Milano, 7 luglio 2014 - 10:12

Sì al rumore della movida,
ma salviamo le oasi montane
dalle marmitte delle moto

C’è un diritto, inalienabile, alla moderazione e al silenzio

di Pino Belleri

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Trascorro le mie vacanze in Valle Seriana, precisamente a Onore, un paese che conserva ancora il sapore degli anni passati e che, per fortuna, non ha ancora subìto cementificazioni oltre misura. Peccato che la quiete locale sia spesso disturbata dal penetrante rumore dei motocrossisti che si avventano sul greto del torrente con gli scappamenti aperti. Non potrebbero dare sfogo alle loro «sgasate» dopo essersi lasciati alle spalle le ultime case dell’abitato? Carlo Radollovich

Il garbo con cui Carlo pone il tema del suo disagio e avanza la proposta di un sensato, forse irrealizzabile accordo con i selvaggi col casco, fa quasi tenerezza. Altri, ai motocrossisti-salmone che risalgono i torrenti a pieno rombo avrebbero dato degli imbecilli già alla prima riga, lui in fondo li accetta, c’è spazio per tutti, dice, chiede soltanto la sordina al tubo di scappamento in zona residenziale. Il problema riguarda non solo Onore e non solo le mandrie di motociclisti, dentro le quali c’è di tutto, il fracassone cafone, certo, ma pure il gentleman delle due ruote rispettoso dei codici e dell’ambiente e attento a frequentare solo percorsi consentiti: è una questione che tocca tutti noi e non può essere derubricata alla sezione «diatribe estive ricorrenti». Ci tocca perché incide sulla qualità della nostra vita. Esiste ancora la quiete pubblica o ha fatto la fine del comune senso del pudore?

La risposta purtroppo è scontata, siamo immersi nel rumore, accompagnati da decibel a grappoli sempre e dovunque: intorno a noi è tutto un rimbombare e risuonare. Siamo la società che urla, che fa casino, che schiamazza. Il rimedio non può essere naturalmente spegnere tutto, mettere il coprifuoco, chiudersi in casa, anche perché spesso risultano più intollerabili gli eccessi verbali degli inquilini vicini che non certi schiamazzi, la Tv al massimo del volume al piano di sopra che non una rock band. Su queste pagine abbiamo difeso ripetutamente, con convinzione, il diritto alle varie movide, purché organizzate e gestite con criterio e con alcuni paletti e non abbiamo cambiato idea: la musica, tutta la musica, e l’allegria, sono la colonna sonora della vita, non si possono soffocare. Ricordate le polemiche contro «la città dei morti, degli intolleranti e degli ignoranti» quando la protesta di pochi dai nervi fragili voleva chiudere i locali della musica di qualità e abolire i concerti all’aperto?

C’è però un diritto, inalienabile, alla moderazione e al silenzio. Siamo stati privati del silenzio, questa è la verità, in ogni minuto della giornata: in ufficio, al bar, nei negozi, sui treni, nei ristoranti, nelle palestre, perfino sulle spiagge al brusio e ai rumori inevitabili del contesto si sovrappongono senza scampo canzoni martellanti, dj sbraitanti e persone starnazzanti ai cellulari. Il silenzio è un diritto, una necessità fisiologica. Senza silenzio ci ammaliamo, e l’aspetto grave è che non ce ne rendiamo conto. Per accorgerci di ciò che non abbiamo più dovremmo vivere un mese in una chiesa, in una clausura. O in luoghi come Onore, che proprio a questo dovrebbero essere deputati: oasi di quiete, dove poter svuotare la testa dalle incrostazioni del caos, sanatori delle orecchie e dell’anima. Per quei paesi si dovrebbe addirittura creare il marchio sag: silenzio assoluto garantito. Come il dop per i prodotti territoriali di eccellenza. Forse ne trarrebbe giovamento il turismo altalenante delle nostre montagne e il mercato (morente) delle seconde case. Ma intanto, dirà lei, stiamo sul concreto: con i motociclisti che si può fare? Il vecchio metodo: ci vuole un vigile. E che sia meno garbato di lei.

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