di Roberto Maragliano
“Si parla molto, oggi, di educazione sessuale dei giovani: ma è un argomento che non sono mai riuscito a prendere troppo sul serio. Alludo, beninteso, all’educazione sessuale quale argomento didattico, di cui si parla in sede pedagogica: e non già di quella che nel romanzo di Longo Sofista il giovinetto Dafni, innamorato della sua Cloe ma non meno di essa ignaro di ogni tecnica amatoria, riceve a un certo punto dall’esperta moglie del pastore; o di quella che all’adolescente Ugo Foscolo impartì la bella signora veneziana, da lui per ciò celebrata, in appassionate pagine di autobiografico ringraziamento, col nome di Temira.
Non parlo di questa seconda e diversa specie di educazione sessuale, perché non è prevista dai pedagogisti ufficiali, i quali confermano del resto, anche in ciò, il carattere primario di ogni insegnamento scolastico, come diretto all’acquisto della capacità di ripetere a parole nozioni ugualmente spiegate soltanto con parole, e tutt’al più di quella di ripetere, a parole, come certe cose si dovrebbero fare qualora si facessero non a parole. Ci mancherebbe altro che a scuola si insegnasse a far davvero le cose, facendo vedere come si fanno e addestrando praticamente a farle! La scuola è una missione dello spirito, un fatto eminentemente intellettuale. Si pretenderebbe forse che il Ministero della Pubblica Istruzione organizzasse i suoi istituti alla stregua delle scuole di guida automobilistica, dove si impara a guidare di fatto (cosa meramente pratica, e da vili meccanici) e non già a ripetere, nella superiore sfera del discorso, come si dovrebbe guidare quando guidare si sapesse?
Analogamente, del resto, quando mai l’insegnamento delle lingue, nelle scuole italiane almeno, si è fatto perché si apprendesse a parlarle o ad intenderle? Queste sono cose che possono interessare i portieri d’albergo, o i camerieri di ristorante. Le persone di cultura debbono invece conoscere le leggi della grammatica e della sintassi, di gran lunga più scientifiche che l’immediato, e quindi meramente naturalistico, uso dei linguaggi da cui sono estratte quelle regole. Bisogna sapere, e saper ripetere (in italiano), come si dovrebbero parlare quelle lingue nel caso che si parlassero. Ciò permette, fra l’altro, di superare anche la vieta e poco scientifica distinzione fra lingue vive e lingue morte: perché tutte le lingue, su questo piano autenticamente didattico, sono parimenti defunte, in quanto ciò che importa è solo la loro dissezione anatomica, detta anche ‘analisi logica’, della loro struttura linguistica.”
Questo scriveva il filosofo Guido Calogero nel 1963. Ripeto: millenovecentosessantatrè.
Chi vuole saperne di più non ha che da ricorrere all’antologia Quaderno laico, che Guido Vitiello ha appena curato e pubblicato per Liberilibri. Agli altri, propongo una sorta di compito in classe, avente per tema: Cosa è cambiato e cosa no, dentro la scuola italiana, nel mezzo secolo che ci separa da questa analisi?