la dogana". Ma chi sono i coyotes? Chiamati anche "polleros", una volta erano contadini o manovali residenti sul confine che per pochi dollari guidavano i migranti lungo i sentieri di montagna con il proposito di accompagnarli in territorio statunitense; conoscevano a menadito passaggi e scorciatoie e dopo aver concluso la traversata tornavano a coltivare la terra o a svolgere il proprio lavoro nei luoghi d'origine. Fino a 20 anni fa era molto comune che i braccianti messicani si avvalessero dell'ausilio di questi traghettatori per passare "dall'altra parte" ed andare a lavorare nelle campagne americane per periodi di tempo limitati legati ai cicli della produzione agricola.

L'aiuto degli ispanici. La storia statunitense narra che negli anni '30 e '40, sotto la presidenza di Franklin D. Roosevelt, furono proprio gli agricoltori ispanici ad aiutare l'economia statunitense a risollevarsi dopo la Grande Depressione del 1929. Da allora la manovalanza latina a basso costo è sempre stata una risorsa importante per i grandi latifondisti americani e più in generale per l'econonomia a stelle e strisce. Nel 1994 però questo proficuo rapporto di collaborazione iniziò a deteriorarsi quando George Bush padre inasprì le politiche migratorie inaugurando il programma "Guardian" che prevedeva la costruzione di un muro fra le città di Tijuana (Messico) e San Diego (USA); fu così che la frontiera, fino ad allora delimitata da semplici reti metalliche e filo spinato, iniziò a trasformarsi, fino a diventare una vera e propria barriera d'acciaio quasi invalicabile. Col fine di incrementare l'efficacia del muro, il Congresso Americano, a più riprese ha approvato l'integrazione di sensori di movimento, visori infrarossi, illuminazione notturna ad alta densità, detettori di movimento e barriere anticarro, tanto che oggi molti migranti scelgono di aggirare l'ostacolo passando per territori impervi e inospitali come il deserto di Sonora ed i monti Boboquivari in Texas, oppure guadando le tumultuose acque del Rio Bravo. Successivamente, in seguito agli attacchi dell'11 settembre e a causa dell'incombente minaccia terroristica islamica, il muro è stato ampliato e fortificato fino a raggiungere gli attuali 1000 chilometri di estensione, pari ad un terzo del totale confine fra i due paesi...con un costo complessivo non indifferente di 3,4 miliardi di dollari.

Tijuana, ecco come lavorano i "coyote" che fanno varcare il muro ai migranti

Tariffe. Ma torniamo ai nostri polleros. L'estrema povertà di paesi come Nicaragua, Honduras, El Salvador e dello stesso Messico continua a produrre ogni anno centinaia di migliaia di migranti che, spinti dalla necessità e dal sogno di una vita migliore, arrivano a pagare da 7 a 12mila dollari a chiunque prometta loro di portarli negli Stati Uniti (numerosi e documentati sono i casi di frode ai danni migranti che, dopo aver pagato la cifra pattuita, vengono sequestrati, picchiati e abbandonati nel deserto in balia della casualità degli eventi). Numerose inchieste portate avanti da giornali come il Semanario ZETA, El Sol de Tijuana e da associazioni umanitarie come la Coalición Pro Defensa del Migrante o la Casa del migrante di Tijuana (che gestisce il primo e più capiente centro d'accoglienza della zona), hanno dimostrato come i narcos e i cartelli della droga abbiano assunto il controllo di questi redditizi traffici di esseri umani che, secondo  l'United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc), hanno prodotto solo nel 2015 un giro d'affari pari a 6,6 miliardi di dollari. Lo stesso Papa Francesco, durante la sua recente visita in Messico, ha denunciato le barbare azioni dei "trafficanti di morte", colpevoli di lucrare sulla pelle della povera gente. In un'intervista ai nostri microfoni, il presidente della Coalición Pro Defensa del Migrante (la più grande associazione no-profit della Baja California) Josè Moreno Mena ci ha spiegato: "L'efficacia del muro è indiscutibile; il flusso di migranti illegali lungo la frontiera fra Messico e Usa si è ridotto dalle 800mila unità annue del passato alle 250mila del 2015. È anche vero però - aggiunge Mena - che le tariffe dei coyotes sono schizzate alle stelle ed è aumentato il numero di decessi lungo i nuovi sentieri terribilmente ostici e pericolosi".

Paradosso. La Human Rights Coalition dell'Arizona ha documentato 137 decessi solo nel 2015 ma, come si può ben immaginare, molti altri corpi di migranti sono stati ingoiati dal deserto senza lasciare traccia. Eppure, nonostante i proibitivi costi di costruzione e manutenzione, nonostante le vigorose proteste di associazioni statunitensi in appoggio dei migranti e nonostante la massiccia presenza latina in territorio americano, molti aspiranti candidati del Partito Repubblicano come Donald Trump o Ted Cruz, in vista delle prossime elezioni presidenziali americane, promettono di ampliare il muro con l'unico scopo di raccogliere voti fra le frange più reazionarie della popolazione; intanto, per uno strano paradosso politico, sono proprio i ricchi latifondisti conservatori a temere che Trump o Cruz possano effettivamente vincere le elezioni e mettere in atto i loro propositi, poiché questo nei fatti porterebbe ad una improvvisa riduzione della mano d'opera a buon mercato e ad un notevole incremento dei costi di produzione.

Attualmente infatti, sia l'industria che l'agricoltura contano sui moduli H-2B e H-2A, programmi federali di assunzione di stranieri a tempo determinato che permettono l'ingresso a 66mila stranieri ogni anno (nel 2016 si parla di portare a 198mila il numero di visti di questo tipo). Nel mese di febbraio, sotto la pressione dei sindacati, i moduli hanno subito un forte ritardo nell'approvazione causando ingenti danni in numerosi settori produttivi e obbligando diverse società, secondo qunato riferisce il periodico investigativo En La Grilla, ad assumere immigrati privi di documenti sottobanco per limitare le perdite Intanto il muro di Tijuana attende e osserva impassibile l'avvicendarsi di storie e l'evolversi degli eventi e, mentre milioni di persone vivono la propria vita sul confine fra due mondi, gli unici che ne traggono profitto sono i "mercanti di morte".
"Così li salviamo nel deserto di Sonora"
di ROBERTO DI MATTEO
DESERTO DI SONORA - Siamo nel deserto di Sonora dove l'escursione termica porta le temperature a oscillare dai 52°C diurni ai -10°C notturni. Nel tentativo di attraversarlo per raggiungere il territorio statunitense qui si incrociano migliaia di storie. Non c'è traccia d'acqua e trovare del cibo commestibile è un'impresa pressoché impossibile. C'è solo un gruppo di uomini che quotidianamente attraversa questi terriritori inospitali in cerca di persone da salvare. Provate ad immaginare un corpo speciale che incarni le competenze mediche della Croce Rossa, le doti fisiche dei paracadutisti dell'esercito e lo spirito di sacrificio dei pompieri. Shakerate il tutto e quello che ne viene fuori è il Grupo Beta dell'Instituo Naciònal de Inmigracion messicano. Questo corpo viene addestrato a fornire primo soccorso in qualsiasi condizione climatica e ambientale, effettua salvataggi e operazioni di riscatto in situazioni estreme e opera sui due confini messicani a nord e a sud con l'unico obiettivo di salvaguardare e proteggere le vite dei migranti.

Confine Usa-Messico, tra gli angeli a caccia di dispersi nel Sonora

Oltre 6 mila morti. Dal 1994 ad oggi, cioè da quando il congresso americano approvò il progetto "Guardian", più di 6.000 persone sono decedute nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti, alcune ingoiate dal Rio Bravo, altre morte di fame o di sete, altre ancora per ipotermia durante le ore notturne. Il compito principale del Grupo Beta è fornire ai migranti tutte le informazioni utili affinché il loro viaggio non si concluda tragicamente. Beta non svolge funzioni di polizia, non porta armi, non persegue né arresta nessuno e i suoi membri rischiano la propria vita quotidianamente principalmente per passione, almeno questo è quel che recita il loro motto: "Vocazione, umanitarismo e lealtà".

Consigli vitali. Se mentre scavalchi una recinzione nel bel mezzo del deserto ti becca una pattuglia del Grupo Beta, non ti riporterà coattamente indietro, non ti farà la ramanzina e non chiamerà le autorità di frontiera ma cordialmente ti dirà: "Risparmia la batteria del cellulare perché se dovessi trovarti in dificoltà potrebbe servirti. Impara a memoria i numeri importanti così se il cellulare si rompe, si scarica o ti viene rubato non avrai perso i tuoi contatti. Hai acqua e cibo a sufficienza? Te ne serve altro?". E ti darà oltre ai rifornimenti un opuscolo con tutte le informazioni utili per non morire.

Durante l'intervista con Alejandro Salinas, responsabile del Grupo Beta che opera nella Baja California, il primo e più importante Grupo Beta per quantità di salvataggi annui, il "lincenciado" ci mostra con orgoglio le aree attrezzate in cui i suoi uomini si allenano e si tengono in forma. È fiero di essere a capo di questo gruppo e mentre mi mostra attrezzature da alpinismo, telefoni satellitari, caschi, kayak, paracadute e oggetti vari utilizzati nei più pericolosi sport estremi, mi racconta una storia.

Aglio contro le vipere. "Una volta durante una ronda incontrammo un anziano. Preoccupati a causa della sua età avanzata gli chiedemmo se stava bene, se aveva bisogno di qualcosa e se gli serviva un passaggio per tornare indietro. Lui, restio e diffidente, ci rispose che era tutto a posto e non gli serviva nulla. Chiacchierando l'anziano si aprì ed iniziò a raccontare dei suoi numerosi viaggi nel deserto. Disse di averlo attraversato più di cinquanta volte ed iniziò a spiegare tutti i suoi trucchi, alcuni dei quali davano ad intendere che era veramente un esperto. Si cospargeva le caviglie di aglio per tenere lontane le vipere in quanto questo è un ottimo repellente per rettili. Mostrò ai ragazzi un semplicissimo telo di plastica con cui durante la notte si avvolgeva per non disperdere il calore. Prima di addormentarsi tracciava una linea nel terreno per orientarsi al risveglio e riprendere il suo cammino nella direzione giusta. Dopo avergli dato delle scorte di acqua extra - racconta Salinas - lo salutammo e lui riprese il suo cammino. Dopo un paio di giorni lo ritrovammo negli uffici dell'immigrazione: lo aveva beccato la 'Migra' (polizia di frontiera statunitense, ndr) e lo aveva rimpatriato. Appena ci vide ci riconobbe e ci salutò calorosamente spiegando agli altri deportati come ci eravamo conosciuti. Ci ringraziò e spiegò a tutti di non preoccuparsi se durante una traversata incrociavano una maglietta arancione perché eravamo amici. Quello fu uno dei momenti più belli del mio lavoro ed oggi sono fiero che i migranti in transito ci riconoscano e si fidino di noi".
Deportazione nel terzo millennio
di ROBERTO DI MATTEO
WASHINGTON - Negli ultimi tempi, uno dei temi più discussi in materia migratoria è il futuro dei cosiddetti "dreamers" o "soñadores" statunitensi (sognatori, ndr). Sono infatti circa 2,1 milioni gli immigrati illegali giunti sul suolo americano prima del 2000 quando ancora erano bambini. Queste persone hanno frequentato le scuole statunitensi e ne posseggono i relativi titoli di studio; molti di loro, che nel frattempo sono diventati adulti, lavorano, hanno una casa, degli amici e la loro vita è ormai radicata negli Stati Uniti. Sulle loro teste però pende una spada di Damocle, l'irregolarità migratoria, che in più di un'occasione si risolve con la deportazione nella terra d'origine e l'esilio a vita dal suolo americano. Immaginate cosa possa voler dire essere rispediti con la forza in un paese di cui non conoscete la lingua e in cui non avete neanche un amico o un parente?

Green card. Per un migrante che non possegga una Green Card (autorizzazione rilasciata dalle autorità degli Stati Uniti che consente ad uno straniero di risiedere sul suolo degli Usa per un periodo di tempo illimitato) ottenere i permessi è sempre più difficile e quasi sempre basta un semplice reato, anche minore, o una banale infrazione (i cosiddetti "misdemeanor") a far scattare l'espulsione. Sono ovvie e giustificate le deportazioni motivate da crimini gravi nei quali l'espulsione viene messa in atto al termine dell'espletamento della condanna (ai quali si aggiunge l'aggravante della clandestinità), ma in numerosissimi casi, sempre più comuni dopo l'11 settembre, l'interdizione può scattare anche per multe non pagate, abuso di droga o di alcool o per un banale litigio in famiglia (negli Stati Uniti se un vicino chiama la polizia per denunciare delle urla provenienti dalla casa affianco, gli agenti registrano l'infrazione come "violenza domestica" e ci sono casi documentati di esilio coatto anche senza la denuncia di uno dei coniugi).

Si stima che negli Usa vivano circa 11 milioni di illegali, dei quali 6,5 provengono dal Messico. Di questi 11 milioni il 48% sarebbero giunti prima del 2000 e 1,7milioni di loro sarebbero minori; a questi numeri si aggiungo i 4,5 milioni di bambini nati sul suolo statunitense (quindi americani) da genitori clandestini, (dati del governo statunitense aggiornati ad ottobre 2015). 
 
Dreamers. Il presidente Barack Obama ha tentato di porre ordine in questa drammatica situazione promulgando una legge in favore dei Dreamers, approvata dal congresso il 12 agosto del 2012, che li mette al riparo dalla deportazione, gli offre la possibilità di richiedere permessi di lavoro biennali rinnovabili, di accedere all'assistenza medica e gli consente di sostenere esami per ottenere le patenti di guida.  Ma la buona volontà non basta. Fra il 2012 ed il 2015 sono stati deportati circa 5 milioni di "indocumentati" ed il problema è tutt'altro che risolto. Continuano a moltiplicarsi i casi di bambini dati in affidamento alle strutture sociali americane dopo la deportazione dei genitori clandestini in quanto "criminali" e per questo ritenuti inadatti. Sono tanti anche i soldati che, rientrando da operazioni di guerra, a causa dello stress post traumatico cadono nel tunnel della droga e/o reagiscono con violenza a determinate situazioni; in questi casi lo stato anziché supportare le proprie truppe con assistenza medica e psicologica preferisce disfarsene.

E se tutto questo non basta a darvi l'idea dell'implacabile macchina espulsiva e dell'inamovibile meccanismo antimigratorio americano, è sufficiente un dato recentemente pubblicato dall'Executive Office for Immigration Review (Eoir). Dal 24 luglio 2014 al 26 gennaio 2016 sono stati emessi 10.142 ordini di espulsione a carico di bambini senza documenti provenienti principalmente da Honduras, Nicaraguas ed El Salvador. Citamo questo dato invitandovi a prendere un mappamondo (o se preferite Google Earth) e a seguire con il dito il terribile viaggio che hanno dovuto affrontare questi minori assieme ai loro genitori per giungere negli Usa. Attraversando foreste pluviali, deserti e montagne rocciose.

Separazioni. E intanto, dalla parte povera della frontiera, sono sempre più numerosi i casi di genitori separati dai propri figli, di famiglie distrutte da leggi definite troppo fredde e disumane, di uomini e donne, bimbi e anziani la cui vita è rovinata dal più importante progetto di deportazione mai messo in atto dall'uomo, proprio agli albori del terzo millennio.
Il lavoro impossibile dei volontari
di ROBERTO DI MATTEO
TIJUANA - Siamo tornati qui, in questa città quasi dantesca, e abbiamo fatto una scoperta che lascia perplessi: non esiste alcuna struttura d'accoglienza pubblica. Municipale, statale o federale. Non ci sono Cpsa (centri di primo soccorso e accoglienza), né Cpa. (centri di prima accoglienza ), né tantomeno Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo).

Tijuana, tra i volontari che aiutano i disperati in attesa di varcare il muro

Disperati. Eppure ogni anno a Tijuana confluiscono milioni di disperati provenienti dai paesi poveri dell'America Latina che sperano di poter passare dall'altra parte. Per ovvie ragioni le autorità non sono in grado di calcolare l'effettiva portata del flusso; l'unico dato certo sono le espulsioni: nel 2015 le autorità messicane hanno rimpatriato circa 150mila stranieri ma resta sconosciuto il numero di irregolari tutt'ora presenti sul suolo nazionale. A questi migranti di passaggio si aggiungono i milioni di "dreamers" espulsi dagli Stati Uniti e scaricati senza soldi e documenti da questo lato del Muro. Come denuncia il deputado Gonzalo Guízar Valladares, presidente della Comisión de Asuntos Migratorios, "fra il 2011 ed il 2015 sono stati deportati in Messico oltre 5 milioni di immigrati irregolari".

Nel turbinio di questo viavai di persone che rende la città di Tijuana una delle più trafficate al mondo, sarebbe lecito chiedersi come mai questa non collassi. Come fa la città a non esplodere? Chi gestisce questa fiumana di disperati intrappolanti in un limbo senza uscita, regno di droga, alcool e delusioni? La risposta è tanto semplice quanto efficace: tutto merito del volontariato.

Ondata umana. Nella città ci sono 431 associazioni volontarie registrate che si spartiscono ogni anno una cifra di 7 milioni di pesos (350mila euro circa messi a disposizione dal municipio) per gestire quest'orda umana di dimensioni quasi bibliche. Ogni associazione può presentare ogni anno un solo progetto in ambito sociale nel tentativo di ottenere un contributo massimo di 50.000 pesos (circa 2.500 euro), cioè praticamente nulla. Eppure, con così poco, questi stoici pionieri del volontariato umanitario riescono ad allestire mense, dormitori e centri di accoglienza in cui offrono servizi di assistenza medica e legale, dove è possibile mangiare un pasto caldo, farsi la doccia e chiamare la famiglia che è rimasta dall'altro lato del "Borde".

"Il princiale obiettivo di questi centri - spiega padre Jesus Maria Arambarri, direttore del Desayunador del Padre Chava - non è fare la carità, ma aiutare il migrante a recuperare la propria dignità e reinserirsi nella società in maniera produttiva. Molte di queste persone provengono da realtà poverissime, prive di qualsiasi tipo di educazione. Altre invece, vengono dagli Stati Uniti dove avevano una casa, un lavoro ed una vita normale prima di essere espulsi. Noi aiutiamo queste persone a prendere coscienza di sé e riappropriarsi della propria vita". C'è un frenetico andirivieni di camerieri che apparecchiano e sparecchiano tavoli da sei, mentre file ordinate di centinaia di affamati scorrono veloci. Agli ospiti vengono chieste solo tre cose: presentarsi lucidi (ossia non annebbiati da alcool o sostanze), fare la preghiera prima di inziare a mangiare e sparecchiare il proprio posto dopo aver consumato il pasto.

Rivoluzione. Il Desayunador non è l'unico posto simile. Nella Zona Norte della città dove il signor Josè Maria Garcia Lara (tutti lo chiamano "Chema") ha utilizzato i terreni ereditati dal padre per creare un grande centro d'accoglienza in cui ospita i migranti: Juventud 2000. "Io sono originario di Puebla - spiega Chema - anche mio padre era un forestiero ed il fatto che lui sia stato accolto all'ombra del muro, mi fa pensare di dover
fare lo stesso: sento di dover accogliere la gente". Nella sua proprietà ci sono sei baracche fatte con fango e mattoni forati e lui me le mostra fiero: "Vedi quelle là? - è orgoglioso come se stesse parlando di un grattacielo - le affitto per 7.000 pesos al mese. Con quei soldi mando avanti il centro e con quel che avanza sto costruendo un nuovo dormitorio a un isolato da qui. Stiamo per fare grandi cose. Presto ci sarà una rivoluzione qui a Tijuana".
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