30 marzo 2015 14:50

“Mi rivolgo a voi da colonizzatrice a colonizzatori”. Sto cominciando così le mie conferenze qui negli Stati Uniti, e farò lo stesso nei prossimi giorni in Australia e Nuova Zelanda. Lo so, non dovrei dirlo. Se tra i partecipanti ci fosse qualche lettore di Internazionale rischierei di rovinargli la sorpresa.

Poi passo a sviluppare questo concetto. Mi soffermo sulle ovvie analogie tra le due società colonizzatrici, quella statunitense e quella israeliana, per poi passare alle differenze. Un’importante differenza è che la popolazione indigena palestinese non è stata decimata dall’avanzata sionista, come invece lo sono stati gli indigeni all’avvento degli europei. Un’altra differenza: oggi c’è chi chiede lo scioglimento dello stato di Israele, cosa che non avviene per gli Stati Uniti. Nel caso degli israeliani qualcuno propone di imitare il modello algerino: secondo questa teoria tutti gli ebrei dovrebbero “tornare da dove sono venuti”.

Dopo aver esaminato analogie e differenze affronto anche una contraddizione interna: a un certo punto i colonizzatori diventano indigeni. I colori e gli odori, la natura e la cultura, la lingua e l’umorismo della nuova terra diventano un habitat naturale anche per chi affonda le sue radici in altri continenti.

R, un vecchio conoscente che ho rivisto in North Carolina, ha vissuto a Ramallah durante la prima intifada e ha lavorato per un’organizzazione palestinese per la difesa dei diritti umani. Hippy ebreo americano, R è stato attratto dalla lotta palestinese per la libertà e dai suoi protagonisti laici e di sinistra. Dopo quasi un decennio è tornato negli Stati Uniti, dove gli avevano offerto un incarico legato al Medio Oriente.

Poi però si è guardato intorno e ha cominciato a preoccuparsi per gli immigrati che l’amministrazione Obama vorrebbe deportare (“gli immigrati in prova possono essere espulsi se prendono una multa in macchina”, “le famiglie vengono separate”). Si è guardato intorno e ha visto come vivono gli afroamericani (“in alcuni stati una condanna penale priva l’interessato del diritto di voto”, “ovunque il numero dei detenuti afroamericani è sproporzionatamente alto”). Si è guardato intorno e ha constatato la scomparsa del popolo indigeno che un tempo occupava quella terra.

Come colonizzatore diventato indigeno ha capito che avrebbe dovuto affrontare le contraddizioni interne del suo paese, combattendo l’oscenità della società in cui vive.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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