Cultura

E' morta Nadine Gordimer, Nobel contro l'apartheid. "Sono un'africana bianca"

La grande scrittrice sudafricana, in prima linea contro il razzismo nel suo paese e per i diritti umani, si è spenta a 90 anni dopo una lunga malattia: minuta, elegante e decisa, insieme a Mandela ha sempre lottato per gli ultimi

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"Se n'è andata serenamente", nella sua casa di Johannesburg, con i figli Ugo e Oriane al suo fianco. E' morta a 90 anni Nadine Gordimer, sudafricana, una delle più grandi scrittrici di sempre. Attivista per i diritti umani, in prima linea contro l'apartheid, aveva vinto il Nobel per la Letteratura nel 1991. Oggi, l'addio, dopo una lunga malattia: solo qualche mese fa, a Repubblica, la scrittrice aveva annunciato il male che l'aveva colpita.
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La malattia. "Ho un cancro al pancreas", aveva confessato l'autrice di Il conservatore e Luglio, "e mi procura molto dolore. Quando ho scritto il mio ultimo romanzo (Ora o mai più, Feltrinelli, 2012, ndr) non lo avevo, non era ancora incominciato, e quello che ho scritto non ha nulla a che vedere con la malattia. La mia energia era immutata, e anche la mia attività intellettuale. Guardavo alla vita come ho sempre fatto. Non so quanto riuscirò a parlare. Non mi sento molto bene".

I racconti. Sempre in quell'intervista, l'ultima concessa a un giornale italiano, la Gordimer aveva contestualmente annunciato il suo
addio alla narrativa, almeno al romanzo, proprio per le sue cattive condizioni di salute: "Forse scriverò ancora un paio di racconti. Non ho più l'energia, scrivere mi fa star male e sono troppo critica, troppo esigente verso il mio lavoro, non credo che accetterei qualcosa che non mi soddisfa". La sua primissima opera fu del resto un racconto, all'età di 14 anni. Per Nadine, le short stories erano il genere ideale della nostra frenetica era.
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L'esordio. E proprio i Racconti di una vita (edizione Feltrinelli, come tutti i suoi altri libri) sono stati l'ultima opera di Nadine Gordimer arrivata in Italia: storie inedite e toccanti, lunghe diversi decenni, dagli anni 50 agli Anni Zero, che hanno raccontato ai suoi lettori le crepe, ma anche le tenui speranze, del Sudafrica. L'esordio, oltre sessant'anni fa: era il 1953 quando la Gordimer, figlia di un orologiaio ebreo lituano e protagonista di un'infanzia sensibile e solitaria, pubblicò in patria I giorni della menzogna, romanzo di formazione (e molto autobiografico) di una giovane donna bianca in una paese lacerato dai colori della pelle. Come Nadine Gordimer, che amava definirsi "un'africana bianca".

Le opere. In mezzo, una produzione folta e vigorosa, che l'ha accompagnata, tra accorato attivismo e aspra censura, nel gotha della Letteratura. Un ospite d'onore (1970), Il Conservatore (1974), vincitore dell'altro suo massimo riconoscimento, il Booker Prize (il Grinzane Cavour arriverà invece nel 2007), Qualcosa là fuori (1984). E poi gli ostracizzati Il mondo tardoborghese (1966), La figlia di Burger (1974), ma ancora prima Un mondo di stranieri (1958, storia di un britannico senza isterie politiche che "scivola" verso l'amicizia con i sudafricani neri) fino a Luglio (1981), messo al bando sia dagli oltranzisti dell'apartheid sia, clamorosamente, dai promotori del Sudafrica multirazziale. Motivo: "Razzista, arrogante e paternalistico".

Il Nobel e la lotta all'apartheid.
Nadine Gordimer aveva vinto il Nobel nel 1991 per, si legge nella motivazione della giuria, "esser stata di enorme beneficio all'umanità grazia alla sua scrittura magnifica".
Era vero. Perché la Gordimer era una graziosa combattente. Certo minuta, delicata, elegante, anche salottiera. Ma costantemente in prima linea contro ogni razzismo, in nome degli ultimi di questa Terra. Così, nonostante il candore della sua pelle, ha scritto e inveito senza sosta contro il razzismo istituzionale del suo Paese, il Sudafrica pre-Mandela, ma anche post, come quello di Zuma devastato dalla corruzione. Così si è iscritta al partito di Madiba, l'African National Congress, quando era ancora fuorilegge. Così si è battuta per i malati di Aids, altra piaga di un Sudafrica ancora martoriato, e per tanti altri dimenticati dal mondo. Perché, come disse poco prima della vittoria al Nobel, "non posso deprecare solo l'apartheid quando l'ingiustizia umana è ovunque".

VIDEO - Nadine Gordimer, gentile ma di enorme coraggio -
di Pietro Veronese

Il rapporto con Mandela. Madiba, appunto. Altro abbagliante faro della sua vita, insieme alla letteratura, illuminatosi dopo il loro primo incontro, nel
1964, durante il processo Rivonia, al termine del quale Mandela fu condannato all'ergastolo. Un'ammirazione che andava oltre le parole, persino per un Nobel come lei. Sempre a Repubblica, Nadine Gordimer aveva ricordato così l'ex ribelle poi presidente Mandela, subito dopo la sua morte: "Noi sudafricani siamo fortunati ad averlo avuto con noi. Perché se dovessi provare a spiegare tutto quello che ho avuto da lui, io che sono fra le persone che hanno avuto l'onore di conoscerlo di persona, credo che non ci riuscirei. Madiba era un democratico naturale, una cosa piuttosto inusuale in Africa. In un continente che ha lottato per decenni per liberarsi dalla dominazione straniera e raggiungere la libertà, è raro trovare qualcuno che non basi la sua azione sull'odio o il risentimento".

Il rapporto con l'Italia. Infine, l'Italia. Perché Nadine Gordimer aveva uno strettissimo rapporto con il nostro Paese. Un amore trasmesso anche alla figlia maggiore Oriane, che vive a Briaglia, nel cuneese, dove fa l'insegnante.
"Ho la fortuna di avere nel vostro Paese un editore e dei traduttori così meravigliosi", aveva detto, "i miei libri sono tradotti in più di quaranta lingue, 42 o 43 direi, e la prima è stata l'italiano, grazie a Giangiacomo Feltrinelli. Da allora il mio rapporto con l'Italia è sempre stato molto forte. Voi italiani avete uno spirito indipendente". Come Nadine, per sempre.