Nei primi giorni di gennaio, quando il governo Tsipras era una possibilità e nessuno si aspettava che la Grecia potesse non pagare i debiti, i tecnici della Commissione Ue erano certi che a fine anno la crescita dell’economia ellenica sarebbe arrivata al 2,5%. Un dato portentoso. Sarebbe stato il secondo esercizio in attivo dopo anni di crisi. Invece no.

Si è votato, ha vinto la coalizione di Syriza, è arrivato il premier scravattato con l’arguto ministro amante dello show, sono cominciate le difficoltose trattative per il rinnovo del programma di salvataggio. Il cielo sopra il Partenone si è rabbuiato nonostante le trionfali, e anche comprensibili, promesse di cambiamento. Così alla direzione Ecofin dell’esecutivo di Bruxelles hanno preso le forbici, visto che nel nuovo contesto la precedente stima non teneva più. Hanno rifatto i conti e nelle previsioni diffuse a inizio maggio il dato del Pil è precipitato a un +0,5% che a molti è parso più che altro un calcolo di incoraggiamento.

Il motore dell’economia greca si è ingolfato da quando c’è Tsipras, soprattutto per colpa dell’inerzia dell’azione di riforme e per l’incertezza legata alla trattativa senza fine con la Grecia. L’ufficio studi della Deutsche Bank è stato fra i primi a indicare che la prossima fermata del Pil sarà in zona rossa: -0,3% nei dodici mesi in corso, ha previsto l’istituto tedesco, ancora ottimista sul 2016 (+1,3%). Standard & Poor’s non è stata altrettanto tenera: secondo l’agenzia di rating, l’assenza d’un sostegno finanziario europeo e le briglie che frenano l’attività bancaria genereranno una crescita negativa del 3% in Grecia.

Si parte dal dato Eurostat secondo cui il prodotto è sceso dello 0,2% nei primo trimestre del 2015. Rispetto allo scorso anno i salari sono calati ulteriormente senza però produrre un effetto degno di nota sulla disoccupazione che, in aprile, era al 25,6% della popolazione attiva. «C’è un sostanziale indebolimento dei progressi sulle riforme strutturali», ha rilevato a fine giugno il Fmi, correggendo chi aveva immaginato che il tasso di crescita più basso dall’ingresso nell’Ue (1981) sarebbe diventato uno dei migliori dei Ventotto. Ora il terremoto legato al referendum gonfierà la sfiducia annidata fra gli investitori internazionali che si terranno alla larga dal Paese per un po’. Gli effetti su un sistema economicamente debole sono facilmente immaginabili.

Aggiunge una buona dose di preoccupazione, secondo quanto scrivono Daniel Gros e Cinzia Alcidi del Ceps di Bruxelles, il fatto che «la Grecia è un raro caso di piccola economia quasi-chiusa». La depressione di quanti potrebbero metterci denari privati di tasca propria indebolisce il settore finanziario e le costruzioni. L’export pesa per il 30% del Pil, ma è per massima parte rappresentato dal settore petrolifero (tutto trading) e da quello marittimo, comparti che «hanno poche braccia locali e nessun legame con l’economia locale».

Scuri anche i dati sul turismo che vale il 16% del Pil. Nell’ultima settimana di giugno l’annullamento dei biglietti aerei è stato in media del 7,2% e solo il 30 giugno è stata cancellato un volo su quattro. E’ il metro dell’incertezza, la misura paradossale di un’economia che più resta ferma e più va indietro. «In sei mesi la Grecia ha perso tre punti di Pil di crescita», stima un’analisi economica della Commissione. Il conto dei posti di lavoro si farà in autunno. Un buon bookmaker difficilmente quoterebbe bassa la possibilità di un miglioramento.

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