Milano, 30 settembre 2014 - 08:13

Una legge sul sesso nei campus: «Solo se il sì è davvero un sì»

In California una legge invita le università a distinguere dal sesso “disordinato” delle feste dai casi di stupro. Tutto nasce dalla protesta del materasso

di Maria Laura Rodotà

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Chiunque sia «ubriaco/a, sotto l’effetto di droghe, svenuto/a o addormentato/a non è in grado di dare il suo consenso». Sembrerebbe scontato. Sembrerebbe una norma essenziale, per proteggere ragazze (e qualche ragazzo) appena maggiorenni, che vivono fuori casa per la prima volta, che per le prime volte partecipano a feste ad alto contenuto alcolico - e altro - con semisconosciuti. Ma non è stato facile approvarla. È successo ieri a Sacramento: il governatore della California Jerry Brown ha firmato la prima legge statale che obbliga colleges e università a investigare seriamente sui casi di violenza sessuale. Che fissa delle regole e dei paletti, per tentare di separare il sesso disordinato dallo stupro. Sembra una storia tutta americana, roba che si vede nei telefilm tipo Law and Order (CSI nei casi peggiori). È una questione che riguarda anche gli europei; anche noi, ora che anche i ragazzi italiani bevono come spugne nel weekend. Per dire.


Per questo, le attiviste antiviolenza nei campus ieri hanno festeggiato. Quella appena approvata, proposta dal democratico di Los Angeles Kevin de Leon (i repubblicani non hanno osato votare contro) è nota come la legge dello «yes means yes». Un sì è un sì, e deve venire da una persona in condizioni di pronunciarlo. Dire sì, essere felici di dire sì, poterlo dire, è una bella cosa. È «un deciso, cosciente e volontario consenso». Si è protagoniste/i della propria vita, non vittime. Finora, lo slogan era più vittimistico e soprattutto più difficile da provare, dopo: «No means no». No vuol dire no, ma poi chissà, come da peggiori cliché della cultura maschile.

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La studentessa che per protesta va in giro col materasso

Invece, ora, no, anzi sì. Le studentesse californiane (e un tot di studenti) potranno accusare di violenza chi diventa attivo/a quando loro non sono coscienti. Il che vuol dire: giovanotti sociopatici ma anche «frat boys» di buona famiglia, quelli ricchi sportivi e popolari dei club studenteschi che organizzano festone modello (insuperato) Animal House. Che in genere la fanno franca, perché i ragazzi sono ragazzi, ovunque.


Ora, professori e amministratori verranno aggiornati su come trattare i casi di sospetta violenza. La rettora in capo delle università pubbliche della California (tra le quali Berkeley e la UCLA) Janet Napolitano (ex segretario per la Sicurezza nazionale con Barack Obama) ha già annunciato la creazione di un’authority indipendente per indagare sui molti casi. Altri stati americani, ora, si muoveranno. E si parlerà ancora di più dei casi controversi più recenti. Come «John Doe», lo studente dell’Occidental College espulso per cattiva condotta sessuale che ha fatto ricorso obiettando «eravamo ubriachi tutti e due» (possibile). Ed Emma Sulkowicz, la studentessa della Columbia University che gira per il campus portando un materasso, e dichiara che lo porterà finché il suo stupratore non verrà cacciato (e ha lanciato un movimento di portatrici di materassi; e quella che è stata definita «una nuova forma di rivoluzione sessuale nei campus»; e forse qualcuno ne prende atto, adesso).

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