Meister Eckhart

Da LogicaUnitaria.

"Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da dio"

(Meister Eckhart, "Beati pauperes spiritu")


Eckhart von Hochheim dell'ordine dei frati predicatori più conosciuti come domenicani è nato a Tambach-Dietharz o a Hochheim nel 1260 e morto a colonia o Avignone nel 1328 circa.

Teologo, filosofo e mistico renano del medioevo cristiano è stato un grande predicatore domenicano tanto che il titolo di "maestro" con cui i suoi contemporanei lo appellavano divenne infine il suo stesso nome con cui i più ancora adesso lo conoscono.

E' sicuramente uno dei più notevoli teologi tedeschi e la storia del pensiero tedesco è profondamente segnata dalle sue elaborazioni di pensiero.

Altri padri del suo stesso ordine domenicano come Enrico Suso e Giovanni Taulero subirono la sua influenza.

Lo stesso Niccolò Cusano, Martin Lutero fino ad Angelus Silesius, con il suo Pellegrino cherubico (1674) e poi ancora Fichte, Hegel, Schopenhauer e più vicino a noi Martin Heidegger, tutti si formarono non solo ma anche al pensiero del grande mistico medievale.


La pratica del distacco

Ci si sbaglia se si pensa a Meister Eckart come solo a un teorico in quanto mistico, poichè egli al contrario si rivolge all'azione e propone una prassi definita come "pratica del distacco" e il suo stesso pensiero nasce da una simile e incessante prassi che egli nel praticarla in prima persona propone anche agli altri nella sua opera di predicatore medievale.

Pratica del distacco: ma perchè? Con quale finalità?

Per giungere al fondo dell'anima dove infine nasca Dio in noi - dice il maestro di mistica medioevale.

Un Dio che ci liberi da dio ovvero dalla superstizione e da una falsa credenza poichè solo quel Dio che è nel fondo dell'anima è il vero Dio e non l'altro prodotto dalla superstizione.

Meister Ekhart quindi fondamentalmente è un ateo, un ateo sui generis, un ateo religiosissimo, quindi non c'è da meravigliarsi che anch'egli come tanti altri di quei tempi di grande fervore religioso sia stato accusato di eresia e che i suoi scritti siano stati vietati dalle gerarchie della chiesa di cui egli stesso era un membro.

Egli ci dice che quel dio lì non esiste e che tuttavia esisterà infine se lo cerchiamo e infine lo troviamo al fondo della nostra anima e dopo un duro lavoro di "pratica del distacco".

Come dire: niente lavoro, niente Dio.

Ma cosa implica questo suo discorso in concreto?

Implica che a coloro che non intendono muoversi e procedere lungo la via della pratica del distacco non resta, se vogliono comunque avere un dio a cui far riferimento come guida che li orienti nella vita, che affidarsi alla superstizione con tutto ciò che ne consegue sia nel bene che nel male.

Oppure rinunciare del tutto a una tale guida e affidarsi al mondo ossia al pragmatismo e al concretismo, al materialismo o allo scientismo che è come dire fare della propria testolina solo umana troppo umana un dio ovvero divenire un ricco di spirito sempre più ricco di spirito e in ultima analisi un proprietario, un vero capitalista dello spirito.


Biografia

Non esiste né un'immagine autentica di Eckhart né un manoscritto originale. Anche l'attribuzione delle sue prediche e dei trattati in tedesco è talora controversa. I testi in latino - che sono pervenuti soltanto in parte - lasciano intravedere la sua mano. Malgrado queste numerose lacune si riescono a ricostruire alcuni passi della sua vita e della sua dottrina:

  • precocemente, forse già nel 1275, Eckhart entrò a Erfurt nell'ordine dei domenicani;
  • dal 1277 al 1289 Eckhart acquisisce una formazione di base in artium, naturalium (filosofia naturale), solemne (teologia) e generale (studium generale), che si conclude con la sua ordinazione presbiterale. Questi studi furono effettuati presso i conventi che disponevano dei relativi insegnanti. Tali luoghi di insegnamento erano stabiliti dai capitoli provinciali dell'ordine. Gli atti dell'epoca della provincia teutonica non sono pervenuti se non qualche fragmento. Dunque è possibile che Eckhart abbia passato uno o più anni a Colonia, dove potrebbe avere conosciuto Alberto Magno;

circa nel 1290 Eckhart riesce a iscriversi all'Università di Parigi, dove nel biennio 1293/1294 fu lettore delle sentenze di Pietro Lombardo; nel 1294 Eckhart diventa priore del convento domenicano di Erfurt e vicario dell'ordine per la Turingia. nel 1302 è di nuovo insegnante a Parigi, ora come magister[1]. Nelle sue Quaestiones parisienses si ravviserebbe, secondo alcuni interpreti, il passaggio teologico da un'ontologia della sostanza a una filosofia dello Spirito.

1303-1310 Eckhart assume la guida della neocostituita provincia sassone dell'ordine, la cui sede viene da lui fissata, quale provinciale, presso il convento domenicano di Erfurt. A quest'epoca risalgono fra l'altro due prediche per il capitolo generale dell'ordine a Tolosa e a Piacenza e le lectiones sul Siracide, opere nelle quali è ulteriormente sviluppata la filosofia dello Spirito abbozzata nelle quaestiones.

1311-1313 Eckhart segue un secondo magisterium a Parigi. All'epoca soltanto Tommaso d'Aquino poteva vantare un tale curriculum. A quest'epoca risalgono i testi più importanti in latino; in specie le interpretazioni dei libri veterotestamentari del Genesi, Esodo, Sapienza nonché del Vangelo di San Giovanni e più tardi un voluminoso di prediche sempre in lingua latina. 1314 Eckhart diventa vicario generale del monastero domenicano di Strasburgo. Datano di questo periodo la maggior parte dei suoi scritti più conosciuti le „Deutschen Predigten“, ossia le prediche in tedesco.

1322 Eckhart assume la guida dello Studium generale di Colonia, dove egli stesso si era formato

1325 alcuni confratelli denunciano Eckhart presso l'arcivescovo di Colonia Heinrich II von Virneburg per affermazioni eretiche.

1326 la lista di 49 imputazioni a carico di Eckhart viene ridotta a 28. Per evitare il peggio nel 1327 Eckhart ritrattò le proprie tesi.

1328 Eckhart muore. Non si sa se durante un viaggio verso la corte di papa Giovanni XXII ad Avignone o già durante il ritorno verso Colonia.

23 marzo 1329 delle 28 tesi incriminate 17 sono ritenute eretiche dalla bolla papale In agro dominico[2]. Delle altre 11 è criticata la lettera, in quanto avrebbe dato adito a fraintendimenti.


Il pensiero e la mistica

Dio e dio

Eckhart nella nota predica "Beati pauperes in Spiritu" invoglia i fedeli a "pregare "Dio" affinché li liberi da "dio"" (il primo maiuscolo, il secondo minuscolo), dove il primo è il "Dio Eckhartiano" (per così dire), totale ed indefinibile, puro ed assoluto, ed il secondo un mero essere superiore, un "sovra-essere", un essere dalle funzioni totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario collettivo, ispirato dalla religiosità naturale. In definitiva, mentre il secondo è l'idea a cui l'uomo ricorre per "chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una "superstizione", il primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in Lui, con Lui e per Lui non vi è altro che Esso.

La nascita di Dio nell'anima

Un tema importante delle prediche tedesche di Eckhart è l'insegnamento sulla nascita di Dio nel profondo dell'anima. Il rapporto tra Dio e Anima esiste, si constata non solo la somiglianza, ma piuttosto l'identità.

Per rendere chiaro il concetto di questa relazione, nella predica 82 Eckhart usa la metafora del fuoco: quando il fuoco è generato all'interno del legno gli trasmette la propria natura e la propria essenza, e il legno, da sé, diviene sempre e sempre più simile al fuoco.

La nascita di Dio non si comprende nel pensiero come un allontanamento misterioso, piuttosto si basa sulla visione che l'intelletto sopra razionale realizza la propria natura una volta che scopre che la propria realtà e quella divina sono il medesimo nell'In-Principio. Dagli insegnamenti aristotelici sull'anima, come sono recepiti in Tommaso d'Aquino, l'anima è legata al corpo e ai sensi; gli uomini possono quindi essere riproduzioni imperfette di Dio, poiché non vi è una identità tra Dio e la ragione. Nella tradizione scolastica di Anselmo di Canterbury (che segue Tommaso) solo una forza fuori dal comune, donata dal Dio caritatevole, è capace di porre riparo alla imperfezione umana ed essa è la Grazia divina.

Echkart affermando che Dio si riproduce completamente nell'intelletto, poiché Dio genera il proprio Figlio negli uomini in un atto creativo continuo e ininterrotto, invoglia l'uomo al cammino interiore affinché affinando il corpo e l'anima riesca successivamente a distaccarsene.

Il risultato della nascita di Dio nell'anima è la "pace". Con questo termine Eckhart intende un radicale distacco ed una perenne contemplazione. Un uomo del genere non è più un'individualità ma è quel che deve essere nel sovra-essere. L'uomo pacificato è il Figlio di Dio, il Cristo, seguendo gli insegnamenti di san Giovanni e san Paolo.

L'uomo che vuole penetrare nell'intimità divina e raggiungere la pace non deve restare passivo, piuttosto deve essere attivo e guadagnarsi tale realizzazione co-operando con la grazia divina. Allora come Dio, sarà pura attività nella propria intimità, che altro non è che l'intimità di Dio. Egli è Dio per natura, ogni uomo può essere Dio per grazia.

Le prediche di Eckhart sono rivolte alla cura delle anime, principalmente dei frati e delle suore del proprio ordine. Si possono leggere come guide pratiche per raggiungere Dio nel profondo del cuore.

Questi alcuni passaggi importanti:


  • La rinuncia del pensiero dualista - « l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio, da cui Dio mi vede; il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e una sola conoscenza »
  • Allontanare il tempo dalla vita quotidiana - « alla maniera di ciò che non ho generato, non potrò mai morire, quello in cui sono vicino a ciò che genero, quello per me è mortale; per questo è necessario che si guasti col tempo »
  • La ragione e l'intelligenza non sono strumenti per arrivare all'esperienza divina - « potrebbe Dio aver necessità di una luce per vedere che è sé stesso? Oltre la ragione, che cerca, c'è un'altra ragione, che non cerca oltre »
  • "[...] è più povero solo chi non vuole nulla e non desidera nulla."
  • «Vuoi conoscere Dio nel modo divino, così che la tua conoscenza diventerà pura ignoranza e oblio di te stesso e di tutte le creature?»
  • Abbandonare ogni pensiero, ogni idea, ogni conoscenza.
  • La perfetta assenza di una meta e la rinuncia di ogni volontà.

Il pensiero e l'essere divino è la causa degli enti; in quanto è universale e indeterminato, «non è un ente e tende al non-ente». Crea ed è il fine degli enti, per cui è prima e più importante dell'essere per la metafisica, bene e male sono qualità degli enti, mentre vero e falso sono nell'anima che contiene immagini di questi, nate con la mediazione dei sensi, la memoria, la volontà o il giudizio. Poiché non è un ente, e diversamente da questi, l'anima non è determinata a conoscere sé stessa, può puntare al pensiero divino, ma nasce orientata verso gli enti, che le impediscono di pensare ed essere nel pensiero divino, e poi di giungere ad unità con l'Uno, oltre il pensiero.

Secondo Eckhart, Dio è sine modo, impredicabile come l'Uno di Plotino. L'Io si tiene lontano da questa identità finché utilizza la mediazione della memoria, del giudizio, della volontà e dei 5 sensi, e finché forma il suo contenuto con immagini di enti determinati, che sono finiti e periscono nel tempo. La finitezza nella qualità e nella quantità, nell'occupare uno spazio e un tempo, e il manifestarsi con la mediazione di qualche attributo della coscienza, sono modi dell'ente e non propri del manifestarsi divino, che è immediato, posto non in relazione alle sue qualità appare come l'anima che lo ospita, e con l'infinità di tutti i suoi attributi.

Con questi motivi metafisici, è spiegata la mistica del ritorno all'Uno. Nel momento del ritorno all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita spirituale, le leggi e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono per «l'essere ciò che Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia a tutto ciò che è opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad avere, agire, conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio etico o estetico. Il percorso esclude i viaggi, l'impegno politico, l'arte, le scienze e le opere.

Interpreti

Interpreti differenti rilevano che da una tale teologia negativa vi sono conseguenze positive nel discorso religioso.

Le conseguenze etiche

Gli insegnamenti Eckhartiani non sono di tipo sociale ma di ascesi spirituale. Ad ogni modo, come dimostrato in varie prediche, Eckhart pone l'accento sulla simultaneità degli attributi divini. Chi punta alla pace vera, alla pace profonda, non può non assommare in sé le virtù come il Cristo stesso ha testimoniato.

Influenze nella storia del pensiero

La grande filosofia tedesca dell'Ottocento, l'idealismo, riconosce in Meister Eckhart e nella mistica medievale le proprie radici. Fichte, Schelling, Hegel si considerano eredi di quella spiritualità, Hegel arriva a dire che quello che un tempo si chiamava "mistico" è esattamente ciò che lui chiama "speculazione"[4].

D'altra parte anche l'avversario dell'idealismo, Schopenhauer, riteneva di portare in sostanza il messaggio della mistica medievale.

« Se ci allontaniamo dalle forme prodotte, dalle circostanze contingenti, e andiamo verso il nucleo delle cose, troveremo che Sakyamuni e Meister Eckhart insegnano la stessa cosa; soltanto che il primo osa esprimere le sue idee in modo semplice e affermativo, mentre Eckhart è obbligato a racchiuderle nei vestiti del mito Cristiano, e deve adattare le sue espressioni di conseguenza. » (Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


Meister Eckhart visto da Rosenberg

Alfred Rosenberg saluta in Eckhart il precursore di una nuova religione razziale e nordica. Meister Eckhart è un modello di "mistico aristocratico", è colui che si è rivolto all'"anima nobile" e ha proclamato: "Quel che vi è di più nobile nell'uomo è il sangue"; è colui che ha concepito l'io come un principio causa di se stesso, nato dall'eternità, fortezza inespugnabile, tale che, qualora non esistesse, nemmeno Dio potrebbe esistere; è infine colui che ha proclamato: "L'uomo deve essere libero e signore di tutte le sue opere, di là da ogni offesa e d'ogni costrizione" insegnando un'austera via di conquista dei cieli, sgombra di magia, di dogmatismo, di obbedienza alla lettera e anche di devoti sentimentalismi e di abbandoni umanitari.[5]

Meister Eckhart visto da Fromm

Erich Fromm dedica un capitolo della sua "Ars Amandi" alle varie forme di amore. In quello dell'amore per Dio, porta Eckart come il maggior esempio del misticismo nelle filosofie occidentali. E scrive:«Nel predominante sistema religioso occidentale, l'amore per Dio è essenzialmente lo stesso che la fede nell'esistenza, nella giustizia e nell'amore di Dio. L'amore per Dio è essenzialmente un'esperienza di pensiero. Nelle religioni orientali e nel misticismo, l'amore per Dio è un'intensa sensazione di unità, inseparabilità, legata con l'espressione di questo amore in ogni atto della vita. La formula più radicale è stata data a questo fine da Meister Eckhart:

« Se per questa ragione io sono cambiato in Dio, lui mi rende uno con sé stesso, allora, grazie al Dio vivo, non c'è alcuna differenza tra noi... Alcuni immaginano di andare a vedere Dio come se Lui stesse laggiù, e loro qui, ma non è così. Dio e io siamo uno. Conoscendo Dio, io lo porto in me. Amando Dio, io lo penetro. » Fromm è uno dei primi pensatori moderni a notare lo spessore filosofico di Eckhart e compie anche una psicanalisi di questa letteratura. Eckart parla di rapporto Io-Dio, un'espressione sintetica, e in termini in cui Fromm, di scuola freudiana, vede la proiezione di un amore sia materno che paterno, tipica di una religiosità matura, che non è più solo matriarcale o patriarcale.



L'Uno è al di sopra della Verità

Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza» (Quint Predigt 42). Eckhart contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come "bontà" o "saggezza".. Mehr noch, auch „Sein“ sei von ihm nicht aussagbar: «Io dico anche: Dio è un Essere? - non è vero; è (molto più) un essere che trascende l'essere e una nullità che trascende l'essere »

Se Aristotele poneva il pensiero divino di sé al di sopra dell'essere, ignorando una realtà ancora più alta, Eckhart pone in risalto il pensiero della tarda grecità (Plotino e Proclo) per l'intuizione di un principio oltre il pensiero, che si può raggiungere in un'unità mistica attraverso la filosofia. La ricerca dell'Uno è cosa diversa e più alta della ricerca della verità o del bene, che sono ancora ricerca dell'Essere.

La conseguenza dell'abbandono della conoscenza, volontà, tempo, l'io, ecc. è una profonda calma. « chi ha realizzato Dio sente il gusto di tutte le cose in Dio »

Meister Eckhart mette l'accento, inoltre, sul fatto che l'apprendimento di questa condizione dello spirito può essere raggiunta solitamente dopo lunghi anni di esercizio e la paragona all'apprendimento della lettura e della scrittura. Sebbene per quei tempi (come ai nostri) la preghiera contemplativa era fortemente diffusa nella popolazione, la radicalità delle sue affermazioni lo portarono al conflitto con la Curia Romana. Ai tempi moderni le sue indicazioni potrebbero essere ancora difficili da seguire, visto che l'attitudine verso "il tempo" e la razionalità dominano fortemente le condizioni di vita.

Bibliografia

Gli scritti di Meister Eckart nelle traduzioni in italiano

Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, Milano, 1985

Meister Eckhart, I sermoni latini, Roma, 1989, ISBN 88-311-1001-2

Meister Eckhart, Commento alla Genesi, Genova, 1989, ISBN 88-211-8455-2

Meister Eckhart, Commento all'Ecclesiastico, Firenze, 1990

Meister Eckhart, Commento alla Sapienza, Firenze, 1994

Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, Roma, 1994

Meister Eckhart, Dell'uomo nobile. Trattati, Milano, 1999

Meister Eckhart, I Sermoni, Milano, 2002

Meister Eckhart, Commento all'Esodo, Roma, 2004


Opere sul pensiero di Meister Eckart

Marco Vannini, La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, 2004 ISBN 88-7166-825-1

Marco Vannini, Meister Eckhart e «Il fondo dell'anima», Città Nuova, 1991 ISBN 88-311-0087-4

Giuseppe Faggin, La nascita eterna, Neri Pozza Editore, 1996

Reiner Schürmann, Maestro Eckhart o la gioia errante (tit. orig. Maître Eckhart ou la joie errante), trad. di M. Sampaolo, Laterza, 2008

Marco Statzu, Mistica dell'Incarnazione. Per una conoscenza affettiva di Dio tra generazione eterna e opera interiore della Grazia, Glossa Editrice, 2010 ISBN 88-7105-283-8

Citazioni dagli scritti del teologo e mistico tedesco medioevale Meister Eckhart

  • Dio opera maggiormente in un cuore umile, perché è là che trova la maggiore possibilità di operare, trovandovi la maggiore somiglianza con se stesso. In tal modo ci insegna come dobbiamo penetrare nel nostro fondo di vera umiltà e di vero spogliamento, perché deponiamo tutto quello che non abbiamo per natura, che è peccato e mancanza, e anche ciò che abbiamo per natura, ovvero tutto ciò che appartiene all'io proprio. Infatti, chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, poiché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso. L'uomo, che è al di sopra delle altre creature, conosce in una luce vera, in cui non è né tempo né spazio, senza "qui" né "ora". L'anima, che è una luce, racchiude in sé molto di Dio. (Sermone "Haec est vita aeterna, ut cognoscat te solum")
  • L'intelletto è servo in senso più proprio della volontà o dell'amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione. Invece l'intelletto si spinge in alto, verso l'essere, senza far caso alla bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale. Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si immerge nell'essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In ciò l'intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini sono il fuoco. L'intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in sé. Insieme a questi angeli, l'intelletto prende Dio nel suo guardaroba, nudo, in quanto è Uno, senza distinzione. (Sermone 37, Mio marito, tuo servo, è morto)
  • Chi è come deve essere si trova bene in ogni luogo e con chiunque, ma chi non è come deve essere non si trova bene in nessun luogo e con nessuno. Colui che è come deve essere ha Dio vicino a sé in verità, e chi possiede Dio in verità, lo possiede ovunque: per la strada e accanto a qualsiasi persona, così come in chiesa, in solitudine o nella cella. Se un uomo siffatto lo possiede veramente, e possiede lui soltanto, nessuno gli può essere di ostacolo. Questo perché egli ha Dio solo e a Dio solo va la sua intenzione, e tutte le cose divengono per lui Dio solo. Un tale uomo porta Dio in tutte le sue opere e in ogni luogo, ed è Dio soltanto a compiere tutte le opere di un tale uomo. L'uomo deve cogliere Dio in ogni cosa, e abituare il proprio spirito ad aver Dio sempre presente in sé, nella propria intenzione e nel proprio amore. Considera dunque in che modo sei rivolto a Dio quando sei in chiesa o nella tua cella, e mantieni un'identica disposizione dello spirito anche in mezzo alla folla, nel tumulto, fra le cose disuguali. Chi possiede Dio nella sua essenza, coglie Dio nella sua divinità; per quest'uomo Dio risplende in tutte le cose: per lui infatti tutte le cose sanno di Dio e in esse egli vede la sua immagine. (Istruzioni spirituali, n.6)
  • Dice nostro Signore: "A chi rinuncia a qualcosa per amor mio e per amore del mio nome, io renderò il centuplo me la vita eterna" (Mt 19,29). Ma se tu ti distacchi da qualcosa per il centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla, e, neppure per una ricompensa mille volte più grande, ti sei distaccato da nulla. Tu devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei veramente distaccato. L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo non può sopportarlo. Chi ama la giustizia, di lui la giustizia si prende cura, ed egli viene preso dalla giustizia, ed è una sola cosa con la giustizia. L'uomo giusto non serve né Dio né le creature, perché è libero; e quanto più è vicino alla giustizia, tanto più è vicino alla libertà, e tanto più è la stessa libertà. Tutto quel che è creato non è libero. Finché è sopra di me qualcosa che non è Dio stesso, ciò mi opprime, per quanto piccolo o comunque sia; fosse anche lo stesso intelletto e l'amore; in quanto è creato e non Dio stesso, mi opprime, perché non è libero. L'uomo ingiusto serve la verità, gli sia gioia o dolore, e serve l'intero mondo e tutte le creature, ed è un servo del peccato. (Sermone "Ego elegi vos de mundo)
  • L'uomo che è così saldo nell'amore di Dio deve essere morto a se stesso e a tutte le cose create, in modo tale da non fare attenzione a se stesso più che a chi è lontano oltre mille miglia. Quest'uomo permane nell'uguaglianza, permane nell'unità sempre completamente uguale: non entra in lui alcuna disuguaglianza. Quest'uomo deve avere rinunciato a se stesso e a tutto il mondo. Se ci fosse un uomo a cui il mondo intero appartenesse, e se egli lo abbandonasse, per Dio, ritrovandosi nudo così come lo ha avuto, Nostro Signore gli restituirebbe questo mondo tutto intero, e in più la vita eterna. Un altro uomo, che non avesse assolutamente nulla di corporeo o di spirituale cui rinunciare, né da donare, rinuncerebbe di più dell'altro. Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante. Ma se un uomo fosse stato nel distacco per vent'anni, e riprendesse se stesso anche per un solo attimo, non sarebbe ancora distaccato. L'uomo che ha abbandonato, che si è distaccato, che non guarda più assolutamente a ciò che ha abbandonato e permane costante, immutabile e impassibile in se stesso, soltanto quest'uomo è distaccato. (Sermone "Qui audit me non confundetur")
  • È un uomo povero quello che niente vuole, niente sa, niente ha. a) Niente vuole: fintanto che l'uomo ha ancora in sé la volontà di compiere la dolcissima volontà divina, non ha ancora la povertà di cui parliamo. Infatti, egli ha ancora in sé una volontà, con cui vuole soddisfare la volontà di Dio, e questa non è la vera povertà. Perché l'uomo sia davvero povero deve essere privo della propria volontà come lo era quando non esisteva. Ve lo dico nell'eterna verità: finché avete la volontà di compiere la volontà di Dio e avete desiderio dell'eternità e di Dio, non siete ancora poveri; infatti vero uomo povero è solo colui che niente vuole e niente desidera. b) Niente sa: l'uomo dovrebbe vivere in modo da non vivere né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Ma aggiungiamo: l'uomo che deve avere questa povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Egli deve essere così vuoto di ogni sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui. Inoltre, deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui. c) Niente ha: l'uomo deve essere così povero da non avere, e non essere, alcun luogo in cui Dio possa operare. Quando l'uomo mantiene un luogo, mantiene anche una differenza. Perciò prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come inizio delle creature. In quell'essere di Dio in cui Egli è al di sopra di ogni essere e di ogni differenza, là ero io stesso, volevo me stesso e conoscevo me stesso per creare quest'uomo che io sono. Perciò io sono causa originaria del mio essere, che è eterno, e non secondo il mio divenire, che è temporale. (Sermone "Beati pauperus spiritu")
  • Chi vuole iniziare una nuova vita o una nuova opera, deve rivolgersi al suo Dio e chiedergli con grande forza e con tutta la sua devozione di disporre per lui le cose nel modo che egli giudica migliore e più degno, non volendo e non cercando costui il proprio bene, ma soltanto la volontà di Dio. Qualsiasi cosa Dio gli mandi, deve accettarla come derivante immediatamente da lui, considerarla la cosa migliore, ed esserne totalmente soddisfatto. Se poi gli piace di più un altro modo di agire, pensi allora che Dio gli ha assegnato quello, e che pertanto deve essere per lui il migliore. Egli deve avere fiducia in Dio, facendo rientrare in quel modo tutti i buoni modi di agire, e accettando in quello e secondo quello tutte le cose, di qualunque natura siano. (Istruzioni spirituali, n.22)


  • Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v'è in noi l'amore di Dio. L'anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare e insegnare: che l'uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L'uomo non deve pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l'avere maggiore amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L'uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così. (Sermone "Gott hat die Armen")
  • Lo spirito libero è quello non turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo. E la più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e l'opera fra tutte superiore, è quella che proviene da uno spirito libero. (Istruzioni spirituali, n.2)
  • Sappi per vero che lo spirito libero, quando permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo essere, e, se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno, assumerebbe l'essere proprio di Dio. (Del distacco)
  • L'uomo deve essere libero e signore delle proprie opere, senza essere distrutto né costretto. (Istruzioni spirituali, n. 22)
  • I maestri sono d'accordo nel dire che finché l'uomo è nella grazia, tutte le opere che egli compie sono degne del premio eterno. E questo è vero, perché nella grazia è Dio che opera le opere. E dicono: se l'uomo cade in peccato mortale, sono morte anche tutte le opere che egli compie mentre si trova in peccato mortale, come egli stesso è morto, e non sono degne del premio eterno. E dicono poi: se Dio restituisce la grazia all'uomo cui dispiacciono le proprie colpe, allora tutte le opere che egli compì nella grazia risorgono e vivono come prima, e le opere compiute in peccato mortale sono perdute per sempre, il tempo e le opere insieme. E a questo contraddico io e dico: di tutte le buone opere che l'uomo ha compiuto mentre si trovava in peccato mortale, nessuna è perduta, e neppure il tempo in cui avvennero, dal momento che l'uomo riconquista la grazia. Se avviene un'opera buona attraverso un uomo, l'uomo si libera con questa opera e diviene più vicino al suo principio di quanto lo fosse prima e pertanto è migliore e più beato. Ma l'opera non è né buona né santa, né beata, ma è beato l'uomo in cui permane il frutto dell'opera. In questo senso non è mai andato perduto l'agire buono e neppure il tempo in cui avvenne, non perché esso permanga in quanto opera e tempo, ma perché, sciolto dall'opera e dal tempo, è eterno con la sua qualità nello spirito, come lo spirito è eterno in se stesso. Quando l'uomo compie buone opere mentre si trova in peccato mortale, non le compie a partire dal peccato mortale, ma piuttosto a partire dal fondo del suo spirito, che è buono in se stesso per natura, anche se egli non si trova nella grazia. Questo non nuoce allo spirito, perché il frutto dell'opera, sciolto dall'opera e dal tempo, permane nello spirito ed è spirito con lo spirito, e non viene annullato, così come non viene annullato l'essere dello spirito. (Sermone "Mortus erat et revivixit")
  • Come mai spesso Dio permette che uomini buoni, veramente buoni, siano sovente impediti nelle loro buone opere. Il fedele Dio permette che i suoi amici cedano spesso alla propria debolezza, affinché venga loro a mancare qualsiasi sostegno cui potersi volgere o appoggiare. Per una persona che ama sarebbe infatti grande gioia riuscire a fare grandi cose: veglie, digiuni, e altri esercizi, e compiere imprese particolari, grandi e difficili; persone così trovano in ciò grande gioia, sostegno, speranza, in maniera che le loro opere sono un appoggio, un sostegno, una ragione di fiducia. Nostro Signore vuole privarle di ciò per essere il loro unico sostegno, la loro unica ragione di fiducia. Dio fa questo per pura bontà e misericordia: niente altro, infatti, che la sua pura bontà lo determina ad operare. Le nostre opere non servono in alcun modo a che Dio ci dia o compia qualcosa per noi. Nostro Signore vuole che i suoi amici si distacchino da ciò, e per questo toglie loro ogni sostegno: per essere il loro unico sostegno. Dio vuol dare loro molto, e lo vuole nella sua libera bontà; lui solo deve essere loro appoggio e loro consolazione: perciò essi devono stimarsi un puro nulla in mezzo ai grandi doni di Dio. Infatti, più è spogliato e nudo lo spirito che si rivolge a Dio ed è sorretto da lui stesso, più l'uomo è profondamente fissato in Dio, e più è capace di ricevere i suoi preziosissimi doni. L'uomo, infatti, deve costruire unicamente su Dio. (Istruzioni spirituali, n. 19)
  • Tu dici: Dio opera cose tanto grandi in molte persone; il loro essere è riplasmato dall'essere di Dio, e così a operare in esse è Dio, non loro. Ringrazia Dio dei doni che fa loro e, se li fa a te, accettali, in nome di Dio. Se poi non te li accorda, fanne volentieri a meno; abbi soltanto lui nel tuo pensiero, e non curarti di sapere se a compiere le tue opere è Dio o sei tu stesso. Bisogna infatti che sia Dio a compierle, se hai soltanto lui nel tuo pensiero - che egli lo voglia o meno. (Istruzioni spirituali, n. 23)
  • Io lodo il distacco ancor più di ogni misericordia, giacché la misericordia in null'altro consiste se non nel fatto che l'uomo esce da se stesso per andare verso le miserie del prossimo, e così il cuore ne ricava turbamento. Di tutto ciò il distacco resta scevro, permane in se stesso, e da nulla si lascia turbare. Infatti, finché qualcosa è in grado di turbare l'uomo, egli non è tale quale dovrebbe essere. (Del distacco)
  • In Dio non c'è tristezza né sofferenza né tribolazione. Se vuoi essere liberato da ogni sofferenza e tribolazione, volgiti a Dio e unisciti in purezza a lui soltanto. Di certo, ogni sofferenza proviene dal fatto che tu non ti volgi unicamente in Dio e a Dio. Nulla che sia ineguale o ingiusto, nessuna cosa del mondo creato può far soffrire il giusto, perché, essendo tutto ciò che è creato così tanto al di sotto di lui quanto lo è al di sotto di Dio, non può influenzarlo né contaminarlo, né generarsi in lui, che ha Dio soltanto come Padre. Perciò bisogna che l'uomo molto si adoperi nello spogliarsi di se stesso e di tutte le cose create, e non riconosca altro padre che Dio soltanto. Così, nulla potrà farlo soffrire, né Dio né creatura, nulla di creato o di increato, giacché tutto il suo essere, vita, conoscenza, sapere e amare, è da Dio, in Dio, è Dio stesso. (Il libro della consolazione divina)
  • L'uomo non deve spaventarsi di nulla, finché la sua volontà è buona, né deve affliggersi se non può metterla in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano dalle virtù, se ha in sé una vera buona volontà giacché la virtù e ogni bene risiedono nella buona volontà. Se tu possiedi una volontà giusta, nulla ti mancherà: né amore, né umiltà, né virtù alcuna. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire "Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece: "Voglio che ora sia così". In verità, con la volontà io posso tutto. Posso sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i poveri, compiere le opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa immaginare. Se non è la volontà che ti manca, ma solo la possibilità di agire, in verità tu hai compiuto, davanti a Dio, tutto questo. E nessuno te lo può togliere o contestare un solo istante, giacché voler fare, se se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono davanti a Dio la stessa cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà quanta ne ha il mondo intero, e se tale desiderio fosse grande e totale, davvero io avrei questa volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà è piena e retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e formata sulla volontà di Dio. (Istruzioni spirituali, n. 10)
  • Ho letto una parola espressa da san Paolo nell'epistola [Ef 4,6]: Un solo Dio e padre di tutti, che è benedetto al di sopra di tutti, da tutti e in noi tutti. Quando dice: Un solo Dio, egli intende con ciò che Dio è Uno in se stesso e separato da tutto. Dio non appartiene ad alcuno, e nessuno gli appartiene; Dio è Uno. Boezio dice: Dio è Uno e non muta [Consolazione 3,9]. Tutto quel che Dio ha creato, lo ha creato soggetto al mutamento. Tutte le cose in quanto create, portano su di sé il mutamento. Questo significa che noi dobbiamo essere Uno in noi stessi, separati da tutto, sempre immutabili, Uno con Dio. Al di fuori di Dio non vi è che il nulla. Perciò è impossibile che in Dio abbia luogo qualche mutamento o cambiamento. Chi cerca un luogo fuori di sé, si muta. Ma Dio possiede in sé tutte le cose in pienezza; perciò non cerca niente fuori di sé, ma solo nella pienezza che è Dio. L'Uno è qualcosa di più puro della bontà e della verità. Bontà e verità non aggiungono niente, ma aggiungono nel pensiero: quando qualcosa viene pensato, si aggiunge. Invece l'Uno non aggiunge niente, là, dove egli è in se stesso, prima di effondersi nel Figlio e nello Spirito santo. Un maestro dice: L'Uno è la negazione della negazione. Se dico che Dio è buono, gli aggiungo qualcosa. Invece l'Uno è negazione della privazione. Che significa l'Uno? L'Uno significa ciò cui niente è aggiunto. L'anima coglie la Divinità come essa è pura in se stessa, dove niente le è aggiunto, neppure col pensiero. L'Uno è negazione della negazione. Tutte le creature portano in sé una negazione: ciascuna nega di essere l'altra. Un angelo nega di essere l'altro. Ma Dio ha una negazione della negazione; egli è l'Uno e nega ogni altra cosa, giacché niente è al di fuori di Dio. Tutte le creature sono in Dio e sono la sua propria divinità, e questo significa la pienezza. (Sermone "Un solo Dio e padre di tutti")

Altri scritti e citazioni del teologo e mistico tedesco medioevale

Un commentario a Meister Eckhart dall'autore di questa pagina

Grande è Meister Eckhart nel suo sostenere la supremazia di valore dell'Uno rispetto alla Verità perchè ci ragguaglia su un possibile equivoco sulla conoscenza e ci impedisce di percorrere o di indugiare su cattive strade che non portano a nulla facendoci così risparmiare tempo ed energie preziose sicchè in qualche modo è vero il "beati i poveri di spirito poichè è di loro (agggiungeremmo: solo di loro) il Regno di Dio".

Sono queste affermazioni forti e molto utili comunque a metterci in campana e nello stesso tempo però facilmente equivocabili a loro volta, quindi occorre stare doppiamente in campana.

Fortunatamente un autore come Hegel anch'egli lettore attento di Meister Eckhart ci viene in soccorso a dipanare i possibili equivoci salvaguardando comunque quanto di buono ci suggerisce il grande teologo e soprattutto mistico domenicano del medioevo cristiano.

Cosa dice Hegel?

"La verità è solo l'intero"

Dal suo punto di vista dunque si può vedere come non ci sia contraddizione alcuna tra Uno e Verità essendo la stessa cosa o meglio è l'Uno la vera Verità poichè la vera Verità è solo l'Intero. Ed ecco che così il quadro si completa.

E del resto come ci suggerisce uno dei migliori allievi di Hegel: "Unità è solo un divenire unità" (Franz Rosenzweig)

"E infine saremo ciò che veramente siamo" cioè Dio, aggiunge ancora la psicoanalista Silvia Montefoschi a completare il quadro.

Un'unico percorso di salita in verticale e di emancipazione percorrono insieme i nostri autori pur nelle dovute differenze dovute anche alle epoche diverse e agli ambienti sociali differrenti in cui hanno vissuto con tutto ciò che comporta ma tutti sono comunque nel giusto poichè la Verità come anche l'Uno è un percorso di ascesi.



Note di redazione

Tale articolo è in parte preso per quel che ritenevo rilevante ai miei scopi anche dalla enciclopedia wikipedia e rielaborato secondo la mia visione generale e opinione sul pensiero del grande teologo e pensatore:



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