Lettera aperta a Marco Travaglio

Caro Marco Travaglio,    ieri sera mi sono imbattuto nel tuo aspro confronto tv a Servizio Pubblico con Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly. Gli hai rinfacciato di fare i soldi grazie alla sua (nota) amicizia con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Di...

Caro Marco Travaglio,

ieri sera mi sono imbattuto nel tuo aspro confronto tv a Servizio Pubblico con Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly. Gli hai rinfacciato di fare i soldi grazie alla sua (nota) amicizia con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Di prendere appalti per l'Expo di Milano grazie a questo legame. E, sempre per questo motivo, di arraffare gratuitamente in affitto grandi spazi in altre città, come a Roma e Torino.

È stato tutto molto triste. Più o meno come al solito.

(E occhio che questa non è una difesa di Farinetti (anche lui ne spara) e del suo amico. Qui su Wired non abbiamo mai fatto sconti. Soprattutto a Renzi che infatti inseguiamo da mesi per un'intervista ma che lui – il premier più digitale di sempre (ci voleva poco) – gentilmente rifiuta sempre).

È stato triste perché, come sai, molte delle cose che hai detto non sono vere. Per esempio che Farinetti ha fatto i soldi grazie a Renzi. È falso per un semplice motivo. Farinetti è diventato “Farinetti”, prima che Renzi diventasse il “potente” Renzi. Anche per la questione di Expo, Renzi sembra non entrarci nulla se guardiamo ai tempi.

Poi c'è il discorso degli affitti. Io non so se sia vero che lui li ha a gratis. Ma, ammesso che lo sia, in tutti i paesi del mondo si fanno accordi trasparenti tra pubblico e privato dove quest'ultimo ottiene dei vantaggi in cambio di quelli che l'impresa può portare alla comunità, in termini – per esempio – occupazionali.

Si chiamano sgravi (a volte fiscali, altre volte di diversa natura), ma ci sono in tutto il mondo anche nei meritocratici Usa e in particolare in Silicon Valley, non proprio la terra di parentopoli.

Farinetti ti ha accennato alcune di queste risposte ma tu continuavi a ripetere a cantilena: “Paghi l'affitto, paghi l'affitto, paghi l'affitto”.

Insomma, volevi fare la figura del duro e soprattutto del giornalista con la schiena dritta a tutti i costi. È il tuo personaggio, te lo sei costruito con grande sapienza in questi anni. A parte quando hai avuto di fronte, durante l'ultima campagna elettorale per le politiche, Silvio Berlusconi e non gli hai saputo fare neanche una domanda “cattiva”. Avevi lì il “nemico” di una vita e, niente, non hai saputo fargli “male”.

Ma, ripeto, è il tuo personaggio, quello del duro, e quando chi come te ha lavorato su un brand personale ha tutti gli interessi a difendersi anche nel momento in cui sa, probabilmente, di aver sbagliato.

Un caso, il tuo, che a mio parere è un pezzo del brutto del giornalismo italiano. Quello del giornalismo “a tesi”. Di cui – a volte – ho fatto parte anche io. Quando ero un semplice collaboratore mi è capitato di scrivere pezzi per soddisfare la tesi (infondata) del direttore di turno.

Ma tu non sei un semplice collaboratore, siedi nella stanza dei bottoni, almeno del tuo giornale.

Non voglio farti lezioni di giornalismo, non ne sarei capace. Però il mio è un appello a chi, come te, dirige un giornale e soprattutto ha capito prima di altri che il giornale non è solo la sua carta ma anche la sua comunità che al Fatto sapete coltivare e dissetare benissimo. Cerca(te) di abbandonare le tesi precostituite. Capisco che svegliarsi tutte le mattine e scegliere il “nemico del giorno” è un modo di fare giornalismo che alcuni tuoi prestigiosi colleghi al Fatto adorano.

Ma superiamo i personaggi che ci sono incollati. Cerchiamo di informare. Ok con cattiveria, ironia, e senza scrupoli. E prendiamo anche delle posizioni nette: nel mondo “over informato” di oggi è fondamentale per emergere.

Cerchiamo di informare e non dire solamente le cose che abbiamo in testa, con tesi precostituite. Come sai, la separazione dei fatti dalle opinioni è una balla, ma almeno che i fatti siano reali e legati tra loro e con le opinioni in modo che aiutino i lettori a comprendere la realtà. Se dicessi che tuo figlio è a Italia's Got Talent perché tu sei un giornalista famoso, direi due verità “tuo figlio a Italia's Got Talent” e “giornalista famoso”. Ma direi una cavolata: non sono due concetti da legare. Lui è lì perché se lo è probabilmente meritato.