Venezia 2014

INTERVISTA

Mario Martone: "Il mio Leopardi ribelle e inquieto, il Kurt Cobain della sua epoca"

Applausi anche per il terzo film italiano in concorso, "Il giovane favoloso", interpretato da un convincente Elio Germano. È un ritratto originale del poeta di Recanati, infelicissimo ma ironico. E attuale. "Non occorre conoscere Leopardi o l'Ottocento italiano per vedere il nostro film, basta anima e cuore perché Leopardi arrivi allo spettatore", dice il regista

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VENEZIA - Grandi applausi di pubblico e critica anche per il rischioso film di Mario Martone Il giovane favoloso, ritratto inedito di Giacomo Leopardi che alla modernità delle parole del poeta e allo studio "matto e disperatissimo" affianca altre sfaccettature: la ribellione, l'ironia, il sentimento, la collera, la golosità fino a renderlo "umano" e in questo il suo interprete, Elio Germano, con il suo lavoro sul corpo, sulla voce e sugli sguardi, si candida di diritto tra i papabili alla Coppa Volpi. Il film di Martone, terzo e ultimo italiano in concorso, prosegue così la scia positiva del nostro cinema che ha raccolto per lo più giudizi positivi anche all'estero e si sta vendendo nel mondo.
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Martone sceglie di raccontare Leopardi in tre momenti fondamentali per la sua vita: bambino prodigio che cresce sotto lo sguardo implacabile del padre (Massimo Popolizio nel ruolo di un genitore severo nonostante l'amore), in una casa che è una biblioteca ma anche una prigione a Recanati. Giovane ribelle che a ventiquattro anni  lascia finalmente il natio borgo selvaggio, va a Firenze ma non si adatta alle regole dell'alta società italiana che lo celebra e lo critica e infine lo emargina. E poi, insieme all'amico Ranieri (Michele Riondino) l'arrivo a Napoli che è un colpo al cuore e un colpo di fulmine. Leopardi si innamora della gente dei quartieri popolari: degli scugnizzi, delle prostitute, delle taverne, dei bicchieri di vino e dei taralli. Finché scoppia il colera e l'amico Ranieri lo trascina a Torre Annunziata ai piedi del Vesuvio dove scrive La ginestra, la lunga poesia che racchiude il suo pensiero e con la quale si chiude il film.
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Martone lei ha scelto di raccontare Leopardi con uno sguardo diverso rispetto a quello che siamo soliti studiare a scuola. Lo ha definito un Kurt Cobain dell'epoca. Chi era per lei?
"Essenzialmente un ribelle, un uomo nato alla fine del Settecento quasi per caso poiché il suo pensiero era un pensiero mobile, che non apparteneva al suo tempo: ha una natura antica che però sa guardare molto in avanti. Tutto questo a partire dalla spinta che provava nello scrivere sentendo la propria anima, il proprio corpo gettato nella rete dei rapporti familiari, della società. Tutto quello che scrive Leopardi è autobiografico. È un poeta che parla a chiunque senta l'urgenza di rompere le gabbie che dall'adolescenza in avanti tutti noi percepiamo intorno: la famiglia, la scuola, la politica, la società, la cultura. Le mediazioni, le ipocrisie con cui siamo costretti a fare i conti lui non le tollerava e finiva per rompere queste gabbie una ad una rendendosi la vita, inevitabilmente molto scomoda. Leopardi parla a chiunque sia giovane, non solo anagraficamente, proprio per la spinta verso la libertà che lo caratterizzava".
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Dopo Noi credevamo un altro film sullo stesso momento storico, fondamentale - va detto - per la storia del nostro paese. Perché?
"Non avrei mai pensato di fare un altro film sull'Ottocento, però dopo aver messo in scena a teatro le Operette morali, che è stata una grande sorpresa nel rapporto con il pubblico, ho capito che c'era la possibilità con la scrittura di Leopardi di parlare agli spettatori di oggi. Ho scelto di tenere aperto il cantiere e ho pensato che ci fosse spazio per un altro film ottocentesco di approccio però completamente diverso. Noi credevamo era un film storico e affrontava temi radicalmente diversi rispetto a quelli che si usano per raccontare il Risorgimento, qui invece si tratta della descrizione di un'anima. Non occorre conoscere Leopardi o l'Ottocento italiano per vedere il nostro film, basta anima e cuore perché Leopardi arrivi allo spettatore".
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Perché ha scelto di partecipare al concorso con un film così pieno di sfide, molto rischioso?
"La sfida e il rischio li ho sentiti tutti. Da un lato nella mia storia di regista c'è, non so perché, la propensione all'azzardo, a toccare cose non facili da maneggiare e dall'altro mi sembrava bello raccontare il viaggio di Leopardi da questa cittadina di Recanati allo Stato Ponteficio e poi a Napoli e poi ancora sotto il Vulcano che per caso, o più probabilmente per destino, è capitato a Leopardi. Mi sembrava che occorresse assumersi qualche rischio per raccontare tutto questo".

Ha potuto però contare su un interprete come Elio Germano, tra i migliori della sua generazione, che già viene indicato da molti come un candidato possibile alla Coppa Volpi.
"Elio Germano è un attore magnifico e io ho voluto lui per molte ragioni. Elio era l'attore ideale per incarnare la figura di un ribelle, come io volevo che apparisse Leopardi. E poi quello che ho scoperto lavorando insieme è la sua capacità di studio e approfondimenti in un attore giovane come lui: Elio ha poco più di trent'anni. Se si pensa a tutti i luoghi comuni sulle nuove generazioni fa ancora più piacere che Elio, che è un rappresentante della sua generazione, probabilmente un simbolo, sia un attore non solo di temperamento, di sensibilità, ma un uomo capace di andare a fondo di un personaggio con un rigore straordinario. E questo mi è sembrata una cosa bellissima".