«Stefano è morto d’ingiustizia, andremo avanti, non può finire così. Indaghino per sapere chi è stato a pestarlo». Scuote la testa Ilaria Cucchi mentre gli occhi si riempiono di lacrime. La sentenza che in secondo grado ha assolto tutti gli imputati per la morte di suo fratello è «l’orrenda conferma che di Stefano non è mai importato nulla a nessuno». Nessuna rassegnazione.

Perché è una conferma?

«Dal primo istante non si è voluta fare giustizia. Mi parlarono subito di morte naturale. Se non ci fossimo battuti, non ci sarebbe stato neppure il processo. Adesso è stato riconosciuto che il pestaggio è avvenuto. Non si dice chi è stato, ma si ammette che Stefano è stato pestato. L’unico passo avanti. Però non è servito a niente. Mentre smetteva di vivere, ha avuto intorno soltanto persone prive del minimo senso di umanità. Lo Stato in cui continuo a credere deve assicurare alla giustizia i responsabili dello scempio. In ospedale non lo hanno guardato come un essere umano, lo hanno guardato e trattato da tossico. A uccidere Stefano è stato il pregiudizio. A mio fratello la giustizia è stata negata da vivo e da morto».

Qual è il primo pensiero?

«Questa sentenza è un fallimento dello Stato, la giustizia italiana è malata. Cinque anni fa Stefano è morto qui nei sotterranei di un’aula di piazzale Clodio, in un’udienza direttissima dei magistrati che non hanno visto le sue condizioni, quelle di un ragazzo che dopo sei giorni si è spento tra dolori atroci, solo come un cane. Aspetteremo le motivazioni. Dovranno arrestarmi per farmi smettere. Chiedo allo Stato, da cittadina prima ancora che da sorella ho il diritto di sapere che cosa è successo a Stefano mentre era affidato alle cure dello Stato, che lo ha preso vivo e ce lo ha restituito morto. Quella di mio fratello era una morte destinata al silenzio. Un omicidio impunito. C’è stato un clima di ostilità. Sempre. E adesso i risultati sono sotto gli occhi di tutti».

Cosa la ferisce di più?

«Mio fratello è morto di ingiustizia, di una giustizia che non è uguale per tutti e che non è per gli ultimi e mio fratello in quel momento era un ultimo. Le istituzioni devono saper giudicare se stesse. Non mi aspettavo una sentenza del genere. Nonostante tutto, finora ho sempre avuto fiducia che la giustizia potesse e volesse accertare la verità e dirci perché mio fratello è morto».

E adesso cosa farà?

«Il mio appello ora è allo Stato, che continuo a rispettare. In fondo e alla fine chiedo che lo Stato sia capace di giudicare se stesso come è diritto di ogni cittadino. Mostrerò sempre le foto del corpo martoriato di mio fratello. Non è stato detto in primo grado che Stefano non era stato pestato, ma che non si sapeva chi fosse il colpevole. Mi aspetto che si trovi chi è stato. Mi aspetto che si facciano davvero delle indagini. Chi deve farle? Devo essere io a indagare?».

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