«Professoressa, perché è successo?»
«Come si fa a non aver paura?»
«Lei dice sempre che l’amore è più forte di qualunque cosa, ma non è vero!»
Quando pochi giorni dopo la strage del 13 novembre ho incontrato i miei studenti a Parigi, c’era chi piangeva, c’era chi non voleva parlare, c’era chi mi fissava in attesa di una risposta, qualcosa che potesse dare un senso a ciò che senso non ha, anche solo una parola. Ma non è stato facile, soprattutto all’inizio, trovare quella benedetta parola.
Io stessa paralizzata dal dolore. Come se avessi riscoperto d’un tratto l’impotenza dell’insicurezza e della fragilità.
Poi, però, sono state proprio le parole a venirmi in aiuto. Quelle parole che servono a mettere ordine nel mondo, come diceva Albert Camus, e a diminuire la sofferenza degli esseri umani. Quelle parole cui sono tanto attaccata e che, anche di fronte al terrore, permettono di ritrovare il filo perso. E allora è stata un’evidenza ripartire proprio dall’amore, quel sentimento oceanico, come lo definisce Freud, che ci permette di «tenerci su» e che, anche quando si è circondati dall’odio, continua a darci la forza di andare avanti e di lottare.
Non c’è un «perché» di fronte a tragedie come quella di Parigi. E nessuno dovrebbe permettersi di credere che esistano una serie di ragioni da mettere in fila al fine di capire, spiegare, rassicurare. L’odio e la violenza cancellano tutto e mettono in scacco il pensiero. Cancellano tutto e non hanno senso. Cancellano tutto. Punto e basta. A meno di fare un passo accanto alla sofferenza e concentrarsi sul «come». Come ricominciare ad aver fede nell’umanità? Come poter di nuovo vivere e sperare? Come credere ancora nell’amore?
La grande poetessa polacca Wislawa Szymborka, spiegando come l’anima vaghi, sparisca e ritorni, talvolta estranea a stessa, talvolta vicina, scrive che, accanto a questo errare, «il corpo c’è, c’è, e c’è». Esattamente come l’amore. Che c’è, c’è, e c’è anche quando si è immersi nelle tenebre. E aiuta a trovare «con» gli altri la forza di opporsi al rancore e alla vendetta. L’amore accoglie e accetta. L’amore riconosce e tollera. L’amore, all’opposto della violenza, si nutre dell’alterità e delle differenze. È quindi dall’amore che si deve ripartire. E dal rispetto. E dalla compassione. Ossia da tutto ciò che ci rende uguali, perché umani, nonostante siamo tutti diversi.
Anche quando tutto intorno a noi ci urla che siamo inutili e non serviamo a nulla, l’amore ci sussurra che non è vero, che non è così, che siamo speciali. L’amore ci insegna l’unicità di quello sguardo e di quelle parole che ci riconoscono e che ci accolgono «solo» perché siano noi. Senza chiedere e senza pretendere. Senza cancellare e senza distruggere. Anche se per amare bisogna essere pronti a rinunciare a qualcosa. L’altro non è mai a nostra completa disposizione. L’altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice «cosa». L’altro esiste – e ha tutto il diritto di farlo – indipendentemente da noi.
È questo che i terroristi hanno cercato di demolire, rubando la vita a tanti innocenti, tante ragazze e tanti ragazzi che avevano tutta la vita davanti e tanta voglia di sorridere. Ma è proprio questo che non può essere seppellito insieme a loro. Certo, la vita è fragile. Esattamente come l’amore. Ma la fragilità della vita e dell’amore portano con sé anche la forza del desiderio e del ricominciare da capo tutti insieme.