Torino

Hideyuki Miyakawa: "Io, da Tokyo al Po, così sono diventato samurai di Giugiaro"

 Arrivato nel '60 per il Salone dell'Auto, si è fermato qui. È stato lui l'ambasciatore del design italiano in Giappone: "Torino per me è tutto, mi ha regalato ricchezza, conoscenza, una moglie, sette figli e l'amore per il risotto"
 

2 minuti di lettura
"TORINO "daisuki ningen", per me è tutto, perché qui c'è qualcosa che con me funziona alla perfezione, ed essendo stato un samurai singolo mi ha regalato ricchezza, conoscenza di persone e cose".

Così racconta Hideyuki Miyakawa, all'inizio di un'intervista che sarebbe potuta proseguire per ore, data la mole di aneddoti, incontri ed avventure di uno speciale signore giapponese di Maebashi. Aveva 18 anni quando lasciò il Giappone in sella alla sua Yamaguchi 125 e, dopo le tappe in India, Pakistan e Roma per le Olimpiadi, arrivò a Torino nel 1960, giusto in tempo per visitare il salone dell'Automobile. "Era novembre e, come corrispondente per il giornale giapponese "Car Graphic", sono arrivato al salone di Torino dopo quelli di Londra e Parigi. E qui, in un solo giorno ho incontrato la torinese che sarebbe diventata mia moglie e Giorgetto Giugiaro, la persona con la quale abbiamo portato il design automobilistico italiano in Giappone".

Come è cambiata Torino dal 1960?
"All'inizio capivo poco e niente, ora invece riesco a leggere la ricchezza di Torino e la sua cultura. Nel 1960 era la numero 1 dell'industria italiana. Ora invece, specialmente dopo le Olimpiadi del 2006, è cambiata e sta mostrando a tutti la città culturale che è. Qui c'è la storia, ci sono persone che non hanno paura di inventare in ogni campo, tante cose sono nate qui. Poi però Torino non mantiene le sue invenzioni, le lascia alle altre città, anche questa è una sua caratteristica importante ".

Lei è stato il ponte con il Giappone per l'evoluzione del car design di case come Suzuki e Isuzu, lavorando a stretto contatto con Giugiaro e i maggiori industriali italiani del settore. Come vede il futuro della città?
"Intanto penso che per l'auto il nome e lo stile italiano siano sempre molto belli ed attraenti, inoltre qui è ancora piacevole guidare, non come in Giappone, e prevedo che le automobili diventeranno sempre più piccole e diminuiranno di numero. Come città turistica è ancora un po'timida nell'ospitalità, deve osare di più. Mi dispiace che, entrando in città da Italia 61, il primo luogo che gli stranieri vedono sia ridotto male. Ho un'idea di recupero e vorrei riuscire ad utilizzare quella parte della città per la ricerca medica finalizzata agli anziani, per permettere ai torinesi di affrontare nel migliore dei modi la vecchiaia".

E dal punto di vista gastronomico?
"Sono arrivato a Torino dopo mesi in India, Pakistan e Londra, e ho trovato che qui il cibo fosse meraviglioso. Ricordo la prima volta che mangiai il risotto: è stato strano, per noi giapponesi il riso è sacro e deve essere rigorosamente bianco, invece dopo poco tempo ho cominciato ad apprezzare gli ottimi risotti piemontesi".

Si sente torinese?
"Molto. La mia famiglia è nata qui, sette figli e tanti nipoti. Ho cercato di giapponesizzarli e quasi tutti i Miyakawa hanno avuto esperienze del Giappone. Conoscendo l'italiano e il giapponese, si può collaborare meglio e dare di più".

Si occupa ancora di automobili e design?
"Visto che a Torino fa un po' freddo, sono spesso in Toscana e produco vino. Ma torno spesso perché sono ancora il presidente della Compact, la ditta di comunicazione e sport management gestita dai miei figli. E, come si dice, " va bin parej"".