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Un medico deve essere indigente?

di Piero Sirianni

17 MAG - Gentile direttore,
non posso di certo considerami un giovane medico, anzi! Sono piuttosto sulla soglia del pensionamento, anche se con le normative attuali e quelle future questo momento sembra ancora molto lontano. E’ bene ricordare il percorso che porta a diventare medico ospedaliero. 
 
Dopo il liceo inizia la formazione universitaria, che dopo sei anni, se tutto va bene, si conclude con la laurea in medicina e chirurgia. Questo succedeva nella mia “epoca”: allora non era necessario sottoporsi a un test di ingresso e si iniziava il corso di laurea insieme a centinaia di altri giovani, con un “filtro fisiologico” già all’iscrizione al secondo anno.

Oggi, invece, col test di ammissione, lo studente che vuole iscriversi, perché veramente sente la passione per la professione medica, spesso viene escluso perché non sa rispondere a domande che di certo non sono finalizzate a selezionare i veri futuri medici.

Una volta laureato, ci si deve pur specializzare, altrimenti, attualmente, non è possibile poter lavorare in ambito ospedaliero.

Pertanto iniziano le difficoltà per l’accesso alle scuole di specializzazione, che sono a numero chiuso: il cosiddetto effetto “imbuto”. Chi riesce a entrare uscirà dopo minimo quattro anni di corso col titolo di specialista. A questo punto ha le carte in regola per partecipare ai concorsi.
 
Ai miei tempi si riusciva ad “entrare” in ospedale da “giovane”, insomma intorno ai 27-28 anni. Ora è sempre più difficile, e si corre il rischio, non perché manchino le opportunità, ma per inerzia politica, di restare precari per anni, e non è raro che medici quarantenni o più siano ancora in tale stato.
Detto questo, come si può capire, la carriera professionale di un medico non è paragonabile a quella di nessun altro professionista: non esistono altre professioni con un periodo di formazione universitaria di sei anni e un periodo obbligatorio di formazione post laurea di almeno 4 anni.

Pertanto viene spontaneo pensare che anche la remunerazione di un medico sia adeguata al percorso formativo e al ruolo che ricopre.  Purtroppo invece in Italia non è così: siamo a livelli tra i più bassi in Europa e nell’ambito del precariato si raggiungono situazioni vergognose e dequalificanti per una categoria a cui viene affidata la salute dei pazienti.

E i pazienti o comunque i potenziali pazienti cosa ne pensano?

Veramente, come soprattutto alcuni politici vogliono far credere, la gente ritiene che i medici appartengano a una classe privilegiata?

E questi privilegi sono reali?

E qual è la realtà?

Il cittadino vuole forse medici indigenti?
- “Ho pagato 300 € per una visita e senza ricevuta”;
- “Questa marmaglia di medici che sciopera cosa pretende ancora?”
- ”…e aveva lo studio pieno…in un pomeriggio si fa migliaia di euro, e magari neanche paga le tasse”.

Senza dubbio circolano anche questi luoghi comuni, ma i pazienti che incontriamo tutti i giorni in corsia o in ambulatorio ci dicono piuttosto che svolgiamo una professione molto delicata, che guadagnamo poco, che siamo sempre sotto organico e facciamo i miracoli per cercare di garantire i servizi.
Non dimentichiamo, infatti, che non stiamo parlando di “baroni”, bensì di medici ospedalieri, che lavorano in ambito pubblico, che hanno scelto il servizio sanitario nazionale.

Si tratta di dipendenti che, pur avendo uno stipendio rispettabile, hanno subito un blocco contrattuale da otto anni, e che proporzionalmente guadagnavano di più quindici anni fa.
 
I politici che perseverano nel blocco contrattuale e nella burocratizzazione esasperante della sanità credono forse di compiacere i cittadini?

E quando hanno deciso di ridurre all’osso i fondi per l’aggiornamento professionale si sono chiesti cosa ne pensava il potenziale paziente?

Il cittadino probabilmente avrebbe risposto che vuole un medico aggiornato, un medico che conosce le “ultime” su metodi di diagnosi e di cura.
Il comune cittadino può non essere informato, ma la politica deve sapere che nel giro di 2-5 anni la medicina evolve, e si deve preoccupare di far aggiornare il medico affinchè possa offrire sempre al paziente il servizio migliore.

Con meno di 1000 € totali come fondo di aggiornamento annuo per una équipe di cinque-sei medici cosa si può fare?
Non tutti sanno quanto costa partecipare a un corso di aggiornamento in Italia e all’Estero…

Qualcuno dirà che ci sono le case farmaceutiche che sponsorizzano i congressi!!! E no, e questo non va bene, perché poi il medico “sponsorizzato” potrebbe avere la “penna facile” nelle prescrizioni dei farmaci di quella determinata azienda…

Quindi il “povero” professionista, che peraltro ha l’obbligo ministeriale di aggiornarsi, tutti gli anni, cosa deve fare? I 50 crediti come li ottiene? Certo l’azienda ospedaliera può organizzare corsi in sede, ma questi difficilmente rispondono all’esigenza di aggiornamento di medici appartenenti a specifiche specialità, soprattutto in realtà sanitarie regionali piccole.
 
La gente deve essere informata correttamente: solo così potrà diventare alleata del medico. Deve capire che lo stipendio di un medico, pur dignitoso, non ha la stessa valenza di quello di altre categorie professionali, e che una parte dello stesso viene impiegato per la professione (partecipazione a corsi di aggiornamento, iscrizione a società scientifiche, acquisizione di apparecchi informatici all’avanguardia, assicurazione professionale, diventata peraltro obbligatoria con la nuova legge sulla responsabilità professionale, …).
 
I cittadini devono sapere che un medico può andare a lavorare e mettere radici in realtà periferiche come per esempio quella valdostana solo se l’amministrazione è disposta a sforzi significativi, perché purtroppo l’attrattività è scarsa, per le motivazioni che continuiamo ad elencare da anni: costo della vita mediamente più alto, mezzi pubblici poco efficienti, autostrada tra le più care d’Italia, microcosmo culturale e scientifico (con necessità, come detto, di aggiornamenti continui fuori regione), conoscenza della lingua francese propedeutica ai concorsi, stipendi ormai in media o più bassi rispetto a molte altre realtà italiane, proposte di lavoro allettanti dalla Svizzera e dalla Francia.

La sfida è difficile, ma se vogliamo una sanità pubblica regionale e nazionale degna di questo nome dobbiamo essere coscienti che solo parlando in modo chiaro ai cittadini si può salvare il nostro servizio sanitario.

Tutti dovrebbero capire che i professionisti della sanità rappresentano un patrimonio che deve essere salvaguardato, perché il servizio sanitario nazionale è una risorsa che se non viene curata adeguatamente lascia lo spazio alla sola sanità privata. E ciò sarebbe una sconfitta per tutti.

Piero Sirianni
Segretario ANAAO ASSOMED Valle d’Aosta 


17 maggio 2017
© Riproduzione riservata

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