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Se i media parlano troppo di psicologia (e lo fanno male)

Ci si può fidare della miriade di studi psicologici che quotidianamente vengono pubblicati e che affollano i nostri media? A volte sì, a volte no. Del resto, come ricorda il  New York Times, già in passato è accaduto che affermati psicologi e ricercatori siano stati presi con le mani nel sacco, intenti a fabbricare dati a tavolino per le loro ricerche "scientifiche". Nel 2011, ad esempio, è stata la volta dello psicologo olandese Diederik Stapel, della Università di Tilburg, il quale, nella sua prolifica carriera, ha pubblicato diversi studi sulle maggiori riviste scientifiche, su argomenti quali l'effetto del potere nell'ipocrisia, gli stereotipi razziali e gli effetti della pubblicità sull'identità personale.

Almeno una decina dei suoi studi sono risultati falsi, hanno appurato gli investigatori, dopo aver intervistato ex studenti, co-autori e colleghi. I suoi studi sono stati creati per fare colpo sui media, come quello pubblicato su Science, nel quale scriveva che i bianchi hanno maggiori pregiudizi nei confronti delle persone di colore se provengono da ambienti disagiati, rispetto a chi vive in un ambiente maggiormente organizzato. In un altro studio, pubblicato nel 2009, Stapel sosteneva invece che nei colloqui di lavoro avevano maggiore successo i soggetti con un timbro di voce maschile. Il Dr. Stapel, una volta scoperto, ha scritto nel suo blog di sentirsi un fallito, come scienziato e come ricercatore, e di provare vergogna e dispiacere per le sue azioni.

Dall'indagine condotta è emerso che il Dr. Stapel aveva potuto continuare per anni la sua falsa ricerca in quanto era "Signore dei Dati": visto infatti che era considerato da tutti un accademico molto carismatico, era lui l'unica persona che aveva accesso ai dati sperimentali delle sue ricerche. Il non voler condividere i dati della ricerca è una nota dolente che si ripropone spesso: un atteggiamento del genere infatti viola le norme etiche della ricerca scientifica, ma è molto praticato. Peraltro, in un'altra ricerca pubblicata nel 2011 su PLoS One, da Wicherts, Bakker e Molenaar, è stato scoperto, non troppo sorprendentemente, che più i ricercatori si mostrano riluttanti nel condividere i dati della loro ricerca, maggiori sono le probabilità che vi siano errori nell'evidenza scientifica dei loro studi.

L'atteggiamento riservato dei ricercatori tuttavia non è, in molti casi, del tutto incomprensibile, vista l'enorme competizione che c'è nel loro ambiente e la diretta correlazione fra scoperte scientifiche e carriera personale: non tutti vorranno certo avere esperienze come quella capitata a Rosalind Franklin, la vera scopritrice della struttura del DNA, sconosciuta ai più, sebbene altri con questa sua scoperta presero perfino il premio Nobel!

Oltre che completamente false, le ricerche psicologiche possono essere correttamente effettuate, ma piene di errori nel calcolo statistico: del resto gli psicologi hanno poco a che fare con la matematica! (Vedi in proposito la ricerca di Wicherts e Bakker, sempre dell'Università di Amsterdam, che prendeva in esame 281 studi pubblicati su note riviste scientifiche: i calcoli statistici erano completamente errati nel 50% dei casi, mentre nel 15% di esse vi erano errori di calcolo minori, in particolare quando i dati ottenuti erano in contrasto con le ipotesi iniziali degli autori).

Alcuni sono arrivati a chiamare, a ragion veduta, alcune di queste ricerche psicologiche come "scienza spazzatura" o, peggio, "scienza Voodoo", specialmente dopo che anche una rivista accreditata, come The Journal of Personality and Social Psychology ha accettato di pubblicare una ricerca sulla percezione extra-sensoriale. 

Più recentemente, nel Maggio 2015, è accaduto che la prestigiosa rivista Science abbia ritirato una ricerca da poco pubblicata, senza il consenso del suo autore, Michael J. LaCour, dell'Università di Los Angeles, sempre per quanto riguarda alcune irregolarità nel calcolo statistico dei dati, oltre che per alcune dichiarazioni false rese dall'autore in merito alle modalità di svolgimento dei sondaggi. In questo caso la ricerca riguardava le capacità di persuasione, che permettevano di convincere anche gli scettici alla normalità del matrimonio gay.

La situazione descritta fa molto male alla ricerca psicologica, la quale solo di recente ha ottenuto una sua credibilità in campo scientifico, seppure ancora piuttosto fragile. A peggiorare le cose arriva in questi giorni una nuova ricerca, Estimating the reproducibility of psychological science, condotta da Brian Nosek, psicologo sociale presso l'Università della Virginia, che conferma le difficoltà in cui versa il settore. Infatti, dopo aver selezionato 100 ricerche, pubblicate nel 2008 su tre delle più importanti riviste scientifiche del settore (Psychological Science, il Journal of Personality and Social Psychology, e il Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition), i ricercatori hanno scoperto che il 50% di esse non sono riproducibili (come insegnò Galileo Galilei, la conoscenza della realtà può dirsi scientifica solo se è oggettiva, affidabileverificabile e condivisibile. Tutto quello che non può essere replicato non è scientifico).

Il Reproducibility Project è iniziato nel 2011, quando Nosek e colleghi hanno reclutato 250 ricercatori e selezionato 100 studi da replicare, per accertarne la validità. I ricercatori, consci del fatto che molte possono essere le variabili che influenzano gli studi, hanno lavorato in stretta collaborazione con gli autori originali delle ricerche, in modo da poter riprodurre i loro dati il più fedelmente possibile, utilizzando perfino un numero di soggetti più ampio di quello utilizzato nelle ricerche originali, per dare al loro lavoro il massimo della significatività statistica.

Ebbene, da questa ricerca è emerso che, a differenza dei casi precedentemente citati, gli studi non sono falsi, né errati: nella maggior parte dei casi, i dati sono risultati corretti, ma con una significatività statistica ai minimi livelli. In altre parole, i risultati ottenuti sono stati largamente enfatizzati, ingigantiti, gonfiati, per sorprendere i lettori e trovare così spazio nei media.

Tra gli studi esaminati nella ricerca del Reproducibility Project ce ne è uno sul libero arbitrio: sostiene che i partecipanti che leggono un brano in cui si sostiene che il volere individuale è predeterminato tendono poi a mentire in un test. Un altro riguarda l'influenza della distanza fisica: se ai partecipanti viene chiesto di unire due punti lontani su un grafico, questo determina un attaccamento emotivo inferiore verso la propria famiglia rispetto a chi deve unire due punti più vicini, sullo stesso grafico. Un altro studio riguarda la scelta del partner, in cui le donne con maggiore attaccamento danno dei punteggi più elevati ai possibili partners se sono nel loro periodo fertile (rispetto a quando non sono fertili).

Questo tipo di ricerche psicologiche possono in effetti sorprendere per quanto sono strane, stravaganti e strampalate. Sarebbe sbagliato tuttavia pensare che esse siano ininfluenti: queste notizie, sparate sui media, contribuiscono alla conoscenza popolare della psicologia, cioè alla conoscenza che le persone hanno degli aspetti emotivi e cognitivi della personalità umana, delle dinamiche nelle relazioni interpersonali, ecc. Queste ricerche influiscono dunque sulla nostra vita, perché una volta apprese, guidano consciamente e inconsciamente le nostre scelte e diventano un punto di riferimento per i professionisti che operano in diversi settori: ad esempio, in campo scolastico o terapeutico. Per questo scoprire che queste ricerche, cui tutti diamo credito, siano "scienza voodoo" è veramente preoccupante.

Ciò che conforta è che la scienza psicologica stia facendo in realtà ciò che dovrebbe fare qualsiasi scienza esatta: cioè confutare le teorie false e sostituirle con teorie sempre più oggettive. Il solo fatto di parlarne apertamente rispecchia già un atteggiamento scientifico, e dunque va incoraggiato, anche in altri settori della ricerca.

Sarebbe ingenuo infatti pensare che questa situazione riguardi solo la psicologia: tutto quello che si è detto per la ricerca psicologica potrebbe avvenire anche in altri campi della ricerca scientifica, come sostiene il Dr. John Ioannidis, direttore dello Stanford University's Meta-Research Innovation Center, per quanto riguarda i campi della biologia cellulare, delle neuroscienze, della medicina clinica e della ricerca sugli animali (se la ricerca psicologica sugli atteggiamenti umani è importante, proviamo a pensare quanto sia importante la ricerca sul cancro...).

Voci critiche si sono levate anche nei confronti della ricerca di Nosek: chi controlla il controllore? Nel caso della ricerca di Paola Bressan dell'Università di Padova, che appare fra quelle esaminate, l'autrice si chiede ad esempio se sia corretto considerare equivalenti un campione di studentesse americane con un campione di donne italiane.

I ricercatori, in tutti i settori, lamentano la presenza di un ambiente troppo competitivo che, oltre tutto, favorisce e finanzia solo le ricerche più estrose e "sexy": i fondi pubblici e privati per chi desidera replicare i risultati sono invece scarsi o inesistenti e dunque le ricerche pubblicate e ampiamente diffuse dai media finiscono per esprimere l'ultima parola nei più vari argomenti, visto che nessuno prova a confutarle.

D'altro canto, a chi potrebbe interessare che una ricerca pubblicata sei mesi fa sia risultata falsa o parzialmente errata? I lettori sono in genere distratti ed i media, piuttosto che pubblicare sterili rettifiche, cercano piuttosto notizie "hot", in modo da attrarre un maggior numero di lettori, o di spettatori, per vendere la pubblicità.

Delle ricerche psicologiche si parla ormai nei media come si fa con gli oroscopi o il gossip sui vip, ma questo non è un bene per chi lavora seriamente. Sta dunque ai ricercatori, in primis, presentare i risultati ottenuti in modo accurato e onesto, senza esagerare le cose, senza cercare una facile notorietà. Non meno importante è un richiamo alla professionalità dei giornalisti (e di alcuni "esperti" o pseudo-tali), i quali dovrebbero fare divulgazione affrontando ogni nuovo studio con maggiore scetticismo, per cercare di capire se le ricerche pubblicate presentino o no degli aspetti di vulnerabilità (ad esempio, ricerche condotte su un campione di 30 persone non dovrebbero essere prese nemmeno in esame...). Infine, i lettori dovrebbero essere meno passivi rispetto a tutto quello che diffondono i media (Esempio tipico: "È vero, l'ha detto la tv").

Insomma, tutti partecipiamo, direttamente o indirettamente, al circo mediatico: un atteggiamento più critico da parte di tutti potrebbe essere di grande aiuto, non solo per la salute della ricerca scientifica, ma anche per la nostra salute, il nostro benessere e la qualità della nostra vita.

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