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I musei si scoprono social ma l'Italia resta indietro

I musei si scoprono social ma l'Italia resta indietro
Nonostante le nostre strutture siano tra le più visitate del mondo, sfruttano pochissimo le potenzialità della comunicazione sociale sul web. La conferma arriva dai dati di Museum Analytics: il Moma, la Tate Gallery, il Louvre, lo Smithsonian sono all'avanguardia per post e tweet. Per trovare il primo degli italiani (il Maxxi) su Facebook bisogna superare il centesimo posto. Ecco perché
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ROMA - I musei italiani cinguettano poco. In un'epoca in cui sono tweet e condivisioni a misurare e accrescere il livello di gradimento (o meno) di fenomeni, mode ed eventi, sbalordisce la noncuranza che la cultura italiana sembra riservare ai social network. Atteggiamento pagato con un seguito piuttosto esiguo sui profili dei vari musei  -  quando esistono  -  soprattutto se confrontato con i grandi numeri della partecipazione social all'estero. Sia chiaro, con i suoi 38.190.401 visitatori solo per la stagione 2013 (dati Mibact) l'Italia si conferma una delle mete museali più scelte dai turisti di tutto il mondo: a dimostrarlo ci sono le eccellenze come quella del circuito archeologico Colosseo, Foro romano e Palatino (che lo scorso anno ha totalizzato da solo 5.625.219 visitatori),  degli scavi di Pompei (2.457.051) o degli Uffizi (1.875.785).

Un'opportunità perduta. Nell'era dei social network, tuttavia, le visite che contano non sono solo quelle reali di chi acquista il biglietto, ma anche quelle virtuali di utenti Facebook e Twitter. "Sottovalutando la loro importanza si perde un canale privilegiato che consente di entrare a far parte della quotidianità delle persone, sempre più spesso alla ricerca di suggerimenti su come investire il loro tempo. Per non parlare poi della possibilità di svecchiare il pubblico museale" spiega Paolo Cavallotti, social media manager del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia di Milano. A giustificare il ritardo dei musei italiani su queste piattaforme sarebbe, al solito, la cronica mancanza di fondi stanziati a favore della cultura, oltre alla tendenza ad adagiarsi su un enorme patrimonio culturale. Che va da solo. "Forte è poi il ruolo giocato da una mentalità tutta italiana che ha portato ad investire nel digitale solo quando il fenomeno si è rivelato irreversibile", aggiunge Cavallotti spiegando come a fare le spese di questo ritardo siano anche figure professionali come la sua. "Molti musei si sono appoggiati ad agenzie esterne che, pur essendo all'avanguardia dal punto di vista social, spesso non hanno competenze nello specifico del campo museale. Questo quando a occuparsi della parte social della struttura non è qualche impiegato riciclato social media manager senza averne le competenze".

Il confronto con gli altri. All'estero, di contro, la sensibilità è ben diversa. A confermarlo sono i dati forniti dal sito Museum Analytics.org, piattaforma dedicata ai principali musei del mondo e alle relazioni digitali che fino ad ora questi sono riusciti ad intessere con i loro visitatori. Il sito nasce con il preciso intento di condividere e discutere le strategie social di tutti i musei iscritti alla piattaforma (ad ora circa tre mila), prendendo in considerazione i profili Facebook e Twitter delle diverse strutture. Guardando ai dati forniti dal sito si nota una forte sproporzione tra i successo social dei musei all'estero e in Italia. Il museo nostrano che riscuote più successo su Facebook è il Maxxi, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma con 83.091 "Mi piace" e 24.996 visite, che però risulta solo al 116 posto della classifica internazionale. A dominare con tutt'altri numeri la classifica è invece il Moma di New York 1.655.262 con "Mi piace" e 542.459 visite, seguito a ruota dal Louvre di Parigi e l'Art People Gallery di San Francisco. Stesso discorso per Twitter. In Italia dominano la classifica i "Musei in Comune" di Roma con 62.700 follower, che però nella classifica generale conquistano solo l'86esimo posto. Ma il primo in classifica, il Museum of Modern Art di New York, vanta ben 1 milione e 830 mila follower, seguito a breve distanza dallo Smithsonian Institut di Washington e dal Tate di London.

Il Papa twitta, i musei vaticani no. A chiarire con maggior evidenza le lacune in termini di presenza social dei nostri musei sono però le assenze. Come ad esempio quella dei Musei Vaticani, ancora refrattari a Twitter. Una struttura che, stando alla classifica stilata da The Art Newspaper, ad aprile 2013 risulta essere la sesta al mondo per numero di visitatori: oltre cinque milioni solo nello scorso anno, complice forse anche l'effetto Bergoglio. Lo stesso vale per il sito archeologico di Pompei la cui assenza dal panorama dei social network non può che saltare all'occhio, nonostante crolli e furti recenti facciano pensare che al momento la direzione abbia altro cui pensare. Prisca Cupellini, digital communication manager del Maxxi di Roma, spezza però una lancia a favore dei musei nostrani più attenti alla comunicazione su social network. "La lingua dei profili social del museo influisce molto sul numero degli utenti", assicura. "Non a caso i primi classificati del sito Museum Analytics sono profili in lingua inglese, la lingua internazionale della comunicazione". La soluzione adottata dalla digital comunication manager del Maxxi è quella di un'internazionalizzazione delle pagine del museo presenti sui social network, espediente che", assicura Prisca, "ha aiutato a incrementare il numero non solo degli utenti virtuali, ma anche di quelli reali "che arriva a picchi del 60% nella stagione estiva".