Milano, 5 febbraio 2016 - 20:53

Non si riparte solo con i bonus

Il taglio di Imu e Tasi avrebbe dovuto essere il primo tassello per restituire agli italiani fiducia sugli investimenti nel mattone. I dati dicono che non è così. E la politica dei bonus del premier Renzi davanti a tanto scetticismo sembra un’arma spuntata

di Dario Di Vico

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Durante la preparazione della legge di Stabilità abbiamo discusso a lungo — e ci siamo divisi — attorno alla scelta di abolire Imu e Tasi sulla prima casa. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sostenuto a spada tratta la sua opzione sulla quale ha investito ben 3,8 miliardi della manovra di fine anno. Siamo a febbraio, e ancora lontani dalla scadenza in cui avremmo dovute pagarle, ma di quel taglio delle tasse è come se ce ne fossimo dimenticati. Sarà per le roventi polemiche con Bruxelles che già traguardano ulteriori decisioni di finanza pubblica, sarà per i fattori di incertezza sempre vivi, quella misura non ha avuto l’effetto sperato.
Nel varare la mossa fiscale Renzi non aveva fatto mistero di voler centrare un doppio obiettivo, uno di carattere politico invadendo un terreno «berlusconiano» e quindi caro all’elettorato di centrodestra e uno più strettamente economico dando ossigeno alla risalita del Pil. Per quello che possiamo conoscere attraverso i sondaggi d’opinione il primo obiettivo non è stato centrato visto che in questi mesi non c’è stato un travaso di consensi da destra in direzione del Pd. Sul piano economico, poi, il taglio di Tasi e Imu avrebbe dovuto rappresentare la prima tessera di un intervento governativo che restituisse fiducia agli italiani sulla bontà dell’investimento immobiliare e rimettesse in moto la filiera del mattone, che per ampiezza e velocità di reazione in Italia è pressoché unica.

Èvero che nella Stabilità sono state inserite almeno altre due misure coerenti con questo indirizzo, il leasingimmobiliare e la robusta detrazione dell’Iva in caso di acquisti dell’abitazione direttamente dal costruttore, ma l’insieme di questi provvedimenti non è stato sufficiente per ridare fluidità al mercato. La sensazione di molti risparmiatori è quella di possedere degli asset molto meno liquidabili che in passato e di conseguenza sono portati a monitorare in primo luogo l’andamento quantitativo degli scambi di proprietà.

Per di più vedono come la domanda di nuove abitazioni sia diventata selettiva e specie nelle grandi città più orientata a premiare i servizi che l’immobile in sé. E intuiscono quindi che quando ripartirà si tratterà di un mercato molto diverso da quello a cui eravamo abituati e comunque non disposto ad assorbire lo stock di case invendute. Si può obiettare che in fondo il governo avesse un suo piano B e che più che a rilanciare davvero il mercato immobiliare pensasse in realtà, tagliando le tasse, di bissare l’operazione 80 euro: mettere più soldi in tasca agli italiani per consentire subito dopo un rilancio dei consumi consistente e non limitato, come ora, solo ad alcuni beni durevoli (auto). Se questa era la vera intenzione del taglio di Imu e Tasi bisogna dire che i fatti non hanno dato seguito alle premesse perché come sottolineava ancora ieri l’Istat, nella sua nota mensile sulla situazione economica, le famiglie italiane nel terzo trimestre del 2015 hanno visto aumentare il loro potere d’acquisto dell’1,4% rispetto al trimestre precedente ma i soldi che si sono ritrovati in più a fine mese li hanno destinati per una sorta di riflesso condizionato per due terzi al risparmio (+0,9%). E non perché vedano davanti ai loro occhi particolari e irrinunciabili occasioni di investimento quanto per paura, accumulano munizioni per una guerra che non è scoppiata ma della quale pensano di intuire i segni premonitori. Ed è chiaro che davanti a un orientamento così scettico e allarmato la politica di un bonus dietro l’altro che sembra prediligere Matteo Renzi appare quantomeno un’arma spuntata.

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