Esteri

Iran, Djalali condannato a morte per spionaggio. Alfano: "Ce ne stiamo occupando"

Ahmadreza Djalali 
L'arresto risale al 24 aprile 2016, il regime di Teheran accusa il medico di "collaborazione con governi nemici". Elena Ferrara (Pd): "Ridaremo vigore alla mobilitazione per liberarlo, non ci arrendiamo". Radicali: "Governo convochi ambasciatore"
2 minuti di lettura
TORINO - Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore iraniano arrestato a Teheran lo scorso anno con l'accusa di essere una spia, è stato condannato a morte. Lo rende noto la senatrice novarese del Pd Elena Ferrara, tra le prime a mobilitarsi nei mesi scorsi a favore del ricercatore, che per quattro anni ha lavorato all'Università del Piemonte Orientale. "La notizia ci è arrivata dalla moglie - dice la senatrice - e questa mattina è stata confermata dalla Farnesina. Ridaremo vigore alla mobilitazione, non ci arrendiamo".

Ad occuparsi del caso anche la Farnesina: "Abbiamo sollevato il caso più volte, lo abbiamo fatto a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello governativo. Vedrò il nostro ambasciatore in Iran nei prossimi giorni. L'ho appena sentito e continueremo a sensibilizzare gli iraniani su questo caso, fino all'ultimo", ha detto il ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

LEGGI La moglie del ricercatore arrestato in Iran: "Papa Francesco ci aiuti" di A. GUERRERA

Djalali, 46 anni, con un lungo passato oltre che all'Università del Piemonte Orientale di Novara, anche presso il Karolinska Institutet di Stoccolma, nonché presso la Vrije Universiteit Brussel, è oramai da più di un anno incarcerato senza una accusa vera nella famigerata prigione di Evin, vicino a Teheran. Non può parlare con nessuno, se non ogni martedì con sua madre e la sorella in Iran. E così la moglie Vida Mehrannia e i figli, ora in Svezia dove lei lavora come chimico, quando possibile, riescono a parlare con lui solo telefonando ai parenti in Iran nello stesso momento in cui Ahmadreza può chiamarli (ma non ci sono orari fissi): avvicinando le due cornette, una dal lato del microfono l'altra al ricevitore. Il regime di Teheran lo accusa di "collaborazione con governi nemici".

LEGGI Salviamo lo scienziato prigioniero a Teheran di E. CATTANEO

L'arresto risale al 24 aprile 2016. In carcere ha condotto tre scioperi della fame, e uno delle sete, per affermare la propria innocenza. Le sue condizioni di salute sembrano esser peggiorate velocemente. A suo favore, nei mesi scorsi, c'è stata una vera e propria mobilitazione internazionale, che ha portato alla raccolta di oltre 220 mila firme in tutto il mondo. Amnesty International ha avviato un'azione urgente e i figli di 5 e 14 anni, che vivono in Svezia con la mamma, si sono rivolti anche a Papa Francesco.

"Francesco aiuta il mio papà a tornare a casa, non lasciarlo morire in prigione...", era stato il loro appello al Papa via Facebook. L'assemblea generale della Crui ha approvato nel marzo scorso una mozione, in cui i rettori delle università italiane ribadiscono "l'incondizionata difesa di tutte le libertà civili e processuali". I radicali italiani hanno chiesto al Governo di convocare l'ambasciatore dell'iran per chiedere spiegazioni e sollecitare la liberazione di Djalali.

Anche l'organizzazione per i diritti umani Iran human rights, vicina all'opposizione iraniana, ha condannato "fermamente" la sentenza. Il direttore Mahmoud Amiry-Moghaddam, citato dal sito d'informazione Iranhr, ha dichiarato che "Djalali è stato giudicato da un tribunale rivoluzionario senza i minimi requisiti richiesti per un processo equo. Chiediamo alla comunità internazionale una ferma condanna della sentenza". Amnesty international, secondo quanto riporta radio farda, emittente dell'opposizione, ha riferito che il ricercatore era "sotto pressione" per firmare documenti che avrebbero confermato le accuse di spionaggio. E "dopo il suo rifiuto di firmare le carte, è stato minacciato, con la prospettiva della condanna a morte".

"È un fatto inaccettabile e del tutto imprevedibile" ha detto il professor Francesco Della Corte, direttore del Credim, che ha lavorato per alcuni anni al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri dell'Università del Piemonte Orientale. "Purtroppo la mobilitazione internazionale non ha dato i risultati sperati - ha aggiunto - ma non ci lasceremo prendere dallo sconforto e continueremo a batterci per il nostro collega". "È un fatto terribile, che ci lascia sgomenti, e che conferma la distanza siderale tra la nostra civiltà e la loro per valori, cultura e principi", aggiunge il sindaco di Novara, Alessandro Canelli. "È un destino assurdo, al quale spero che si potrà porre rimedio - aggiunge il primo cittadino -. Qualsiasi iniziativa vedrà il Comune di Novara pronto a collaborare, indipendentemente da qualsiasi colore politico: qui c'è in ballo il destino di un uomo ingiustamente condannato".