Bari

"Soprintendenza miope, gli scempi di Bari non sono i murales"

Il dibattito sulle opere che si vorebbero cancellare, anche il sindaco si è detto contrario. Lo studioso: "L'opera d'arte murale spaventa, non l'ennesima colata di cemento. Parigi un modello"
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La Soprintendenza barese si è recentemente resa autrice di una curiosa e contraddittoria combinazione di decisioni: da una parte, ha intimato la rimozione di due opere d'arte urbana da superfici murali anonime ma sottoposte a vincolo; dall'altro, ha dato il proprio placet all'ennesimo scempio cementizio, in fieri in largo Santa Chiara, niente meno che tra il mare e il Castello Svevo.
Non fosse per quest'ultima infelice presa di posizione, verrebbe da chiedersi se tanto zelo nell'imporre la rimozione dei murales, non sia forse dettato dal desiderio della Soprintendenza di riscattarsi da un passato fitto di concessioni a stupri architettonici e paesaggistici di ogni tipo.

SONDAGGIO VIA I MURALES DALLA CITTA', SI' O NO?

Destino mio e di tanti altri cittadini più e meno giovani è stato, infatti, il dover crescere in una Bari devastata da una speculazione edilizia di rara spregiudicatezza, dove per decenni piccoli e grandi clan di palazzinari hanno potuto agire indisturbati, sventrando il centro e il lungomare, infarcendo questi ultimi d'obbrobri d'ogni genere e pezzatura. Il murattiano che ci è toccato in eredità è, occorrerà ricordarlo, mutilo di tanti tesori, ad esempio il palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno in piazza Aldo Moro, o quello del Credito Italiano in via Putignani, entrambi sostituiti da strutture sciatte e senza alcuna possibilità di memoria.
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Riesce dunque singolare che la Soprintendenza mostri tanta intransigenza e inquietudine circa la salute estetica di due pareti per poi consentire, in barba a una norma degli Anni Trenta, che si edifichi ancora, e in un'area come largo Santa Chiara. Quella che potrebbe apparire come schizofrenia è, in realtà, una banalissima miopia: se, in nome della tutela architettonica cittadina, si arriva ritenere più minacciosa la presenza effimera di un'opera d'arte murale, rispetto all'ennesima colata di metri cubi di cemento, non può che essere tale la diagnosi. E non per questo essa è meno grave, anzi: il rischio è che la si sottovaluti, abortendo vere e proprie possibilità di crescita culturale.

Resta da capire dove rintracciare le cause di tale miopia, e se l'arroccamento della Soprintendenza sia dovuto più a disinteresse o a scarso coraggio. Recentemente, la Mairie (il Comune) di Parigi ha concesso che lo street artist francese JR tappezzasse il Panthéon con le sue caratteristiche gigantografie, ricoprendone il pavimento e l'intradosso della cupola. Allo stesso JR fu consentito, nel 2010, di fare altrettanto lungo i muri e i ponti della Senna, in prossimità dell'Île de la Cité, e nel 2008 sulla facciata di una caserma napoleonica in Rue Rivoli. Fa dunque sorridere che la nostra Soprintendenza si scagli con tale ostinazione contro delle opere realizzate su due muri lasciati, da anni, a perder calcinacci e alla mercé di scritte d'ogni sorta.

Ma la miopia non è solo barese: a Roma, la Soprintendenza ha da poco bocciato un progetto monumentale pensato dall'artista sudafricano William Kentridge per i muraglioni del Tevere. L'intervento prevedrebbe una serie di disegni ottenuti con la tecnica del reverse stencil, cioè per mezzo di sottrazione della patina nera e delle scritte che sporcano le pareti: niente spray, vernici, colle o poster, ma un parziale intervento di pulizia con esiti artistici. Cosa ci sarà mai di tanto pericoloso per il patrimonio architettonico e paesaggistico in interventi del genere? Ricorderemo come, poco più di un anno fa, l'opera degli street artist romani Sten & Lex sulla facciata del Palazzo dell'Economia  - architettura firmata, nel 1961, da Vito Sangirardi e irrimediabilmente sfigurata nel 2000 da uno dei tanti restyling scellerati -  portò alcuni pruriginosi consiglieri di centrodestra a imbastire una querelle a dir poco grottesca, invocando il veto della Soprintendenza al grido: "I murales stiano nelle periferie!".

Luogo comune, quest'ultimo, inequivocabilmente classista, poiché sottintende un legame  - più cinematografico che reale -  tra street art e degrado suburbano e, di conseguenza, che queste opere "brutte e degradanti" non siano adatte al "salotto buono", semmai a un pubblico da casa popolare. Del resto, non si è levato un fiato quando, lo scorso giugno, altri murales hanno colorato le pareti di San Pio, la "Scampia barese" dove, paradossalmente, tutto è filato liscio e non si sono verificati imprevisti o incidenti di alcun tipo. Di sicuro, l'arte urbana è anche un mezzo incredibilmente efficace per creare capitale culturale laddove ce n'è più bisogno, ma la ragione sposata dalla Soprintendenza a sostegno della rimozione dei murales in centro pare originare da presupposti assai meno generosi. L'auspicio è che si guardi meno a Roma e più alla succitata Parigi, o a tanti altri centri in Europa e nel Mondo: con un po' di coraggio e lungimiranza si eviterebbero alla città nuovi e inopportuni autolesionismi.

* Dottorando in Estetica alla Sorbona di Parigi e ex consigliere gratuito per le arti urbane del sindaco Emiliano

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