4. Montale e Montale

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4.1. Botta e risposta (lettera da Asolo)

Sabato 21 luglio 1976 sul giornale veronese L’Arena Franco Riva firma un articolo intitolato Petrarca 1476 – Montale 1976 nel quale ripercorre la propria storia di stampatore di libri di pregio e, in concomitanza con l’uscita delle due edizioni che qui schediamo, dichiara la sua lunga «devozione» a Montale. Riva ricorda l’incontro con il poeta avvenuto presso il Corriere della Sera per via delle «prime tipografiche esperienze» e poi evoca, con una (perdonabile) affettazione di confidenza, le recenti conversazioni intrattenute sulla fauna ornitologica di Poiano, località dove ha stabilito il proprio torchio e dove risiedeva Felice Feliciano, scriptor nel quale si rispecchia. Il nome di Franco Riva non è certo immediatamente associabile a Montale, e questo scritto è una testimonianza preziosa per inquadrare il sodalizio tra lo stampatore e il poeta. L’orgoglio di appartenere a una linea d’arte umanistica, la passione filologica e insieme l’entusiasmo intellettuale di Riva sono importanti per intendere la consentaneità con Montale, che partecipa al progetto delle Editiones Dominicae in qualità di poeta (tre testi accompagnano sei incisioni di Renzo Sommaruga nel 1952 già per le Edizioni del Gatto, mentre due edizioni di Xenia escono nel 1968 e nel 1970) e poi, per i “Quaderni dei Poeti Illustrati”, in qualità di poeta-pittore: qui consideriamo i due libri illustrati che nascono dalla collaborazione tra il torchio manuale di Riva e un Montale che infatti è insieme autore e illustratore dei suoi testi.

In prima istanza questa collaborazione sembrerebbe confermare l’immagine di Montale che resiste all’«urto dei monsoni» difendendosi con amuleti labili e raffinati; ma esistono forse ragioni più sottili del suo coinvolgimento nella produzione del libro illustrato. Conviene osservare da subito, infatti, che nel primo dei due manufatti è stampata con un’acquaforte la celebre Botta e risposta (lettera da Asolo): un incontro, quello tra la poesia di Satura e il mondo elitario delle edizioni con grafica d’artista, che non sembra ideologicamente neutro, e che merita di essere letto anche sullo sfondo della delusione di Montale per la ricostruzione dell’Italia post-fascista e per la massificazione della società. A questa delusione, com’è noto, Montale aveva ambiguamente contrapposto in Satura una morale che contiene aspetti individualistici e borghesi che potevano prestarsi fatalmente alle stesse critiche che Longhi muoveva alla produzione di libri illustrati quando, nel dopoguerra, li definiva «squisitezze decadentistiche» (cfr. Fergonzi), giudicandoli per lo più come oggetti d’arredo per le case dei ricchi.

Del resto, è proprio nel post-simbolismo che affondano le radici dell’interesse montaliano per il libro da collezione. Il Quaderno genovese documenta la moda di Verlaine e dei Poètes d’aujourd’hui, portatrice di un gusto figurativo preciso, che si riflette sulle pagine illustrate di alcuni volumi di poesia o di riviste: si tratta di un gusto descrittivista ma anche incline all’arabesco, al sincretismo tra visione e musica, da cui Montale è inizialmente molto affascinato. In fondo risale anche a queste premesse culturali l’idea di una condivisione limitata del libro d’artista, tra pochi accoliti, che avranno Riva e prima ancora il suo modello Mardesteig, per la cui Officina Bodoni Montale pubblica già tre volte nel 1962, 1964 e 1972 (e torneremo sulla plaquette del 1962, dal titolo Satura). Da parte sua, Montale ha forse una visione più schiettamente privata e amichevole della tiratura limitata degli esemplari: nel Fondo pavese ne sono custoditi alcuni dedicati con affettuosa ironia alla Gina, e lo stesso esemplare di Sei poesie e sei disegni all’acquaforte qui schedato reca la dedica «Buon Natale e grazie per il meraviglioso libro: viva Riva!». Una visione che definiremmo addirittura scanzonata quando è lui a dipingere, come appunto nei libri che prendiamo in considerazione. Se Montale ha attraversato l’esperienza simbolista filtrandola nello stile asciutto e definitorio del «classicismo paradossale» degli Ossi di seppia, è con un’acuta consapevolezza della propria originalità (e in questo caso anche dei propri limiti) che, dovendo presentarsi come artista figurativo, si definisce «paradossale»: all’inaugurazione della Mostra di Eugenio Montale edizioni originali (1925-1968) incisioni e pastelli, tenutasi a Mantova il 21 giugno 1968, dichiara di «essere un cattivo pittore che ha, però, un certo estro che spesso manca ai pittori professionisti […]. Il caso dello scrittore-pittore […] a volte si presenta in modo molto paradossale. […] i miei divertimenti pittorici resteranno sempre laterali pur col pregio di una certa schiettezza e sincerità» (cfr. Da Montale a Montale…). Montale è pittore nel senso di fautore di un disegno libero, anti-accademico, secondo un gusto anti-novecentista, e paradossale anzitutto in quanto dilettante, status di cui in più dichiarazioni rivendica i vantaggi (anche nel Diario di Versilia, introducendo i disegni a penna o acquerellati trasformati da Sandro Maria Rosso nelle incisioni di Diario dal Forte dei Marmi, afferma: «Se fossi un vero pittore avrei conseguito risultati ben maggiori, ma sarei stato tradito dalla perizia tecnica, dagli inganni del “mestiere”»). Montale precisa questa significazione definendosi anche «povero “pittore della Domenica”» (Georges Sécan [1971] in SMA): definizione che, per una coincidenza fortuita quanto interessante, fa di lui una sorta di alter ego di Franco Riva e delle sue Editiones Dominicae, seppure con il più netto understatement evocato dall’aggettivo «povero», che per altro allude anche a una poetica figurativa e, almeno da Satura in poi, lirica (cfr. L’arte povera in Diario del ’71).

La poesia Botta e risposta (lettera da Asolo), datata dall’autore «1961», era già stata pubblicata nella plaquette per le nozze di Sandra Fagiuoli (Verona, Officine Bodoni, 1962) sotto il titolo Satura, che raccoglieva tre poesie giovanili (A galla, Minstrels, Nel vuoto) e due nuove (appunto Botta e risposta I e Ventaglio per S.F.). La scelta del termine Satura è doppiamente importante: anticipa il titolo della raccolta del ’71, in un certo senso confermandone la prima accezione: quello di un insieme variegato ed eterogeneo; inoltre dichiara apertamente la logica disordinata che presiede a questo assemblamento di testi e immagini come, senza dubbio, avverrà anche nel futuro Sei poesie e sei disegni all’acquaforte. Il testo, di carattere autobiografico e politico, è il più antico di Satura, e dopo questa prima fu ristampato più volte, con il titolo redazionale Le stalle di Augìa in un foglio volante compilato da Montale e Giorgio Morandi per le Edizioni Avanti! nel 1963, e poi nell’edizione bilingue Gallimard della Bufera e altro, nel 1966, come terza delle Conclusioni provvisorie. Con alcune incertezze, quindi, Botta e risposta I segna la fine della Bufera e l’inizio di Satura: la raccolta piatto misto (satura lanx), la poesia ‘farcita’ di realtà e mordace com’è proprio del genere satirico, la scrittura compromessa con l’attualità che tuttavia si presenta in latino, vezzo e rivendicazione di un desueto prestigio. Era fatale che incontrasse il libro illustrato.

Il disegno (fig. 1), realizzato nel 1952, non nasce per essere abbinato a questa poesia, ma almeno di riflesso può aiutare nell’interpretazione di un aspetto del testo ancora ambiguo, cioè l’identità della figura femminile che scrive nella Botta, suscitando la Risposta di Arsenio. Nel disegno, infatti, accanto alla donna è raffigurato un gatto: se la cornice epistolare presente nella finzione della poesia invita a riconoscere una lettera nel foglio che la donna tiene di fronte a sé (una missiva da spedire e anche ricevuta: cfr. II, vv. 42-43 «Penso che forse non mi leggi più / ma tu sai tutto di me»), il gatto non può non evocare il soprannome, «gatu», con cui Montale firma varie lettere indirizzate a Irma Brandeis. In realtà «gatu» e «ratu» sono soprannomi intercambiabili, riferiti talvolta a Clizia e talvolta ad Arsenio (cfr. R. Bettarini, Introduzione a Lettere a Clizia), ma in ogni caso il carteggio con Clizia è la cornice reale nella quale inquadrare Botta e risposta I e il disegno che l’accompagna: la situazione epistolare raffigurata nella fictio è legata, del resto, all’interlocutrice a distanza per eccellenza, a quella Irma-Clizia con cui Montale matura il tema della rinuncia alla vita «da vivere». Lei scrive da Asolo, rifugio di Caterina Cornaro e soprattutto di Robert Browning e Gian Francesco Malipiero, da un cimitero interiore (I, vv. 1-2 «io qui asolante / tra i miei tetri cipressi») in cui è il poeta ad averla confinata con la sua fuga dalla realtà e dal giudizio, additando pretesti per scagionare la sua informe ostinazione. Poco conta che poi nella Risposta Montale assuma un tono allegorico, fra l’altro ricapitolando la propria vicenda esistenziale attraverso i nomi di più donne, Gerti, Liuba, Clizia, la serva zoppa di Monghidoro, come a identificarle tutte con la propria corrispondente. Che Botta e risposta I sia una poesia legata alla vicenda, reale e letteraria, ispirata da Clizia sembra difficilmente discutibile (e così l’identificazione della mittente in Clizia dovrà fondarsi non solo sul fatto che nell’autocommento al testo Montale le attribuisce «sentimenti asburgici», i quali per altro sono riconducibili sia «alle origini nord-europee di Clizia-Irma Brandeis», come ben indica Castellana [cfr. Satura], sia, soprattutto, al piglio imperioso del rimprovero mosso nella Botta).

Quasi inevitabile, per noi, vedere il personaggio del poeta nella figurina maschile che entra in acqua cinta dal salvagente: una vera alluvione è descritta nella Risposta di Montale, che com’è noto rivisita il mito di Ercole e Augìa, interpretando la liberazione delle stalle attraverso l’inondazione del fiume come una nuova torbida prigione (II, vv. 37-38 «e il vorticare sopra zattere / di sterco»; v. 42: «i formiconi degli approdi»). Più in generale, l’alluvione è uno dei grandi simboli di Satura, del dopoguerra e della società di massa che costringe l’arte, specie l’arte montaliana, a una ambigua desublimazione, che non è una fuga (cfr. Lettera a Malvolio, v. 1) ma un salvagente indispensabile per mantenere una funzione al mestiere di poeta.

 

4.2. Sei poesie e sei disegni all’acquaforte

Il mare dello sfondo è anzitutto la rappresentazione sommessa del reale paesaggio marittimo della Versilia: è il «mare infiocchettabile» realizzato con sbavature di dentifricio (L’Arte povera, v. 9) delle marine (solcate da vele-fiocchi, i focs del Cimétiere marin?) che costituiscono il corredo illustrativo di Sei poesie e sei disegni all’acquaforte.

L’elemento che dà coesione a questa vera satura è la serie delle immagini (figg. 2, 3, 4, 5, 6, 7): i disegni furono tutti realizzati a Forte dei Marmi tra il 1952 e il 1966 e rappresentano scene di vita sulla spiaggia con una figura di donna e alcuni animaletti (in due casi compare il gatto-gatu), o una casa che sul fianco ha una finestra a oblò, con intorno alcuni alberi, tra cui il salice raffigurato in Salice e vespa. Un mondo essenziale e vago, tracciato con una «delicatezza scoraggiante» come ha scritto Giuseppe Marcenaro (cfr. La tavolozza…), nel quale è tuttavia possibile riconoscere una logica risoluta, quella di un frequente ritorno sulle stesse situazioni psicologiche: nei soggetti, come la donna seduta sulla spiaggia, si nota infatti una ricorsività che invita ad avere di queste opere una percezione quasi romanzesca. Perciò il parallelo che ci sembra più fondato è, più che con le tinte sbiadite di Satura, con le prose narrative della Farfalla di Dinard, la cui composizione è del resto prossima a quella della nostra serie. Nei racconti troviamo la stessa femminilità terrena: in particolare la figura tozza che probabilmente lava le scale della casa in Salice e vespa è una variante della «serva / zoppa di Monghidoro» di Botta e risposta I (II, vv. 26-27), presente già nella Palmina zoppa de Le rose gialle e in Ballerini al Diavolo Rosso. Così lo scenario versiliese non può non essere una ‘seconda rappresentazione’ del mare ligure e delle barche dell’infanzia, cui è dedicata la parte più propriamente narrativa della Farfalla. In questi disegni si esprime la coscienza di Montale prosatore: una tensione bassa e autoironica che spegne le propensioni metafisiche, ma non elimina la speranza che le cose, nel loro aspetto incerto o anche ingrato, possano schiudere un significato simbolico.

Bibliografia

E. Montale, Botta e risposta (lettera da Asolo), Verona, Editiones Dominicae, 1976. Edizione unica tirata in 150 esemplari firmati dall’autore con un suo disegno trasportato all’acquaforte; testo in Bembo tondo corpo 24; n. 57.

E. Montale, Sei poesie e sei disegni all’acquaforte, Verona, Editiones Dominicae, 1976, esemplare n. 10 di 75 firmati, contiene, in carattere Janson tondo e corsivo corpo 20, Carnevale di Gerti, La casa dei doganieri, Due nel crepuscolo, L’orto, L’ombra della magnolia e Proda di Versilia e sei acqueforti tirate in sanguigna tratte dai disegni del Diario dal Forte dei Marmi.

L. Barile, F. Contorbia, M.A. Grignani (a cura di), I fogli di una vita. Le carte, i libri, le immagini di Eugenio Montale, Milano, Libri Scheiwiller, 1996 (specie G. Piovene, Montale pittore, preceduto da Cinque domande a Montale (1964), ivi, pp. 103-105).

M. Ciccuto, ‘«Poësis» e «pictura» in Eugenio Montale’, in M. Ariani, A. Bruni, A. Dolfi, A. Gareffi (a cura di), La parola e l’immagine. Studi in onore di Gianni Venturi, Firenze, Olschki, 2011, pp. 583-600.

F. Contorbia (a cura di), Eugenio Montale: immagini di una vita, introduzione di G. Contini, Milano, Librex, 1985.

R. Cremante, G. Lavezzi e N. Trotta (a cura di), Da Montale a Montale: autografi, disegni, lettere, libri, Pavia, C.L.U., 2004.

F. Fergonzi, ‘Libri illustrati’, in G. Ravanello (a cura di), I segni del Novecento. La donazione Neri Pozza alla Fondazione Giorgio Cini. Disegni, libri illustrati, incisioni, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 93-126.

M. Gatta, Dalle parti di Aldo. Vicende e protagonisti della cultura tipografica italiana del Novecento, a cura di D. Colnaghi, prefazione di E. Barbieri, con uno scritto di M. Chiabrando, Macerata, Bibliohaus, 2012.

G. Marcenaro (a cura di), La tavolozza color foglia secca di Eugenio Montale, Monterosso al Mare agosto-ottobre, Sagep Editrice, 1991.

G. Marcenaro, P. Boragina (a cura di), Una dolcezza inquieta. L’universo poetico di Eugenio Montale, Milano, Electa, 1996.

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E. Montale, Diario del ’71 e del ’72, a cura di M. Gezzi, con un saggio di A. Jacomuzzi e uno scritto di A. Zanzotto, Milano, Oscar Mondadori, 2010.

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Editiones Dominicae: i libri privati di Franco Riva stampati al torchio a mano sibi & sodalibus: catalogo con l'aggiunta dell'elenco degli scritti: Biblioteca civica di Verona, 15 giugno-15 luglio 1985. Catalogo della mostra, a cura di F. Riva e della Biblioteca civica di Verona, Verona, Valdonega, 1985.

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L. Tamborini (a cura di), Privato ac dominico more: il torchio e i libri di Franco Riva. Catalogo della mostra con una nota biografica e un elenco di suoi scritti, Milano, Electa, 1997.