Milano, 29 giugno 2015 - 09:43

Se ad assumerti è un algoritmo:
«I contatti umani condizionano»

I colloqui di lavoro sostituiti dalla selezione di un software. I cacciatori di teste: «Ma un manager deve saper valutare le persone»

di Paolo Di Stefano

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La domanda può apparire ingenua, ma non lo è affatto: meglio un algoritmo o un essere umano? Più precisamente: per assumere un dipendente è meglio affidarsi a un software digitale o alla valutazione soggettiva? È quanto si chiedeva qualche giorno fa l’editorialista del “New York Times” Claire Cain Miller. «Varie start-up - scrive Cain Miller - stanno sperimentando nuovi modi per automatizzare le assunzioni, convinte che il software riesca a svolgere questa funzione in maniera più efficiente di quanto possa fare un cacciatore di teste in carne e ossa». Le aziende filo-algoritmiche sono Gild, Entelo, Textio, Doxa, GapJumper e chissà quante altre.
Il rapporto empatico, che sta spesso alla base delle relazioni «umane», sarebbe insomma un fattore di disturbo e aumenterebbe le possibilità di sbagliare. Senza dimenticare che l’applicazione di un codice automatico avrebbe anche il doppio vantaggio del risparmio di tempo e di denaro. Dunque, niente pregiudizi, simpatie, antipatie o gusti personali: una maggiore precisione nel reclutamento, specie quando si tratti di impieghi molto specifici. Ovvio poi che un algoritmo è applicabile facilmente a una vastissima varietà di candidature che il sistema tradizionale non permette. Va aggiunto un aspetto non secondario di cui il NYT non tiene conto, ma che da noi peserebbe sulla bilancia a favore dell’applicazione digitale qualora venisse adottata senza eccezioni: il clientelismo verrebbe azzerato di botto. E Dio sa quante volte l’«empatia» italiota sfiora la corruzione.


Nonostante tutti questi indiscutibili privilegi, c’è qualche manager di punta che considera ancora l’approccio vis à vis il metodo migliore per capire la qualità delle persone. Amish Shah, il fondatore di Millennium Search, un’azienda che si occupa di arruolare dirigenti nel settore hi-tech, afferma: «Se cerco passione e entusiasmo, l’algoritmo non mi aiuta». E parla di intuizione, di percezione intima, addirittura di chimica, paragonando l’approccio con il candidato a una sorta di incontro amoroso. Anacronistico? Forse. Nel 1971, il quarantenne Corrado Stajano parlò al presidente della Comit, Raffaele Mattioli, di un giovane appassionato dell’Oriente, di grandi speranze e di ottimi studi: si chiamava Tiziano Terzani. «Portamelo», fu la risposta. L’incontro fu una «sarabanda di narcisismi», ma il «ragazzo» andò a genio al vecchio banchiere, che nel giro di qualche settimana lo inviò a Singapore con un contratto a termine di mille dollari. Esattamente una questione di chimica delle relazioni umane. Fondata sull’intuizione di un personaggio geniale, disposto a lasciarsi incantare dal fascino culturale e dall’entusiasmo.

Sono tanti gli esempi, passati alla storia, che incoraggerebbero a fidarsi più dell’intelligenza che di una sequenza di dati per comprendere le qualità di un potenziale collaboratore. Dicono che nel 1949 il neolaureato Giulio Bollati, che si sarebbe rivelato una delle menti editoriali più innovative del secolo scorso, si presentò per caso nei corridoi torinesi di via Biancamano: era lì di passaggio, per salutare l’amico Daniele Ponchiroli e ripartire verso Parigi. Quel giorno stesso Giulio Einaudi lo conobbe e gli propose di restare. Bollati sarebbe diventato presto direttore generale. Empatia? Probabilmente. Un algoritmo, tra diecimila candidati, avrebbe scelto di meglio? È lecito dubitarne. Certo, erano altri tempi, in cui le probabilità che fosse proprio uno come Bollati a presentarsi lì quel giorno erano infinitamente maggiori di quanto possa succedere oggi in un’azienda analoga, dove l’accesso (nella cosiddetta «età dell’accesso») è molto più mediato e difficile e la concorrenza ben più agguerrita. Ma un manager - magari strapagato - che non sappia individuare i propri collaboratori, al punto da affidarsi a un meccanismo digitale per non sbagliare, è un manager mediocre che manca di sensibilità e di coraggio. Un algoritmo lo boccerebbe di sicuro? Mah.

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