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“Perchè non sono femminista”: una replica argomentata

Di recente, è diventato virale questo video di Lauren Southern, opinionista web, in cui spiega perchè lei non è femminista. Le istanze elencate nel video sono molto simili a quelle che ho letto in questi giorni su questo blog in risposta agli articoli sul “privilegio maschile”.

Oggi mi è capitata sotto gli occhi questa risposta, e ho pensato di tradurla perchè mi sembra un ottimo contributo al dibattito. Buona lettura 🙂

– Manu

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“Perchè non sono femminista”: una replica argomentata

Di Jenna Christian

Negli ultimi giorni ho visto il tuo video spuntare un pò ovunque. Video in cui ci spieghi perchè non sei femminista. Al centro del tuo intervento c’è questa premessa: “Non sono femminista perchè penso che entrambi i generi dovrebbero essere trattati in maniera egualitaria”. Lasciamo perdere per un attimo il fatto che non si dovrebbero ridurre i generi ad un sistema binario (qui trovi un ottimo spunto in proposito); vorrei intervenire a proposito della disinformazione che diffondi col tuo video: disinformazione sull’attivismo femminista e i relativi studi accademici, disinformazione sulla violenza domestica e lo stupro. […]

Quindi, analizzerò una per una le tue affermazioni. Proverò a metterti a disposizione alcuni riferimenti specifici alla letteratura femminista, così potrai farti un’idea della provenienza delle mie argomentazioni. Spero che questo possa anche aiutarti a rivedere alcune delle tue affermazioni, dato che sembra proprio tu non ti sia presa il tempo di scoprire cosa sia realmente il femminismo prima di attaccarlo in mondovisione. Procediamo.

1) tu chiedi: “Perchè le femministe non parlano in egual modo dei problemi legati ai generi?”
Laureen, se guardi alla storia del femminismo la risposta è lampante… Il femminismo è figlio dei movimenti per i diritti delle donne. Le radici della letteratura e dell’attivismo femminista sono quindi legate alla lotta contro la disuguaglianza delle donne. Il femminismo odierno è la somma degli sforzi passati e presenti per risolvere le disuguaglianze che riguardano le donne, che includono: il mancato riconoscimento del loro status di cittadini completi; la negazione del diritto di disporre del proprio corpo; la mancanza di protezione dalla violenza domestica e per strada, nonchè la particolare violenza che viene loro riservata in guerra; le restrizioni imposte alle donne che cercano di avere le stesse opportunità degli uomini; le sovraimposizioni di genere che negano di fatto alle donne di esprimere liberamente la propria personalità, sessualità e identità di genere; la mancanza di rispetto e attenzione riservata alle voci delle donne e alle loro esperienze; la svalutazione del lavoro femminile; la mancanza di libertà quando si tratta di amore, e il dare per scontato che siano tutte eterosessuali; l’assenza delle donne nei luoghi di potere in cui si prendono decisioni che le riguardano personalmente; le onnipresenti disuguaglianze determinate da razza, etnia, colonialismo, cittadinanza, identità di genere, sessualità, disabilità e lingua che si sommano a quelle di genere. Spero tu sappia che tutte queste problematiche sono e restano grande motivo di disuguaglianza nei confronti delle donne, e quindi la loro comprensione e risoluzione resta l’obiettivo primario del femminismo. Questo non significa che le femministe odino gli uomini o che non gli importi nulla quando viene fatto loro del male, nè significa che esse siano in qualche modo sessiste. Ci sono delle serie e reali diseguaglianze nei confronti delle donne, e non è nè irragionevole nè sessista che un movimento sull’uguaglianza di genere si focalizzi principalmente su di essi. Diresti a chi si occupa di discrimazione razziale che è razzista se non prende in considerazione anche tutti i problemi dei bianchi? Forse potresti, ma io spero proprio di no.

Detto questo, è bene notare che il femminismo si concentra molto anche sui problemi che riguardano gli uomini. Come descriverò meglio al punto 2, gli stessi regimi di genere che condizionano negativamente le donne, condizionano altrettanto negativamente gli uomini. E il femminismo offre molti strumenti per combatterli in parallelo. Non capirmi male però: questo non vuol dire che il femminismo è legittimo solo quando aiuta anche gli uomini. Ci sono delle problematiche serissime legate alla sicurezza, alla libertà e all’uguaglianza che riguardano solo ed esclusivamente le donne, e se tu vuoi che il femminismo si occupi di questi problemi solo quando questo porta un vantaggio anche agli uomini, non hai proprio capito il senso dell’operazione.

2) Tu dici: “le femministe non dicono nulla” a proposito dei suicidi maschili, dell’alto tasso di incidenti sul lavoro che li coinvolge, e dell’alto numero di morti in guerra o per omicidio di cui sono vittime.
A dire il vero, Lauren, c’è una lunga e ricca storia di analisi del gender fatta proprio dal femminismo a tale proposito, che si è occupato proprio di comprendere e sviscerare il problema delle morti maschili. In particolare: le femministe hanno dimostrato come i modelli di genere radicalizzino l’idea di quali siano i comportamenti adeguati per gli uomini e per le donne, e come questo sia determinante quando si parla di morti maschili.
Prendi ad esempio il problema degli uomini morti in guerra: le femministe hanno scritto moltissimo su quanto i modelli di mascolinità siano determinanti nel produrre una società in cui gli uomini devono incarnare uno spirito di sacrificio stoico, una fisicità forte e virile, mentre invece ci si aspetta che le donne siano deboli, passive e bisognose di protezione (da parte dell’uomo). Giusto per avere un assaggio della letteratura in proposito, puoi dare un’occhiata a: Cockburn, 2007; Cowen, 2008; Daniels, 2006; Dowler, 2001, 2011 e 2012; Eisenstein, 2008; Enloe, 1983, 1989, 2010 e 2014; Fluri, 2008 e 2011; Goldstein, 2001; Jacobs e altri, 2000; Mohanty e altri, 2008; Moser and Clark, 2005; Puar, 2007; Sjoberg, 2013; Tickner, 2001; Yuval-Davis, 1997.
Per darti un’idea, ecco cosa scrive la femminista Iris Marion Young (2003) a proposito della “logica del ruolo protettivo maschile”:

Nella logica patriarcale, il ruolo maschile del protettore pone i protetti, paradigmaticamente donne e bambini, in una posizione subordinata di dipendenza e obbedienza.

Le femministe hanno messo in discussione questa “logica del protettore” in molteplici contesti, ponendo l’attenzione sia su come essa deprivi le donne della loro libertà d’azione, sia su come caratterizzi la partecipazione maschile alla guerra, nonchè l’occorrenza di morti e feriti.
Nel suo libro Exposing Men (2006), Cynthia Daniel tratta ampiamente il modo in cui gli uomini riportano ferite di guerra, in particolare quelle che coinvolgono il sistema riproduttivo; più nello specifico, la Daniel approfondisce in che modo l’ideale di mascolinità influisca negativamente sulla richiesta di cure mediche (perchè “l’uomo deve essere virile, non debole”). Credimi, Lauren: le femministe si sono occupate eccome, di questi argomenti.
Aggiungerò solo un’altra piccola nota: una delle ragioni per cui c’è una sproporzione fra morti maschili e morti femminili in guerra è che le attitudini spiccatamente sessiste dell’esercito americano hanno storicamente sbarrato la strada alle donne soldato. Se cerchi uguaglianza quando si parla di carriera militare, dovresti buttare un’occhio ai lavori di femministe come Cynthia Cohn o Megan MacKenzie, che hanno scritto materiale davvero convincente riguardo alla credenza che le donne non sanno combattere, mettendo in discussione la loro esclusione aprioristica dal campo di battaglia.
Per quanto riguarda gli altri argomenti a cui hai accennato (le morti sul lavoro, i suicidi, e gli omicidi): anche in questo caso trovi moltissime femministe che hanno spiegato in maniera brillante come la nozione di “mascolinità” determini la forza lavoro, nonchè l’uso degli equipaggiamenti di sicurezza da parte dei lavoratori. Vedi ad esempo il lavoro della mia collega Arielle Hesse, che prende in esame la relazione fra mascolinità e sicurezza sul lavoro nell’industria (a prevalenza maschile) del gas naturale in Pennsylvania. Oppure Miles Groth, che nel suo libro Boys to Men: The Science of Masculinity and Manhood, descrive come lo stereotipo del “sii uomo” sia determinante per l’alto numero di suicidi fra i ragazzi. Groth sostiene che l’impegno delle femministe nell’abolire i modelli restrittivi legati al genere sia a tutti gli effetti di vitale importanza per risolvere il problema. (Ci sono anche altri che si sono occupati del problema, cercali su google. Puoi anche cercare “masculinity and crime/gangs” per avere un’idea di come il femminismo dia un utile contributo per comprendere le statistiche di omicidi maschili. Ti suggerisco anche Melissa Wright (2011), che ha scritto a proposito di omicidio, sia maschile che femminile, nell’ottica del femminismo).

3) Tu dici: “Quasi metà delle vittime di violenza domestica in USA e Canada sono uomini.”
Non citi alcuna fonte, Lauren, e non ho idea di dove tu abbia trovato questa statistica. In ogni caso, a seconda di dove vai a cercare, puoi trovare statistiche estremamente diverse. Alcune ti mostreranno ciò che tu descrivi (una relativa simmetria fra i due generi), mentre altre riporteranno che sono in particolar modo le donne ad essere vittima di Violenza Privata da parte del Partner (VPP). Perchè ci sono dunque cifre così diverse? Michael Johnson (2011) ha scritto un articolo molto interessante che risponde in maniera diretta alla tua affermazione, intitolato Gender and types of intimate partner violence: A response to an anti-feminist literature review, ma proverò a riassumere brevemente il concetto. Anzi, dato che altre persone l’hanno già fatto prima di me, citerò Kelly e Johnson (2008) :

Sono gli uomini ad essere più violenti nelle relazioni intime, o la violenza è perpetrata ugualmente da entrambi i generi? Per più di vent’anni se n’è discusso. I sostenitori dell’una e dell’altra teoria citano molti studi empirici a supporto del proprio punto di vista … Possiamo però conciliarli se esaminiamo i criteri di misurazione e i campioni raccolti da questi dati contraddittori, e se riconosciamo che nella nostra società esistono diversi tipi di VPP; queste differenze influiscono sui campioni … In base a centinaia di ricerche risulta, sia uomini che donne sono violenti nelle relazioni, ed è evidente che c’è parità di genere quando si parla di determinati tipi di violenza …

Ecco, adesso possiamo analizzare i dati in dettaglio! Ne emerge che esistono alcune importanti tipologie di VPP, molto differenti fra loro (che sono state documentate differentemente nelle statistiche che tu citi):

Violenza Coercitiva e Dispotica: è la prima cosa che viene in mente alla maggior parte delle persone quando si parla di violenza domestica. Questo tipo di VPP è consueta, ed è usata per controllare il partner avvalendosi di molte forme di coercizione (il ricatto economico, il plagiare i figli, la colpevolizzazione, l’abuso sessuale e emotivo, l’intimidazione e l’uso di violenza fisica). Questo tipo di violenza ha maggiori probabilità di sfociare in lesioni fisiche e morte. Sebbene anche gli uomini possano esserne vittima, in generale la stragrande maggioranza di questo genere di violenza è perpetrato da uomini etero ai danni delle loro partner femminili. Esso affonda le proprie radici nel patriarcato e nella misoginia. Come riportato da Johnson e Kelly, è questo il tipo di violenza che i dati raccolti tramite le case d’accoglienza, i programmi di riabilitazione governativi, i rapporti di polizia e i pronto soccorso, tendono a mettere in evidenza.

Resistenza Violenta: questo tipo di violenza si presenta quando il partner resiste con la violenza alla violenza coercitiva (qualcosa di simile alla “legittima difesa”, che però ha connotati giuridici precisi). Questo genere di violenza è perpetrato, nella stragrande maggioranza dei casi, da donne ai danni di partner coercitivi e dispotici; ma le denunce sono talvolta registrate e questo influenza le statistiche. Al contrario della violenza coercitiva e dispotica, la resistenza violenta è una reazione e il suo fine ultimo non è il controllo del partner.

Violenza Situazionale di Coppia: questa è di gran lunga la tipologia più comune di VPP, ed è perpetrata tanto dagli uomini quanto dalle donne (anche se, pure in questo caso, le statistiche pendono leggermente verso gli uomini). Di solito è il risultato di un litigio fra partner in cui si alzano i toni, ma non rappresenta nè violenza cronica, nè intimidazione, nè stalking. Nonostante sia un problema serio e possa risultare fatale, nel complesso tende a limitarsi a forme di violenza minori (strattonare, spingere o afferrare il partner), ed è molto meno probabile che comporti lesioni fisiche gravi. Inoltre la paura del partner non è caratteristica di questo genere di VPP, nè per gli uomini nè per le donne. Ricerche su larga scala, sia locali che nazionali, prendono in maggior considerazione questo genere di violenza, e finiscono quindi per riscontrare una certa parità di genere nella perpetuazione della violenza di coppia.
Quindi sì, Lauren, hai ragione quando dici che gli uomini sono altrettanto vittime della VPP. Sia gli uomini che le donne, etero e non, commettono violenza. È questo è assolutamente da non prendere sottogamba. Ma quando si parla di violenza sistematica, che si esprime esercitando paura e controllo, e che comporta lesioni gravi, la stragrande maggioranza degli aggressori sono uomini, e la stragrande maggioranza delle vittime sono donne. Almeno un terzo delle donne uccise negli USA sono vittime dei loro compagni [il 66% circa in Italia, fonti in nota, N.d.T.], contro il 2.5% di omicidi maschili perpetrati da donne. In generale, i dati che tu citi tendono all’uguaglianza fra uomini e donne quando si parla di violenza a bassa intensità perchè non prendono in considerazione la gravità e la frequenza delle aggressioni, e nemmeno se sono una forma di autodifesa, o se facevano parte o meno di un quadro più ampio di coercizione e dominio basato sulla paura. A questo aggiungi anche che gli uomini, qualora vittime, sono più portati a chiamare la polizia e sporgere denuncia, e meno portati a ritirarla.
Tutto ciò non significa che alle femministe non importi degli uomini vittima di violenze, nè che non vogliano che anche loro siano protetti, anzi.
Tuttativa, dopo aver analizzato i dati, non dovrebbe sorprenderti che le femministe si concentrino maggiormente sulla violenza di tipo dispotico e coercitivo subita dalle donne. Oltretutto, tieni conto di come la VPP è determinata dal patriarcato legalizzato e capillare che ancora persiste nel nostro paese: fino a non molto tempo fa, gli uomini avevano il diritto legale di picchiare le proprie mogli [la potestà maritale, in Italia, è rimasta in vigore fino al 1975, N.d.T.]. Di fatto, ancora negli anni ’80 la polizia dava bassa priorità alle richieste di intervento in caso di violenza domestica. E spesso le mogli maltrattate non avevano gli strumenti legali per richiedere la protezione dello stato. Questa logica del dominio maschile sulle donne non è stata del tutto cancellata dalla storia, Lauren, e continua a influenzare il modo in cui le donne vengono trattate dai loro partner e dallo Stato che dovrebbe proteggerle.
Un’altra cosa: non è vero che gli uomini vittime di violenza non hanno accesso a servizi a loro dedicati, come tu sostieni. Il Violence Against Women Act (VAWA), ottenuto dalle femministe nel 1994, offre protezione legale a tutte le vittime di violenza domestica, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali, offrendo loro gli stessi identici servizi e tutele.
Ci sono moltissime femministe che combattono il problema della violenza domestica, e se vuoi approfondire ti consiglio in particolare il lavoro di Rachel Pain e Dana Cuomo.

4) Tu dici: Il problema degli stupri nelle prigioni riguarda più gli uomini che le donne, ma “le femministe non ne fanno parola”.
Questo è palesemente falso. Prima di tutto, hanno combattuto su più fronti per ottenere una redefinizione del concetto di stupro, così da poter includere anche le vittime maschili (e altre forme di stupro, come ad esempio la corruzione di minore) che prima non erano riconosciute. Sono stati la Feminist Majority Foundation e il giornale Ms.Magazine a lanciare la campagna Lo Stupro è Stupro, culminata nella radicale ridefinizione del vecchio termine che non includeva le vittime maschili. Secondo, le femministe hanno guidato la coalizione che reclamava a gran voce il Prison Rape Elimination Act of 2003, atto a proteggere tutti i prigionieri dalla violenza sessuale (per la maggior parte uomini).
(Allo stesso modo, potresti notare che le femministe sono schierate in prima linea per combattere la violenza sessuale nelle caserme, che coinvolge per lo più gli uomini).
Gli stupri nelle prigioni restano un serio problema che coinvolge migliaia di persone, e di certo merita più attenzione di quanto ne riceva al momento, anche da parte del femminismo. Tuttavia, fra tutti quelli che si stanno occupando del problema, il femminismo è in prima linea e fa sentire la sua voce. Fra i tanti, prova a dare un’occhiata ai lavori di Angela Davis (2003 e 2005), Dillon (2012), Gilmore e Loyd (2013), Jackson (2013), Lamble (2013), Puar (2007), Sabo e Kupers (2001), Sundbury (2005), etc.

5) Tu dici: “ Le femministe sostengono aprioristicamente che tutti gli uomini sono privilegiati, e tutte le donne oppresse.”
Questa è una visione distorta di ciò che le femministe sostengono. Sì, le femministe sostengono che essere uomo in una società dominata dall’uomo comporti dei privilegi particolari – come ad esempio essere pagati di più, avere una maggiore e più efficace rappresentanza tra le poltrone del potere, avere una corsia preferenziale per le proprie opinioni in molti contesti, e via discorrendo. Ma le femministe NON danno per scontato che tutti gli uomini beneficino allo stesso modo di questi privilegi, così come non danno per scontato che tutte le donne siano egualmente emarginate. La complessità del privilegio e dell’oppressione è la prima ragione della nascita dell’intersezionalità (Ehi! Queste sono le basi del femminismo!). L’intersezionalità è nata principalmente in seguito alle critiche mosse alle femministe bianche dalle donne di colore e del terzo mondo, che chiedevano un femminismo maggiormente focalizzato su come razza, classe, colonialismo e altri sistemi di potere si sommino alla discriminazione di genere. Ripetiamolo: non tutte le donne sono emarginate allo stesso modo, e il privilegio che deriva dall’essere, per dire, bianca o in salute, può giocare un ruolo fondamentale su come e quanto ci si possa sentire oppressi a causa del genere. Le femministe NON sostengono che esista un’oppressione universale sulle donne. Per dirla tutta, è stato proprio l’assunto che “tutte le donne sono oppresse” che ha galvanizzaro il dibattito sul femminismo postcoloniale e di colore in una forte critica al “Femminismo di Seconda Generazione” [con “Second Wave Feminism”, si intende il femminismo che si colloca fra il 1960 e il 1980, N.d.T.]. C’è stata in passato una tendenza delle donne bianche a definire le donne di colore e del terzo mondo come universalmente oppresse dalla loro cultura e dai loro uomini, e quindi bisognose di essere salvate (dalle femministe bianche) o di qualcuno che parlasse per loro (sempre le femministe bianche). Questa tendenza, seppur obsoleta e superata, non è ancora del tutto estinta.
Questo è ciò di cui parla Spivak quando dice che le donne di colore non hanno alcun bisogno di uomini (o donne) bianchi che li salvino dai loro uomini neri. Se vuoi saperne di più in proposito, ti consiglio l’articolo di Gayatri Spivak “Can the Subaltern Speak”, oppure “Under Western Eyes” di Chandra Mohanty. Le loro intuizioni sono alla base di ciò che viene comunemente definito “Femminismo di Terza Generazione”, che tu erroneamente ritieni essere fondato sul concetto “dell’oppressione universale”. [il “Third-Wave Feminism” nasce intorno ai primi anni ’90 ed è tutt’ora in corso, N.d.T.]. Quindi sì, le femministe si occupano eccome di come il patriarcato e il sessismo si sovrappongono ad altre strutture, come la classe, la razza, la sessualità, la nazionalità, per generare specifiche tipologie di violenza verso le donne. Come puoi intuire, questo argomento è molto più variegato di come tu l’hai descritto. (A questo proposito, potrebbe interessarti come il femminismo si è opposto all’idea che gli uomini siano naturalmente degli aggressori e le donne naturalmente vittime. Qui trovi un esempio. Un’altra ottima fonte potrebbe essere Victims, Perpetrators or Actors, di Clark e Moser, 2001).

6) Tu dici: “in quanto donna, otterrei quasi sicuramente la custodia dei figli in caso di divorzio”.
Ancora una volta, dovresti dare un’occhiata alla vasta letteratura femminista in proposito per farti un’idea del perchè ciò accada. Il motivo per cui le donne ottengono più facilmente la custodia dei figli è, senza ombra di dubbio, legato ai modelli di genere per i quali la donna (e non l‘uomo) sarebbe una “badante e nutrice naturale”, il cui ruolo primo e ultimo è quello di essere madre. Al contrario dell’uomo, a cui storicamente la nostra società ha assegnato il ruolo di capofamiglia, lavoratore e cittadino produttivo. Questi preconcetti hanno ridotto drammaticamente le possibilità di realizzazione che le donne hanno a disposizione, e hanno contribuito a svalutare il lavoro femminile fuori e dentro casa: per questo le femministe li hanno combattuti per decenni (Mitchell e altri, 2003). Ecco alcuni esempi di come questo pregiudizio di donna=madre sia dannoso per le donne:

– Lo stigma sociale che pende sulla testa di tutte coloro che non vogliono, o non possono, avere figli;

– La svalutazione del lavoro casalingo, come se non meritasse di essere pagato o riconosciuto come produttivo;

– Le paghe più basse per le donne che lavorano fuori casa (“il suo stipendio è solo un supplemento a quello del marito”)

– Le donne che non incarnano al cento per cento un ideale materno e accogliente sono viste come “troppo intraprendenti”, “troppo aggressive”, “isteriche” o “bisbetiche”;

– Il dare per scontato che le donne, essendo naturalmente portate ai lavori domestici, anche sul posto di lavoro siano tenute ad occuparsene più degli altri. Motivo per il quale viene loro richiesto anche in ufficio di cucinare, organizzare feste, decorare e pulire.

Potrei continuare ancora, ma mi fermo qui.

D’altro canto, gli uomini che stanno rianalizzando il loro ruolo paterno potrebbero restare sorpresi nello scoprire che la visione pregiudizievole dell’intrinseco senso materno delle donne (che le femministe criticano aspramente) si ripercuote anche su come la società percepisce gli uomini in quanto padri (basti pensare ad esempio a come vengono visti gli uomini che scelgono di essere padri casalinghi). Potrebbero accorgersi che, effettivamente, gli obiettivi che il femminismo si prefigge sono i loro stessi obiettivi: cambiare le aspettative di genere in materia di genitorialità. Inoltre, è proprio grazie alle lotte femministe che gli uomini oggi posso beneficiare di politiche familiari come il Family and Medical Leave Act [simile al nostro congedo familiare, N.d.T.] o il congedo di paternità.

7) Tu dici: “In quanto donna, se dico di essere stata violentata o assalita vengo presa seriamente”
Lauren, ti è capitato di leggere di stupri negli USA? Pensi davvero che sia corretto dire che le vittime vengono prese sul serio? Davvero? Ne sei proprio sicura? Le donne sono costantemente accusate per lo stupro subito (“lei lo ha provocato”, “era vestita in maniera troppo sexy”, “lei non doveva bere così tanto”, “lei avrebbe dovuto stargli lontano”, ecc. ecc.). C’è COSÌ TANTA documentazione di donne che non sono state credute che la tua affermazione è davvero inquietante. Questo vale in particolar modo per le donne di colore, che vengono prese ancora meno sul serio. Qui trovi solo alcuni articoli per capire di cosa sto parlando: 1, 2, 3, 4, 5, 6.

Per quanto riguarda l’impegno del femminismo in materia di stupro negli USA, ti ricordo che la Title IX legislation – fortemente voluta nei campus dei college proprio dalle femministe – offre protezione dalle molestie sessuali a tutti gli studenti, inclusi gli uomini.

8) Tu dici: “In quanto donna, nessuno mi prenderà mai in giro perchè non sono abbastanza virile”
Hai ragione. Molto probabilmente nessuno riderà di te perchè non sei abbastanza virile. Ma siccome sei donna, potrebbero deriderti se sei troppo mascolina. Quando si superano i confini dei comportamenti di genere socialmente accettati (un uomo che esprime femminilità, o una donna che esprime mascolinità) è problematico sia per gli uomini che per le donne. E, ancora una volta, c’è MOLTISSIMO materiale femminista in proposito che può aiutare a trovare i linguaggi, le strategie e il sostegno che servono per affrontare questo doloroso problema causato dai modelli di genere, problema che affligge sia gli uomini che le donne.
Una postilla: per una donna in un contesto dominato dagli uomini, come ad esempio esercito, polizia, vigili del fuoco ecc., è probabile scontrarsi con lo stereotipo del “non essere abbastanza uomo”. Ancora una volta, il femminismo ci aiuta a comprendere il problema (ad esempio, per le donne vigili del fuoco, o soldato).

Lauren, spero che questo mio intervento possa servire a chiarirti meglio i problemi che hai detto di avere col femminismo. Spero anche che ti sia di spunto per documentarti e fare ricerca sul lavoro fatto dal femminismo, e rivedere le tue posizioni in merito. Se vuoi informarti un pò di più su quello che il femminismo ha fatto per gli uomini, qui e qua trovi ancora altro materiale. Potrebbe anche esserti utile parlare con uomini femministi, e chiedergli perchè lo sono.

Con i migliori auguri,

Una femminista.

***

L’autrice dell’articolo è Jenna Christian, membro della National Science Foundation e dottoranda in Geography and Women’s Studies presso la Penn State University. Si occupa di teorie femministe, “critical geography” e “critical race” negli studi sull’esercito americano, cittadinanza, scolarizzazione, movimenti sociali e pacifismo.

Per chi volesse approfondire, in coda all’articolo originale (in inglese) si trova una vasta bibliografia.

Per chi invece è interessato ai dati sul femminicidio in italia, rimando a questo articolo; per un analisi della violenza di genere in relazione al femminicidio, invece, si veda questo. Entrambi gli articoli sono pubblicato da ISTAT Italia.

Traduzione: Manu

Revisione: Eddie

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18 pensieri su ““Perchè non sono femminista”: una replica argomentata”

  1. Io andrei anche oltre perchè se è vero (ed è assolutamente vero) che le donne sono ancora svantaggiate è purtroppo altrettanto vero che uomini e donne si collocano entrambi in un contesto sociale che genera disuguaglianze rispetto a chi ha danaro e potere. Sarebbe doveroso ed auspicabile augurarsi il raggiungimento di una società in cui ogni persona ha ,indipendentemente dal sesso o da altre connotazioni sociali,etniche,religiose o di appartenenza gli stessi diritti.

      1. Soprattutto questo capitalismo direi che è tornato ad essere sbilanciato in assenza di un potere che lo delimiti.Questo neoliberismo di fatto sta riportando la società indietro e così sono chiaramente i soggetti più deboli quelli che ci rimettono per primi…

  2. il solito ragionamento a somma zero.

    se potessimo inserire su di una retta tutti i comportamenti sociali umani, molto probabilmente li potremmo mettere su di un segmento in cui i due vertici sarebbero: uno i comportamenti cooperativi (ovvero come dividersi la torta fra tutti) mentre all’altro vertice vi sarebbero i comportamenti a somma zero (chi vince prende tutta la torta), e naturalmente nel mezzo tutti comportamenti composti un pò dall’uno e un pò dall’altro.

    e naturalmente nei contenziosi avremmo le cause rivolte al passato quelle che vorrebbero definire gli interessi, e le cause rivolte al futuro ovvero quelle che cercherebbero un modus viventi fra le parti.

    quest’intervento a mio personale parere si ferma solo nel cercare colpevoli e risarcimenti ma non vedo dove cerca come vivere nel futuro

  3. Sarebbe bello se le donne smettessero di farsi la guerra fra loro, ecco cosa penso quando leggo le dichiarazioni di questa signora da te tradotte. Sarebbe anche bello se le donne non si considerassero superiori o inferiori all’uomo e convivessero nel rispetto reciproco. Che senso ha parlare di numeri? Sembra una gara a chi sta messo peggio, non mi piace.

  4. “Perchè parlare di discriminazione in termini di privilegio?”
    “Che senso ha parlare di numeri?”
    …….
    Pongo anch’io delle domande.
    Perchè ci sono donne che temono che i maschietti se ne risentano se noi chiamiamo le cose con il loro nome e li mettiamo con l’evidenza dei numeri di fronte alla responsabilità del loro sesso riguardo alla violenza contro le donne?
    Perchè ci sono donne che pongono domande che sono in realtà manifestazione di una debolezza e timore verso il maschile, un timore che vorrebbero vedere anche in quelle donne che alzano una voce anche per loro, e allo stesso tempo pretendono di insegnare che “Sarebbe bello se le donne smettessero di farsi la guerra fra loro” e che “Sarebbe anche bello se le donne non si considerassero superiori o inferiori all’uomo e convivessero nel rispetto reciproco” ?
    Io pongo queste, di domande.
    Ed è meglio che non sia io a rispondere….
    Grazie a Manu e a Edoardo per questa traduzione.

    1. Brighid continua a sfuggiti il fatto che usare la propria testa non è sinonimo di timore o paura. Tu sei come la Serafina dei post e diventi caricaturale in queste tue manifestazioni.
      Le femminucce si risentono se si pongono domande. Pazienza.
      Ti confido un segreto: ci sono alcune donne, come me, che non vogliono che altre donne combattano battaglie anche a nome loro. Sono battaglie che non appartengono loro e che trovano non produttive e non utili e non sensate e non pertinenti e non un sacco di altre cose.
      Quindi, per favore, se alzi la voce fallo per te e in nome tuo che io non voglio e non ho bisogno di paladine per le mie cause.

      1. Guardi che qui chi parla per le altre è chi nega l’evidenza dei fatti, e di fatti che ci riguardano tutte.
        E chi nega l’evidenza dei fatti è chi fa domande del tipo: perchè parlare di discriminazione dei neri in termini di privilegio dei bianchi? Perchè parlare di stermino degli ebrei in termini di ferocia nazista?
        Che la negazionista ricavi da queste domande la risposta alla sua domandina.
        Si osservava qui https://www.facebook.com/AbbattoMuri/posts/893410010726160 tempo fa come nelle pagine femministe ci sia gente che viene a fare domande ovvie con il solo scopo far deragliare la discussione. Se potessero ci zittirebbero come hanno fatto con Bahar Mustafa.
        Chi domanda l’ovvio è un negazionista e va trattato come tale. Punto.
        Sarò Serafina ma non sono scema (e spero che chi ha inventato questo personaggio immaginario quanto il giender, la PAS e il cosiddetto “Male Bashing” si renda conto di come sarà usato adesso, e da chi): perchè la negazionista non dice chiaramente quello che pensa invece di fare domande provocatorie? Glielo dico io perchè: per la stessa ragione per cui non ha risposto lei alla sua domandina, perchè sono finte domande per insinuare cose che apparirebbero ridicole se fossero dette esplicitamente, ecco perchè. Perchè si rischierebbe di fare la figura di palta della paladina mascolinista che ha fatto il video ed è stata asfaltata da una così documentata ed argomentata replica. Allora si deraglia…si parla d’altro…si parla di Serafina.
        La negazionista faccia almeno la fatica di rispondere a questa replica in modo altrettanto argomentato prima di negare il privilegio maschile con le domandine.

        1. il problema è che non sono due popolazioni confinati, o frammiste.
          ma sono anche una madre che educa il figlio, visto che il padre ormai è scomparso persino dalle scuole. ormai si considera la festa del papa alla stessa stregua delle feste delle camice nere.

          quindi a Te che che parli di negazionismo rivolgo la domanda principe:
          la violenza maschile è un qualcosa che è insito al maschio (teoria genetica) o è un prodotto che deriva dell'”imbarbarimento” e dell’anomia della società attuale(teorie dell’origine sociale)?

          1. Le madri veicolano valori patriarcali, loro malgrado, annichilite dalla violenza maschile. Il suo è solo un tentativo di riversare su di loro le responsabilità della classe sessuale maschile, ancora una volta facendo allusioni, senza esporsi in tesi chiare e compiute, a parte questa: “il problema è che non sono due popolazioni confinati, o frammiste.”
            Lei crede ridurre a fallacie tutti i paragoni che facciamo con il razzismo, i genocidi e la lotta di classe ma si sbaglia. L’ordine simbolico maschile ha costruito un mondo che rende oggetti le donne e perciò è all’origine anche della violenza razziale e classista, con buona pace dell'”intersezionalità”. E’ per questo che va svelato e smitizzato l’ordine simbolico maschile (festa del padrone compresa) che chiude le donne in uno spazio obbligato e limitato delle loro possibilità di autodeterminarsi.
            La domanda sulla natura genetica o culturale della violenza maschile è oziosa. Ciò che può essere affrontato culturalmente sarà affrontato decostruendo l’ordine simbolico del sesso della violenza, il resto si vedrà. Le consiglio una lucida e bella riflessione di Lea Melandri in un suo recente articolo sul Manifesto “Il genere della violenza, gli orrori hanno un sesso” che mostra come anche i maschi potrebbero dare un contributo se si sforzassero di più a evitare la denegazione di ciò che sono.

            Ma scusi, se così non fosse che senso avrebbe parlare di privilegio maschile elencando minuziosamente tutti i piccoli e grandi innegabili privilegi?
            Se non ci fosse una oggettiva e ineliminabile asimmetria tra la violenza maschile (strutturale e massiva) e quella femminile (casuale e residuale) che senso avrebbe fare indagini statistiche dove si documenta la violenza maschile sulle donne in tutte le sue forme, parlare di patriarcato, cultura dello stupro, femminicidio, di manspreading, di street harassment, di gender gap, di glass ceiling, di victim blaming, body shaming, e potrei continuare elencando tutte le campagne sulle diverse particolari forme di molestia e sopruso (che sono specularmente un privilegio) che i maschi compiono contro di noi anche costringendoci a interiorizzarle e normalizzarle?
            Che senso avrebbe una visione femminile, un partire dal sè che diventa sorellanza, se essere donna non fosse un’esistenza differente e irriducibile all’esser maschio? Se la mente della donna non avesse delle specificità irriducibili a quelle del maschio, che senso avrebbe parlare di “recepire, nell’ambito delle proposte di riforma della scuola, dell’università, della didattica, i saperi innovativi delle donne”? Cosa distinguerebbe le nostre analisi da una particolare analisi sociologica, storica, filosofica criticabile come le altre addirittura anche dalla classe sessuale oppressiva dei maschi?
            Se la cultura dello stupro, la violenza maschile, e tutte testosteroniche forme di intemperanza, irascibilità, grettezza che le statistiche rilevano e confermano quotidianamente non avessero un qualcosa di irriducibile nel maschio, cosa distinguerebbe il femminismo dalla semplice lotta per i diritti della persona? Che senso avrebbe, in fondo, parlare di femminismo?

            Ma è chiaro che come tutti i maschilisti lei vuole insinuare che il femminismo sia più un ostacolo che la via definitiva alla concreta realizzazione dei diritti e della libertà della persona ma questo non fa meraviglia ma dimostra ancora una volta che i maschi non rinunceranno mai da soli al loro privilegio come dice bene in un’intervista del 2013 su L’Huffington Post, Linda Laura Sabbadini direttrice del dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat e membro della commissione ONU che ha definito le linee guida a livello mondiale delle indagini statistiche sulla violenza contro le donne:
            “Tutti i Paesi del mondo sono maschilisti, anche l’Italia lo è. Ce lo dicono i dati. Non esiste un luogo dove la violenza di genere sia stata eliminata. Esistono, è vero, Paesi dove il carico di lavoro familiare è distribuito in maniera più equa tra uomini e donne. Ma, ovunque la violenza di genere stenta ad essere compressa o eliminata. La verità è che il mondo non è pronto alla libertà delle donne, le resistenze maschili al cambiamento sono fortissime. Sta anche alle donne reagire con forza.”

            1. non ho capito il senso del post, e più precisamente non ho capito se nel mondo da Lei idealizzato esisterebbe un posto per il maschio, ma rimane certo che il problema della mancata comprensione del Suo post risiede nelle mie capacità intellettive.
              cortesemente potrebbe riscriverlo con parole più semplici?

              1. Questa brighid mi affascina. Sembra uno di quei personaggi da film o della storia, un dottore intelligente che fa cose macabre, tipo frankestein o mengele. Anzi, meglio ancora mi ricorda 1984, quando il capo politico spiega a winston concetti come la neo-lingua, il bipensiero, il controllo del passato, il minuto di odio e così via.
                Se lei, brighid, avesse un potere assoluto sull’Italia, cosa farebbe? Quali leggi promulgherebbe?
                Vediamo se é così intelligente come lascia a credere.

              2. Caro Zagaro, chiedere ad una femminista se secondo lei esiste un posto nel mondo per il maschio è da ri-tar-da-ti.

                E’ mettersi a discutere e rompere i coglioni su come è costruito un ponte senza avere neanche la più lontana base di architettura, senza sapere cos’è un ponte, anzi.

                Davvero, non c’è tempo di aspettare quelli come te. Non ce n’è neanche bisogno.

  5. Bellissimo articolo, utile, necessario.
    Una domanda che non c’entra niente, ma che sapendo l’originale in inglese e forse anche visto il tema trattato, mi è venuta spontanea: perché tradurre ‘feminists’ con ‘femministe’ e non con ‘femministi’? Non vorrei che per ribellarci al maschile generico finissimo per far sentire scacciati i maschi o chi non è femmina, in generale, dal femminismo. E’ brutto che la genericità sia espressa al maschile nella nostra lingua… ma forse rimane comunque una scelta migliore della specificità al femminile, in certi casi. Cosa ne pensate?

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