Politica

Diffamazione, Renzi non può firmare una legge che fa male alla stampa

Le nuove norme saranno approvate dopo le feste. E hanno un solo obiettivo: dare una stangata ai giornalisti. Perchè la politica vuole celebrare il funerale delle notizie?

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Uno spettro si aggira per Montecitorio, la nuova legge sulla diffamazione. Pronto a colpire giornali e siti web, negando agli uni e agli altri la libertà di fare cronaca e dare giudizi e interpretazioni. Pronto a imporre una rettifica capestro. Pronto a battere cassa duramente. Sull'altare del carcere che scompare  -  per una diffamazione grave non si andrà più in galera  -  la categoria dei giornalisti sta per essere messa in riga in un clima di indifferenza generale che preoccupa. Passate le feste, la politica imporrà una cattiva legge, già votata al Senato, che si pone un solo obiettivo: stangare la stampa per imbavagliarla, regolare un conto antico, costringere di fatto i direttori a non pubblicare notizie che "costerebbero" troppo. Addirittura fino a 50mila euro, una cifra insostenibile in tempi di grave crisi come quella che la stampa sta attraversando.

Dieci domande. La prima domanda da porsi è questa: la futura legge è necessaria? La seconda: per evitare il carcere, che non è la prassi ma un'assoluta rarità, i giornalisti possono pagare un prezzo così alto? La terza: perché non si può fare una legge semplice, di un solo articolo con su scritto "è abolito il carcere" e fermarsi qui? La quarta: perché si impone una multa da 10 a 50mila euro? La quinta: perché le rettifiche devono essere prese per oro colato e pubblicate senza commento? La sesta: non sono pochi due giorni di tempo per pubblicare la rettifica? La settima: possono essere trattati allo stesso modo i quotidiani, i libri, i siti web, i semplici blog? L'ottava: perché, in una legge sulla diffamazione, viene inserito il diritto all'oblio e s'impone ai siti di cancellare in tutta fretta le notizie presuntamente diffamatorie? La nona: perché il principio della querela temeraria, la richiesta di una cifra spropositata rispetto a quanto si è scritto o detto, non viene inserito correttamente? La decima: com'è possibile che una maggioranza politica in cui il Pd è l'azionista più forte, che esprime addirittura un premier potente come Renzi, consenta di mettere il bavaglio ai giornalisti?

La fine del web libero. Di queste dieci domande l'ultima è sicuramente quella su cui è un dovere riflettere. Perché non è accettabile che chi dovrebbe avere più a cuore degli altri un giornalismo libero e scevro da paure e da auto censure, lavori invece per il disegno opposto. Perché è inutile girarci intorno: se questa legge sarà approvata, così come la possiamo leggere adesso negli stampati della Camera, ci sarà un solo e immediato risultato. Una stampa sul chi vive, editori che imporranno ai propri direttori di essere molto più attenti di prima a pubblicare notizie scomode e che potrebbero produrre diffamazioni da migliaia di euro, visto che a rispondere, e poi a pagare, non sarà il singolo autore dell'articolo, ma anche il direttore che lo ha autorizzato. Un direttore responsabile di tutto, anche di poche righe non firmate. Sarà la fine del web libero. Perché l'obbligo della rettifica continua e immediata ne stroncherà la stessa natura di informazione in continuo movimento. La battaglia per resistere alle richieste di cancellare definitivamente le notizie sarà talmente distruttiva da corrodere la forza stessa di chi fa informazione online. Sull'altare del carcere che non c'è più celebreremo il funerale delle notizie. Ma ne vale davvero la pena? Renzi e il Pd hanno il dovere di chiederselo.
 
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