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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2013 alle ore 06:39.

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BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Si moltiplicano in Europa gli incontri istituzionali per lottare contro la crescente disoccupazione. Domani a Roma si incontreranno i ministri del Lavoro e delle Finanze di Germania, Francia, Italia e Spagna. Tra due settimane ci sarà un vertice europeo dedicato alla crisi economica. Per il 3 luglio, il governo tedesco ha organizzato a Berlino un vertice dei 27 ministri del Lavoro. In questa intervista, il commissario per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione László Andor, 47 anni, giudica l'attivismo dei governi con sentimenti contrastanti, criticando indirettamente la Germania.
Commissario Andor, lei è stato invitato all'incontro di domani a Roma?
No, non ho ricevuto un invito formale. Sono stato però sempre informato degli incontri bilaterali e trilaterali che si sono succeduti in queste settimane e in questi mesi. Proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) ho parlato al telefono con il ministro del Lavoro italiano Enrico Giovannini.
Non teme che l'attivismo dei governi faccia prevalere una tendenza intergovernativa, mettendo in ombra la politica comunitaria?
No, non vedo questo pericolo. Le misure di cui si sta discutendo in queste settimane sono state proposte dalla Commissione. Il pacchetto a favore dell'occupazione giovanile che abbiamo messo a punto di recente non prevede un'attuazione intergovernativa. Anzi, è la Commissione responsabile dell'uso dei fondi, in particolare dei sei miliardi di euro previsti nel bilancio comunitario 2014-2020.
Berlino ha organizzato un vertice a 27. In ambienti bruxellesi si crede che il governo Merkel voglia migliorare la sua immagine in Europa, strappare ai socialdemocratici un'arma elettorale prima del voto federale.
Non vedo come il vertice berlinese possa fare del male. Certo, ci si può chiedere perché questa iniziativa sia giunta ora; perché non è stato fatto di più prima quando la disoccupazione è iniziata a salire. È vero che in molti ambienti vi è un ritardato riconoscimento della gravità e dell'importanza della crisi. In alcuni casi, le azioni sono più simboliche che di sostanza. Dobbiamo lavorare perché le azioni siano coerenti, non solo gesti simbolici.
Può essere più preciso?
È potenzialmente fuorviante separare la disoccupazione giovanile dalla disoccupazione in generale. Nella zona euro, i disoccupati sono 20 milioni, quelli con meno di 25 anni sono 4,5 milioni. Siamo preoccupatissimi dai senza-lavoro con meno di 25 anni ma per favore non dimentichiamo quelli che hanno più di 25 anni. La lotta alla recessione, una sfida molto più complessa, non può essere sostituita da uno sforzo mirato contro la disoccupazione giovanile. Immagino che per alcuni questo modo di fare sia strumentale per evitare una discussione più sistemica sulla crisi della zona euro. I prestiti della KfW (la banca pubblica tedesca, ndr) alle piccole e medie imprese spagnole non possono diventare un sostituto all'unione bancaria. Siamo contenti che la Germania voglia dimostrarsi proattiva, ma ciò non deve distorcere la visione della situazione o ridurre la portata dell'analisi.
Passiamo all'Italia: la Commissione spiega che ancora c'è molto da fare per migliorare l'efficienza del mercato del lavoro.
La segmentazione del mercato del lavoro è molto significativa; il mercato del lavoro non è sufficientemente inclusivo. Qualsiasi governo sentirebbe la necessità di risolvere questo problema. C'è un problema di competitività dell'economia, ma anche di società. Bisogna chiedersi se è giusto che i giovani abbiano solo cattive condizioni di occupazione e che le donne abbiano difficoltà ad accedere al mondo del lavoro. In Italia l'assimetria tra giovani e anziani, tra donne e uomini è tra le più estreme d'Europa.
Una tesi è che i sindacati siano conservatori.
C'è molto riluttanza a cambiare e a vedere in modo diverso le relazioni industriali. È difficile accettare cambiamenti, specialmente quando la crisi ha già avuto costi sociali. Bisogna capire che c'è il desiderio di proteggere posti di lavoro e livelli di reddito. Al tempo stesso, non credo si possa negare che un mercato del lavoro più dinamico, nel quale i lavoratori possono essere ricollocati verso occupazioni più produttive, sia necessario. Credo che vi siano persone che devono capire di dover rinunciare non a diritti, ma a privilegi. Bisogna chiedersi se accettare di abbandonare qualcosa possa essere utile se mio figlio in cambio riceverà qualcosa in più.
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