:-D

lunedì 20 ottobre 2014

Il bersaglio del nostro scontento


L'inchiesta che abbiamo il piacere di presentarvi nella traduzione italiana é (pubblicata dal Guardian il 14 otobre del 2014, di Richard Seymour) l'analisi politica di un grande paese colonialista e post-colonialista, e nei fatti e nell'immaginazione multi-culturale. Sebbene i "numeri" e la storia del Regno Unito non siano paragonabili alla storia dell'Italietta é interessante cercare di ragionare su l'ostilità collettiva allo straniero, un dato culturale e storico (quasi del tutto. C'è ovviamente un elemento biologico sulla meccanica della paura). Quello che ci accomuna é tutto nel presente, nello spregiudicato uso politico che di questo odio collettivo viene fatto, sotto gli occhi di tutti, e nella vilile indifferenza di molti. 

La traduzione é a cura di Miriana Digregorio, tra le più giovani e nobili cittadine di Asterix, le sottolineature sono le mie. Qui la versione originale. 
Buona lettura 


Perché c’è così tanta ostilità nei confronti degli immigrati nel Regno Unito?

‘’Essere preoccupati per l’immigrazione non significa avere dei pregiudizi.’’ suggerisce Ed Miliband. Può darsi. Ma nessuno è preoccupato per l’immigrazione. Certo, il 77% della popolazione inglese ne vorrebbe una riduzione, e il 56% vorrebbe ‘’una forte riduzione’’ – ma non c’è alcuna preoccupazione o interesse, piuttosto un’ unanime e crescente opposizione agli immigrati. Se questo sia essere prevenuti, l’evidenza parla chiaro: il sondaggio mostra che la maggior parte delle persone ha un’opinione negativa dell’immigrazione sebbene non abbia mai avuto alcuna esperienza negativa con essa. Infatti, coloro che vivono in zone con più immigrati sono meno propensi ad esprimere un sentimento contro di questi.

L’ostilità diffusa contro gli immigrati è determinata dalla visione d’insieme che la maggior parte delle persone, come i risultati dei sondaggi dimostrano, percepisce in maniera gravemente errata. Questi errori non sono imparziali. Per esempio, il fatto che la gente sopravvaluti di gran lunga la quantità di immigrati in cerca d’asilo è molto importante, in quanto indice di una cultura di sospetto e di scetticismo nei confronti dei rifugiati.
E’ difficile credere che questo non sia ‘’partire prevenuti’’.

Tra i difensori dell’immigrazione, sia liberali sia di sinistra, c’è riluttanza nell’affrontare la prospettiva di un razzismo popolare, collettivo. Per esempio, John Harris è solito sostenere che l’ansietà riguardo all’immigrazione non è razzista, ma una risposta alla difficile esperienza quotidiana provocata dall’immigrazione di massa. 

L’esperienza non ha nulla a che vedere con tutto ciò. La maggior parte dei britannici è stata ostile all’immigrazione per decine di anni, molto prima delle ondate migratorie Europee dell’ultima decade. Ora è cambiata l’importanza politica di questa ostilità.
Un’altra tendenza è quella di ammettere il razzismo solo per trattarlo come una conseguenza degli inganni di un gruppo privilegiato o dei conservatori, sfruttando i veri interessi delle  persone. Se fosse stato così,  sarebbe bastato per  mostrare le ‘’bugie dell’Ukip’’, come Nick Clegg ha provato a fare nel dibattito con Farage. Ma è stato fatto a pezzi. Questo perché i fatti, equivoci,  erano semplicemente di supporto ad una più diffusa frottola etica secondo la quale i Britannici sarebbero ingannati dall’immigrazione di massa. La gente crede alla bugia, perciò accetta i fatti. Le persone non sono semplicemente  credulone. Hanno un ruolo attivo nella costruzione delle proprie convinzioni.  Investono se stesse per queste, ne traggono appagamento e conforto. Per illustrare il razzismo popolare dovremmo smettere di dargli una spiegazione, e osservare le condizioni che gli danno senso.

Il sentimento dominante di questo razzismo è il risentimento. Le persone sono convinte che gli immigrati abbiano tolto loro qualcosa. Il risentimento sociale di questo genere è essenziale al costume competitivo del neoliberalismo: considerata la lotta violenta per risorse insufficienti, c’è una tremenda paranoia nei confronti delle persone immeritevoli che si appropriano delle cose ingiustamente.
Inoltre, lo sviluppo del neoliberalismo nel Regno Unito è strettamente connesso ad una politica della ‘’Britannicità’’ (Britishness). L’interruzione della immigrazione, per la Thatcher, era centrale nel programma di rinnovo della nazione come l’economia (strong pound) e la Falklands fever. La nuova condizione competitiva di Labour, essendo parte del suo programma per la Britishness, diede il via ad un’offensiva contro il multiculturalismo fallito e attaccò l’immigrazione non Europea. Gli immigrati sono stati continuamente identificati come ignobili sanguisughe, un pericolo per la sicurezza, una minaccia esistenziale ai valori britannici – e di conseguenza il bersaglio ideale dello scontento.
Non tutti sono sensibili a questo genere di rancore allo stesso modo. Una ricerca suggerisce che i più inclini ad un nazionalismo indignato sono quei settori lavorativi e le classi medie che per decenni hanno subito un declino. La ‘’loro’’ Britannia, secondo quanto vedono, non esiste più; e fanno risalire le perdite apportate al proprio ceto dalla deindustrializzazione, dalla diminuzione degli investimenti e dalla precarietà, al declino della posizione occupata dalla Britannia nel mondo post-coloniale e alla perdita dell’antico sentimento di superiorità, sia razziale, sia nazionale.

La stretta creditizia e la conseguente crisi servirono come punto focale nell’evoluzione di quest’ideologia.  Quasi ovunque, i banchieri erano insultati, ma gli elettori di destra incolpavano anche Labour di spendere troppo denaro per i gruppi politicamente corretti, come gli immigrati. 
Per come la vedono loro, la maggioranza produttiva è continuamente svigorita da parassiti sia dall’alto che dal basso. In questo contesto, fantasticare sul rispristino della Britishness è consolante. L’affermazione di idee aggressive anti-immigrati, intanto, sembra uno sprezzante recupero del divertimento perduto a dispetto della tirannica ‘’correttezza politica’’ .

Asserire che la maggior parte delle persone sia razzista riguardo ai migranti non è l’ultima risposta possibile (counsel of despair). 

Ci sono diversi livelli di attaccamento alle idee razziste. Per esempio, è provato che il margine delle persone che sono ostili all’immigrazione sarebbe molto meno esteso se fossero informate dei fatti. In aggiunta, nei restanti che rimarrebbero anti-immigrati, coloro che metterebbero questa dinamica prima di qualsiasi altro problema per  votare un partito come l’Ukip, rappresentano una minoranza.

C’è anche una minoranza anti-razzisti, che include i giovani, i sindacalisti e coloro che sono soggetti al razzismo in prima persona. 

 La loro mobilitazione tesa a supportare gli immigrati farebbe una grande differenza sul piano del confronto nazionale, dividerebbe il blocco anti-immigrazione e aiuterebbe ad ostacolare la tendenza razzista.

In ogni caso, tutto ciò è semplicemente difensivo,  e a breve termine. La reazione negativa del razzismo è stata costruita durante un lungo periodo di tempo, ed è stata intrecciata alle esperienze integranti del modello neoliberale di crescita, che ora è portato avanti da tutte le fazioni dominanti. Per annullare questo processo, ci vorranno il tempo e l’evoluzione di un’alternativa, insieme ad un linguaggio con il quale si possano esprimere le lamentele riguardo alla società e riportare il risentimento dove dovrebbe stare.



1) Ed Miliband is leader of the Labour party and MP for Doncaster North. He was the coordinator of the Labour manifesto 
2) Richard Seymour is a political activist who blogs here Lenin's tomb
He is the author of Against Austerity: How We Can Fix the Crisis They Made