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Unioni civili, l'Italia entri nel XXI secolo

Il dibattito sulle unioni civili è ormai in corso da giorni al Senato. Al di là dei bei interventi di alcuni senatori e senatrici come Lo Giudice e la stessa Cirinnà, il livello del dibattito è tale che l'Associazione Radicale Certi Diritti si è sentita in dovere di scrivere al presidente del Senato Pietro Grasso per chiedergli di prendere posizione contro le ripetute offese alla dignità delle persone LGBTI che vengono ripetute in aula. Ovviamente non è in discussione la possibilità di esprimere i propri valori ed il proprio giudizio sul ddl in questione e più in generale sulla vita delle persone gay, lesbiche, transessuali e intersessuali, ma quando si ascoltano affermazioni, come le ultime contro il senatore Lo Giudice, che, palesemente ignoranti, offendono la dignità di milioni di cittadini e cittadine italiani, che sono in tutto uguali di fronte alla legge, alla scienza, alla morale ed al senso comune, si rimane oltre che basiti anche molto scandalizzati.

Il dibattito ha però varcato le aule istituzionali e si è sviluppato sui giornali, in tv, nei bar e nelle case di tanti italiani e tante italiane. Questo è indubbiamente già un risultato positivo della presentazione del ddl Cirinnà sulle unioni civili e le convivenze di fatto: da tre settimane il Paese dibatte più o meno approfonditamente sul tema dei diritti umani delle persone LGBTI imparando a conoscere meglio la realtà di quel 10% della popolazione italiana sinora del tutto ignorata. Purtroppo però si fa troppo spesso un minestrone dove si presentano video sulla gestazione per altri (come si dovrebbe chiamare la pratica invece volgarmente definita da tutti "utero in affitto") con il titolo stepchild adoption (ovvero adozione del figlio del partner) e si ignora troppo spesso il titolo II del ddl che affronta il tema delle convivenze di fatto per omo ed eterosessuali che andrebbe spiegato molto meglio. Rimarchevole è stata invece la presa di posizione di varie aziende, non tanto a favore del ddl, ma delle famiglie omogenitoriali o delle coppie dello stesso sesso. Una novità interessante nel panorama imprenditoriale italiano che ci aveva abituati invece a una prudenza che rasentava la codardia su questi temi.

In questo contesto gli integralisti cattolici e i clericali sono scesi in piazza, com'è loro sacrosanto diritto, per riaffermare una visione ideologica di famiglia del tutto scollegata dalla realtà, per escludere non solo le coppie dello stesso sesso e le famiglie omogenitoriali, ma anche tante coppie eterosessuali e famiglie che non si adeguano al modello da costoro propagandato spesso usando l'etica come una clava contro altri cittadini e assumendosi, pertanto, la responsabilità di renderla patetica. D'altro canto, tante cittadine e tanti cittadini, tante famiglie, tradizionali o no non saprei, si sono ritrovate in piazza in nome dell'inclusione.

Il dibattito, già di per sé abbastanza complesso, è stato poi confuso con l'introduzione del tema della GPA (gestazione per altri): da una parte i clericali vivono nel loro mondo fantastico fatto di gender (o ghender) e famiglia tradizionale continuando a vedere cose che non esistono come un nesso tra il ddl Cirinnà e la GPA, che in Italia è vietata e continuerà a esserlo, ma che viene usata strumentalmente per affossare la stepchild adoption; dall'altra un composito mondo - fatto di pezzettini di un certo femminismo, un paio di attivisti e attiviste LGBTI nonché di politici di destra e sinistra - pur sostenendo il DDL Cirinnà, la stepchild adoption e riconoscendo la pretestuosità del tentativo di confondere due temi (le unioni civili e la GPA) tra loro diversissimi, si scagliano comunque contro la GPA invocando messe al bando universali (la Finocchiaro), battaglie culturali (lo stesso Renzi), o pene ancora più severe di quelle già esistenti (fino a 12 anni ha proposto la senatrice cattodem Zuanna).

Il tutto viene proposto senza la benché minima base giuridica, visto che il ricorso alla maternità surrogata non è un reato universale, come per esempio l'omicidio. Non vale ovunque, non lede i diritti fondamentali della persona e quindi non può essere un reato universale. Il punto di contatto tra queste realtà così diverse tra loro è un odioso paternalismo (sì anche certe femministe possono essere paternaliste, lo si vede anche sul tema del lavoro sessuale) infarcito di riflessi proibizionisti che rafforzano proprio quelle sacche di sfruttamento che si vorrebbero eliminare. Tutte queste realtà chiedono allo Stato, agli Stati, di assumersi la responsabilità dei corpi delle donne, affinché, alla maniera dei patriarchi, appunto, si impedisca alle donne stesse di scegliere per sé, come ha scritto la mia amica Eretica. È allora tempo di dire forte e chiaro che ciò che bisognerebbe fare, invece, sarebbe incoraggiare pratiche più trasparenti, legali e regolamentate nel pieno rispetto del principio di autodeterminazione dell'individuo! Noi di Certi Diritti, rifiutiamo infatti l'idea di donne incapaci di fare delle scelte consapevoli e di vivere nel proprio corpo esperienze coerenti con il proprio pensiero.

Ma come si può valutare allora questo disegno di legge dal punto di vista della conquista di pieni diritti da parte delle coppie dello stesso sesso? Il testo del ddl Cirinnà, così com'è, è valido e può rappresentare un buon inizio di discussione. L'idea di base che lo anima, secondo cui le unioni tra persone dello stesso sesso devono determinare effetti del tutto identici rispetto a quelli del matrimonio costituisce un condivisibile punto di partenza. Tuttavia, le diversità relative al nome dell'istituto, alle formalità di celebrazione e al divieto di adozioni (ad esclusione dell'adozione del figlio del partner) sono assolutamente non condivisibili, in quanto perpetuano preconcetti discriminatori che bisognerebbe spazzare via e non rinnovare.

Nel passaggio dalla Commissione al Senato si è aggiunta un'altra odiosa discriminazione dovuta all'intento di escludere ogni possibile rimando alla famiglia (che già aveva prodotto l'infelice locuzione "specifiche formazioni sociali") e di ribadire lo status di inferiorità delle unioni civili rispetto al matrimonio: se uno dei due partner dovesse cambiare sesso e voler rimanere nella relazione d'origine, non vedrebbe trasformata l'unione civile automaticamente in matrimonio, mentre il matrimonio si trasformerebbe automaticamente in unione civile. Un emendamento per eliminare questa discriminazione è stato proposto dall'Associazione Radicale Certi Diritti e presentato da alcuni Senatori. Auspico vivamente che venga votato dall'Aula.

Insomma, siamo di fronte a un passo incerto che l'Italia sta facendo per entrare nel XXI secolo, compiamolo in fretta affinché se ne possano fare subito altri e metterci al passo dei Paesi più avanzati.

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