Un ritardo nella comunicazione tra lo Stato italiano e la Commissione europea potrebbe costare caro alla Siae. Delle novità intervenute a fine anni ’90 nel nostro ordinamento sulla legge a tutela del diritto d’autore un provvedimento originariamente datato 1941 che necessariamente doveva essere aggiornato – le autorità europee sono state informate in ritardo. Come ha stabilito la Corte di giustizia della Comunità europea, in una sentenza del novembre 2007, ciò risulta contrario al principio del libero scambio delle merci. L’Italia ha provveduto a sanare questa mancanza solo nel 2009 e così, in pratica, i provvedimenti dettati dalla Società Italiana degli Autori ed Editori, come l’apposizione di bollini e certificazioni su alcuni tipi di cd, per tutta la prima decade del 2000, in teoria, dovrebbero essere considerati non-dovuti e i soldi, versati alla Siae, restituiti.

A supporto di questo, e molto meno teorica, è arrivata in questi giorni una sentenza della Corte d’appello di Roma. La Siae è stata condannata alla restituzione di quasi 250 mila euro (cifra comprensiva degli interessi maturati) a due società editrici di Milano. Queste, dall’ottobre del 2000 al giugno del 2001, avevano versato gli importi necessari per apporre i bollini di autenticità su una serie di cd contenenti programmi informatici poi allegati a riviste distribuite dagli editori medesimi. Ma che quel tipo di prodotto necessitasse della certificazione Siae era proprio una delle ultime novità inserite nella legge e sconosciute alla Comunità europea.

“Il Giudice d’appello ha riconosciuto che quanto versato dai miei clienti per i bollini Siae era non dovuto” commenta l’avvocato Daniela Gasparin, che di seguito aggiunge: “Ora quei soldi devono essere restituiti. I miei clienti versarono in quegli anni circa 209 mila euro, ma su quella cifra devono essere applicati gli interessi che i giudici hanno deciso decorreranno dal 2007, anno in cui la Corte europea ha sentenziato il ritardo italiano e l’illegittimità di certi obblighi”.

È probabile che la Siae ora ricorra in Cassazione. “È vero, ma la sentenza di Roma è dotata di immediata eseguibilità, quindi i miei clienti dovrebbero essere pagati” precisa l’avvocato Gasparin. E come loro altre decine se non centinaia di editori, grandi e piccoli, potrebbero già aver depositato cause contro la Siae per farsi restituire quanto versato tra 2000 e 2009; la sentenza di Roma assieme a quella della Corte europea hanno rappresentato, infatti, due pericolosi precedenti per le casse della Siae.

“Siae ha incassato, e continua ad incassare ogni anno, a fronte dei bollini che stampa e distribuisce, un importo complessivo compreso tra i 5 ed i 10 milioni di euro” dice l’avvocato Guido Scorza, esperto proprio in tema di diritto d’autore e blogger del Fatto quotidiano. Cifre elevate perché, secondo Scorza, la questione non riguarderebbe solo i cd che riportano programmi informatici, ma in genere tutti i supporti a prescindere dal loro contenuto. Il rischio, per la Società italiana autori ed editori è, quindi, economicamente davvero rilevante. Scorza, però, fa presente alcune criticità: “È assurdo e paradossale ma sarà difficile, che altri imprenditori possano seguire le orme di chi ha avuto ragione dalla Corte d’appello di Roma. Ormai, a seguito di una pronuncia della Corte di Cassazzione, la giurisdizione in materia appartiene alla giustizia Tributaria e, in quella sede, i tempi per richiedere la restituzione di quanto versato sono molto stretti (due anni, contro i dieci della giustizia ordinaria). È pertanto piuttosto remota l’eventualità che qualcuno, salvo che non si sia già rivolto ai giudici in passato, possa agire oggi, chiedendo il rimborso di quanto versato prima del 2009. La morale di questa storia – termina Scorza – è più interessante delle singole vicende processuali: lo Stato, inequivocabilmente, viola il diritto dell’Unione europea e la Siae se ne avvantaggia incassando decine di milioni di euro che non avrebbe dovuto incassare. Alle spalle degli imprenditori che si impoveriscono di un eguale importo”.

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