lunedì 4 marzo 2024

 Gruppo “Europe for Future” del Seminario Permanente di Studi Internazionali (SSIP)

“Elezioni del Parlamento europeo, “spitzenkandidat” e presidenza della Commissione europea”

di Massimo Fragola

Da un recente studio del gruppo di lavoro (“Europe for Future”) del Seminario Permanente di Studi Internazionali (SSIP) si evince che la ricandidatura dell’attuale Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non sarebbe esclusa né dal punto di vista giuridico, né dalla prassi, piuttosto, potrebbe costituire un grattacapo dal punto di vista politico.  

Nella complessa e articolata procedura di nomina del Presidente dell’”esecutivo” comunitario (o “eurounionale” se si preferisce), la “riconferma” di un Presidente per un secondo mandato (e anche più) non è un fatto nuovo ove si considerino i casi di Hallstein, Delors (3) e Barroso. Dalla nascita della Comunità economica europea (CEE) – oggi Unione europea (UE) – i Presidenti sono stati 14: 3 Presidenti del Lussemburgo (Thorn, Santer, Juncker), (2 tedeschi (Hallstein e von der Leyen), 2 francesi (Ortoli e Delors), 2 italiani (Malfatti e Prodi), 1 del Regno Unito (Jenkins), 1 del Belgio (Rey), 1 dei Paesi Bassi (Mansholt), 1 della Spagna, 1 del Portogallo (Barroso). In questo elenco emergono, come mero dato di cronaca, i tre Presidenti del Lussemburgo. 

Sicché, se da un lato i Trattati TUE e TFUE, nonché la prassi, non impediscono la riconferma dell’attuale Presidente, dall’altro, tuttavia, c’è da considerare che la nomina/elezione (si veda oltre) del Presidente della Commissione europea è strettamente collegata ai risultati delle elezioni del Parlamento europeo e delle maggioranze che ne scaturiranno. 

Se è vero, infatti, che l’art. 17 TUE – che va ricordato è inserito nel Titolo III rubricato “Disposizioni relative alle istituzioni – sancisce in modo sfumato che “il mandato della Commissione è di cinque anni” (par. 3) senza null’altro aggiungere, è vero parimenti che esistono alcuni vincoli che non possono essere tralasciati. 

Più in generale, la persona candidata ed elegibile deve trattarsi di “un cittadino di uno Stato membro UE” scelto in base alla sua competenza generale, al suo impegno europeo e, ancora, “tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza”. 

Inoltre, ancorché il par. 5 dell’art. 17 TUE non è più applicabile, così come l’art. 244 TFUE – si ricorda che la riforma di Lisbona 2007/2009 aveva previsto che, a partire dal 1° novembre 2014, la Commissione europea avrebbe dovuto essere concepita da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, prevedendo però che il Consiglio europeo potesse decidere all’unanimità di modificare tale numero. Cosa che è stata fatta. Il Consiglio europeo ha quindi deciso nel 2009 di mantenere invariata la composizione della Commissione corrispondente a un Commissario per ogni Stato membro ritornando così allo status quo ante Lisbona – non va esclusa a priori la norma che sancisce in modo equanime e condivisibile, la scelta “dei membri della Commissione”, e quindi anche a maggior ragione del Presidente, tenendo in debito conto la differenziazione demografica e geografica degli Stati membri. Si direbbe una Presidenza turnaria “paritetica” (un “sistema di rotazione assolutamente paritaria tra gli Stati membri che consenta di riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri” ai sensi del par. 5, seconda frase, art. 17 TUE e art. 244 TFUE). Questo è un primo dato.

La scelta del prossimo Presidente della Commissione europea, ad adiuvandum, è ancora più importante nel contesto geopolitico che viviamo in Europa e nel mondo, laddove si consideri che il Presidente della Commissione definisce gli orientamenti generali delle politiche eurounionali; nomina i vicepresidenti, fatta eccezione per l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza con il quale condivide le specifiche competenze in materia di affari esteri e politica di sicurezza. 

L’altro dato che va sottolineato è l’aspetto politico della nomina/elezione del Presidente della Commissione europea che può essere ricondotto alla teoria tedesca dello “spitzenkandidat” o "candidato di punta" o "capolista" di punta di un partito politico europeo. Questi ultimi, sin dal 2014 sono stati “sollecitati” a concordare un candidato presidente della Commissione europea scaturito dalle maggioranze vincitrici delle elezioni del Parlamento europeo.

E questo potrebbe essere un nodo intricato da sciogliere.

Occorre considerare, pertanto, una serie di atti politici che rilevano nella questione.

Si consideri la Dichiarazione n. 11 allegata al Trattato di Lisbona, relativa all’articolo 17, paragrafi 6 e 7, del TUE, prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio europeo siano congiuntamente responsabili del buono svolgimento del processo che porta all’elezione del Presidente della Commissione europea e che tra  i rappresentanti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, si svolgano consultazioni sul profilo dei candidati alla carica di Presidente della Commissione, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo.

Il Parlamento europeo, d’altro canto, ha approvato un serie di risoluzioni nelle quali ha ribadito la sua determinazione a dare seguito al processo degli Spitzenkandidaten per l’elezione del prossimo Presidente della Commissione e segnalato che avrebbe respinto qualunque candidato che non fosse stato nominato come "Spitzenkandidat" nel periodo precedente alle elezioni del Parlamento europeo. 

La prassi dei Spitzenkandidaten, non prevista dai trattati, è stata seguita per la prima volta nel 2014 in occasione dell’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea, in quanto designato dal Partito popolare europeo (PPE) che aveva conseguito il maggior numero di seggi al Parlamento europeo. 

Nella riunione informale del Consiglio europeo del 23 febbraio 2018, i Capi di Stato o di Governo dell’Unione hanno tuttavia dichiarato che non si sarebbero ritenuti vincolati alla procedura degli Spitzenkandidaten nell’individuazione del nuovo Presidente della Commissione. 

In proposito, la Conferenza dei Presidenti del Parlamento europeo, riunitasi il 28 maggio 2019, richiamando le citate risoluzioni del Parlamento europeo, ha riconfermato la determinazione per il processo dei candidati principali, che prevede che il prossimo Presidente della Commissione abbia già reso noto il suo programma prima delle elezioni e si sia impegnato in una campagna su scala europea. 

Nella stessa giornata, di pronta risposta, il Consiglio europeo ha tuttavia ribadito la sua posizione, già espressa a febbraio 2018, nel senso di non riconoscere un automatismo tra l’indicazione dei candidati principali e la nomina del Presidente della Commissione, ricordando che, secondo i trattati, il candidato a tale carica dovrà avere sia la maggioranza qualificata in seno al Consiglio che la maggioranza assoluta in Parlamento. Se il candidato non ottiene la maggioranza prescritta dei voti del Parlamento europeo, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata "rafforzata", propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura. 

Insomma, schermaglie vere e proprie tra il Parlamento europeo (organo di individui) e il Consiglio europeo (organo di Stati).

Sicuramente le prossime votazioni di giugno 2024 saranno importanti, se non determinanti, forse più delle elezioni precedenti.

Ma allora chi elegge e chi nomina?

Ci viene in aiuto l’art. 17, par. 7 TUE che sancisce: “Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura. Il Presidente, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione del Parlamento europeo. In seguito a tale approvazione la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata”.

Anche in questa procedura così sofisticata e sensibile al tempo stesso, traspare il ruolo preminente dei governi e degli Stati (i “Padroni dei Trattati”) con riguardo al ruolo del Parlamento europeo che, va ricordato, è l’unica istituzione eletta direttamente dai cittadini. Il Consiglio europeo “propone” e il Parlamento europeo (non dispone!) approva il candidato...non elegge, ma approva, per di più ma in modo transitorio. Giacché, come sancisce l’art. 17, par. 7, ultima frase TUE, in seguito a tale approvazione la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata e che quindi ha l’ultima parola nella procedura.

Tuttavia, a contemperare gli interessi del Parlamento europeo, ai sensi dell’art. 17, par. 8 TUE, è da sottolineare il rapporto di fiducia tra Commissione eletta/nominata e il parlamento europeo. 

La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo, una sorta di affidamento. Giacché il Parlamento europeo può votare una mozione di censura della Commissione (secondo le modalità di cui allarticolo 234 TFUE). Se tale mozione è adottata, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e lalto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione.

Insomma, la tanto invocata riforma dei trattati deve tenere conto anche di questo.

venerdì 8 settembre 2023

II CORSO DI STUDI DIPLOMATICI 2024

Seminario Permanente di Studi Internazionali (SSIP)

(200 + 20 ore di formazione)

info@ssipseminario.it 

Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) bandisce la procedura concorsuale rispettando una precisa cadenza dell’attuazione del concorso pubblico, per titoli ed esami, per accedere alle funzioni della carriera diplomatica, segnatamente al primo livello “Segretario di Legazione in prova”. Com’è noto (e comprensibile) è necessario il possesso della cittadinanza italiana e non avere superato trentacinque anni di età (con alcune deroghe* rinvenibili nel bando). La sua periodicità del concorso è collegata a peculiari meccanismi di progressione tipici della carriera diplomatica, tuttavia, da esercitarsi nei limiti delle leggi vigenti, della dotazione organica e della capacità di assumere nuovo personale, di regola, per un ammontare annuo non superiore a trentadue unità* (quindi max 32 “Segretari di Legazione in prova” a concorso). È possibile sintetizzare la struttura del concorso – ancorché modifiche potranno sempre essere fatte in ogni bando a discrezione del MAECI – in: a) una prova attitudinale; b) la valutazione dei titoli; c) prove d’esame scritte e orali, lingue straniere (ed eventuali prove facoltative per la conoscenza di ulteriori lingue straniere). 

Si segnalano, preliminarmente, le prove d’esame scritte (cc.dd. “temi scritti”) nelle materie indicate nel bando che rappresentano il vero ostacolo per il superamento della prova e quindi l’accesso agli orali.

maggiori chiarimenti ed eventuali modifiche potrebbero essere presenti nel Bando MAECI 2024.

 

ORGANIZZAZIONE DEL CORSO

Il piano di formazione è strutturato per assicurare al corsista una preparazione efficiente e idonea a confrontarsi con le prove qui di seguito indicate.

 La prova attitudinale preselettiva della durata di 60 minuti consiste in un questionario composto da 60 quesiti a risposta multipla, divisi in 12 domande per le seguenti materie, riguardanti: 

a)  storia delle relazioni internazionali a partire dal congresso di Vienna;

b)  diritto internazionale pubblico e dell’Unione Europea; 

c) politica economica e cooperazione economica, commerciale e finanziaria multilaterale; 

d)  lingua inglese (obbligatoria), senza l’uso di alcun dizionario, su tematiche di attualità internazionale; 

e)  test per l’accertamento della capacità di ragionamento logico. 

 Le prove scritte vertono sulle seguenti materie: 

a)  storia delle relazioni internazionali a partire dal congresso di Vienna; 

b)  diritto internazionale pubblico e dell’Unione Europea; 

c) politica economica e cooperazione economica, commerciale e finanziaria multilaterale; 

d) lingua inglese (composizione, senza l’uso di alcun dizionario, su tematiche di attualità internazionale); 

e)  altra lingua straniera scelta dal candidato tra le seguenti: francese, spagnolo e tedesco (composizione, senza l’uso di alcun dizionario, su tematiche di attualità internazionale). 

 La prova orale verte sulle materie che hanno formato oggetto delle prove d’esame scritte, nonché sulle seguenti materie: 

a) diritto pubblico italiano (costituzionale e amministrativo); 

b) contabilità̀ di Stato; 

c) nozioni istituzionali di diritto civile e diritto internazionale privato; 

d) geografia politica ed economica. 

Per la lingua inglese e l’altra lingua straniera scelta, il candidato sostiene una conversazione su tematiche di attualità internazionale.

 Per essere preparati ad un concorso di questa rilevanza occorre ricorrere a chi ha conoscenza delle materie, professionalità ed esperienza in questo tipo di competizione molto aggressiva.

!!! Studiare sul libro di testo non basta. Studiare le materie oggetto delle prove senza una guida esperta non è sufficiente. Occorre cimentarsi nelle prove attitudinali tutt’altro che semplici e, soprattutto, in prove scritte (ed orali) di grande complessità. Bisogna scrivere, scrivere, scrivere! E scrivere bene. È necessaria una guida/tutor (individuale e collettivo) competente in materia e soprattutto di esperienza del concorso.

 

Le lezioni, le esercitazioni, i webinar e i test sono tenuti in lingua italiana online (con possibilità di interazione)Accanto al programma di formazione, i corsisti hanno l'opportunità di apprendere dal confronto con i research fellow del Seminario SSIP, i professionisti, gli analisti e gli esperti “esterni” del mondo della diplomazia e della scena politica italiana e internazionale. 

Sono previsti, inoltre, i cc.dd. “giovedì diplomatici” che tanto hanno dato ai corsisti quanto a competenze ed esperienze dirette del concorso, così suddivisi:

  • testimonianze di diplomatici in carriera, funzionari del MAECI ed esperti della diplomazia internazionale
  • conferenze e tavole rotonde su specifiche aree geopolitiche di rilevanza internazionale; 
  • seminari ristretti e incontri riservati con i ricercatori SSIP, ospiti ed esperti internazionali; 
  • simulazioni delle prove attitudinali.

La didattica è organizzata online ma permette – anzi è fortemente richiesta – l’interazione con il docente/tutor e il costante utilizzo di tutti gli strumenti didattici necessari per l’insegnamento. 

Per partecipare alle lezioni è necessario un computer con microfono e telecamera e una connessione internet stabile. 

 

 

ORGANIZZAZIONE E DURATA DEL CORSO

(200 + 20 ore di formazione)

 

Il Corso di Studi Diplomatici (200 ore di lezione) è strutturato in lezioni, seminari, laboratori, esercitazioni scritte e si terrà, per quanto riguarda le lezioni di base, tutti i venerdì pomeriggio (15-19) e il sabato mattina (9-13) a partire da venerdì 10 novembre 2023 fino a sabato 4 maggio 2024.

Il ciclo delle lezioni essenziale per la preparazione di base alle varie prove sarà integrato dai “giovedì diplomatici” (20 ore in totale) con seminari e testimonianze di ambasciatori - in carriera e a riposo - giovani agenti diplomatici in carriera, esperti di fama internazionale.

CORPO DOCENTI

Il corso è tenuto da docenti universitari, diplomatici di carriera e fuori ruolo, esperti, analisti di riconosciuta fama e professionalità. Oltre ai docenti universitari, in particolare, delle Università della Calabria (Cosenza), di Napoli “L’Orientale”, della Sapienza Università di Roma e Università degli Studi Roma Tre, la maggior parte dei docenti impegnati sono anche Membri del Comitato di Presidenza e del Comitato Direttivo del Seminario SSIP (www.ssipseminario.it). Altri docenti, esperti ed analisti saranno comunicati successivamente.

 

Nella domanda di iscrizione (vedi form) il corsista allega al proprio CV la dichiarazione di aver visionato e di accettare i contenuti della informativa CV e della privacy policy.

 

LIBRI DI TESTO CONSIGLIATI

La lista dei manuali delle materie oggetto delle prove è inviata a richiesta del corsista. In ogni caso l’elenco proposto tiene conto dei testi consigliati dal MAECI.

Al termine del Corso, per coloro che avranno frequentato le lezioni per almeno l’85% del totale, riceveranno un attestato di frequenza che afferma l’assidua partecipazione al Corso di Studi Diplomatici e la relativa competenza in materia.

 

Per ulteriori informazioni la segreteria del Seminario SSIP è a disposizione per qualsiasi richiesta:info@ssipseminario.it

 

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mercoledì 14 giugno 2023

 

Collana di Studi Internazionali ed Europei

3

 

 

 

 

 

 

Massimo Fragola

 

 

 

Le concessioni balneari in Italia alla luce del diritto dell’Unione europea (e della direttiva c.d. “Bolkestein”)

 

(Estratto)

per la versione integrale*

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Pellegrini Editore

*https://www.pellegrinieditore.it/book-author/fragola-massimo/

2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Collana di Studi Internazionali ed Europei

Diretta da Antonio Buonocore

 

 

 

1. Massimo Fragola, Europa e Felicità. Prima durante e dopo Brexit, 2021

2. Autori Vari, Arctic, Essays from a multidisciplinary perspective, 2022

 

3. Massimo Fragola, Le concessioni balneari alla luce del diritto dell’Unione europea (e della direttiva “Bolkestein”), 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bozza incompleta. Estratto dalla versione in vendita da

Luigi Pellegrini Editore 2023

 

*https://www.pellegrinieditore.it/book-author/fragola-massimo/

 

 

1. La questione delle concessioni marittime e balneari - tematica in verità non nuova - ha da ultimo attirato l’interesse di vari studiosi, evidenziando un sistema, quello delle generali concessioni pubbliche in Italia, vetusto, inadeguato e arretrato. Le riflessioni che seguono sulla improrogabile soluzione del rilascio delle concessioni balneari in Italia, alla luce del diritto dell’Unione europea e, in particolare, come casus belli, della trasposizione della direttiva Ce n. 2006/123 del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva “Bolkestein”), non intendono risolvere sic et simpliciter una tematica complessa e spinosa che evidenzia, “a monte”, diffuse carenze di sistema perpetrate negli anni, laddove si tratti di “trapiantare” nell’ordinamento nazionale italiano direttive europee, ovvero, norme comunitarie in generale[1].

Ciò perché, sono ipotizzabili altre “frizioni” politiche nel prossimo futuro. Con il che. Si prevede un impegno del legislatore e il conseguente lavoro delle magistrature nazionali ed europee.

 La questione giuridica di fondo è talmente complessa che un “résumé” appare improbabile. Tuttavia, con un esercizio di buona volontà, a voler semplificare al massimo, le questioni dibattute dinanzi alle Corti italiane ed europee ruotano, essenzialmente, intorno a cinque punti fondamentali: a) più in generale, l’esecuzione nel diritto nazionale italiano della disciplina comunitaria della libera concorrenza nel mercato unico/interno europeo (il c. d. regime “antitrust” unionale); b) il rispetto di princìpi e regole di fondamentale importanza per la coesione europea che attengono alla libera circolazione delle persone, beni e servizi, con riguardo al rispetto della parità di trattamento e del principio di non discriminazione in base alla nazionalità; c) la trasposizione e la sua corretta applicabilità nel diritto italiano della “direttiva Bolkestein” nella prospettiva del rilascio delle concessioni balneari a persone fisiche o giuridiche dalle autorità competenti italiane[2]; d) la validità degli atti amministrativi adottati su istanza di proroga delle concessioni demaniali già in precedenza assegnate (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, c. 682) in luogo dello svolgimento di gare pubbliche di rilievo comunitario secondo il diritto unionale e la conseguente giurisprudenza; e) la reiterata inadempienza del legislatore italiano nel rispettare molteplici e differenziate decisioni delle Corti nazionali e della Corte di giustizia dell’Unione europea (anche “Corte UE”).

Per non aggiungere, in “premessa”, il primato del diritto eurounitario sul diritto interno incompatibile, ovvero, la diretta applicabilità di talune norme comunitarie che esigono un’applicazione immediata da parte di qualsiasi “ente” pubblico statale.

Dal punto di vista giuridico – e politico – la questione è di evidente complessità. 

In effetti, appare più complessa dal punto di vista politico, sebbene, nel dibattimento rilevino varie e variegate fonti internazionali, europee, nazionali, nonché regionali e locali, e quindi, autorità, poteri e competenze differenziate e spesso in contrasto tra loro. 

Oltre il presente studio, attesa la complessità della tematica, appare verosimile che molti aspetti rimarranno irrisolti anche dopo l’adozione della tanto attesa legge nazionale italiana “sistematica e strutturale”; tematiche suscettibili, quindi, di sviluppi futuri così come, parimenti, nuovi contenziosi sono ipotizzabili[3].

Per inquadrare in modo definito la problematica, occorrerebbe comprendere, in principio, quale è il punto di “approdo sicuro” della questione, il che, in verità, è un’aspirazione grande. Ciò, perché, in un quadro evidentemente deteriorato da anni di indifferenza (se non di “negligenza”) del legislatore italiano, contemperare oggi i diversificati e contrastanti interessi in campo non è opera facile. Forse sarebbe stato più agevole qualche anno fa; con il che, non mi riferisco esclusivamente alla trasposizione della direttiva in parola (in vigore dal 2010[4]), ma anche a voler ragionare in modo più ampio, ovverossia, di cultura concorrenziale e dell’esercizio dell’economia sociale di mercato, guardando ad essi non come un vincolo, un “lacciuolo”, bensì come un’opportunità di sana concorrenza, crescita sociale e sviluppo economico. 

Ovviamente, in questa preliminare denuncia, i concessionari marittimi-balneari non sono “i” responsabili, giacché piacevolmente assoggettati da anni – rectius: “da generazioni” – alla prassi dell’assegnazione diretta e alla permissiva normativa in vigore, sebbene, taluni di essi, occorre sottolinearlo, non sono esenti da critiche e giudizi contestabili come si vedrà più avanti.

È allora necessario interpretare (e sancire), preliminarmente, cosa si intenda per “concessioni balneari” – definizione che, va ricordato, deriva dalla prassi non trovando dignità nel diritto positivo – e, soprattutto, di conseguenza, chi sono i destinatari di siffatte concessioni. Giacché, da un lato, sembrerebbe inopportuno equiparare, nella fattispecie, la disciplina dei porti, dei porti turistici, da quella delle spiagge per uso balneazione (dal lat. balnearius, più tardi balnearis, der. di balnĕum ”bagno”); dall’altro, vale la pena accertare se di “turismo” balneare trattasi, ovvero, di “escursionismo balneare” grazie ai siti oggetto di concessioni marittimo-balneari per uso balneazione, elioterapia, svago e utilizzo del tempo libero con conseguenti servizi aggiuntivi. Altra cosa, ancora, riguarda i beni del demanio marittimo – segnatamente i porti (art. 28 CdN) – destinati all’approdo, il ricovero delle navi in transito e tutte quelle attività connesse con la movimentazione di persone e merci nell’ambito dei traffici marittimi[5].

Parimenti e preliminarmente, occorre identificare altresì i “destinatari” – vale a dire i “concessionari” – delle concessioni demaniali e individuarne la loro natura giuridica. 

Partendo da questa ultimo quesito che ci siamo posti, parrebbe non esserci alcuna discrasia tra la qualificazione nazionale, internazionale e comunitaria della figura del “concessionario”. Essendo coinvolti nel vortice della concorrenza e del libero mercato occorre parlare necessariamente di “impresa” ovvero di “imprenditore” (micro, piccolo o medio-grande che sia). 

La Corte di giustizia UE ha definito le imprese enti-organizzazioni che esercitano un’attività economica, a prescindere dal loro stato giuridico e dalle loro modalità di finanziamento[6]. Per “attività economica deve intendersi qualunque attività che consista nell’offrire beni e servizi su un mercato. La qualificazione di un determinato ente come impresa dipende, pertanto, totalmente dalla natura delle sue attività. 

Questo principio generale presenta importanti conseguenze.

Lo stato giuridico dell’ente in questione ai sensi del diritto nazionale è ininfluente, vale a dire, un ente che in base alla normativa nazionale sia qualificato come associazione o società sportiva può tuttavia essere considerato un’impresa ai sensi della normativa antitrust eurounionale (in particolare in materia di “aiuti” di Stato ex articolo 107, paragrafo 1, TFUE). 

Le stesse considerazioni valgono per gli enti facenti formalmente parte della pubblica amministrazione. L’unico criterio pertinente nella fattispecie è l’esercizio di un’attività economica[7].

Sul piano nazionale, il Codice civile[8] – Titolo II (artt. 2082-2221), com’è noto, non definisce l’impresa ma l’imprenditore, ricollegando a tale status particolari diritti e doveri. Anche nella formulazione civilistica il concetto di imprenditore comprende qualsiasi forma di attività produttiva organizzata, a prescindere dalla natura, dalla dimensione o dallo scopo dell’attività stessa. La nozione di imprenditore va intesa quindi in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata a cui consegua una remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo irrilevante – ma non ininfluente – lo scopo di lucro.

Inoltre, il decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 istitutivo del “Codice del turismo” all’art. 4 (Allegato 1) definisce come “imprese turistiche” “quelle  che  esercitano  attività  economiche,  organizzate  per  la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e  la  gestione di prodotti, di  servizi,  tra  cui  gli  stabilimenti  balneari,  di infrastrutture e di esercizi,  compresi  quelli  di  somministrazione facenti  parte  dei  sistemi  turistici  locali,   concorrenti   alla formazione dell’offerta turistica”[9].

Viceversa, per rispondere all’altro quesito, allorché si parli di beni del “demanio marittimo” l’art. 28, lett. a) del codice della navigazione (CdN), che lo ricordo, è una fonte essenziale applicabile, include testualmente e complessivamente “il lido, la spiaggia, i porti, le rade” (...)[10]. Ma le disposizioni che hanno impattato negativamente con il quadro eurounionale sono il comma secondo dell’art. 37 CdN e l’art 1, comma 2, del decreto-legge n. 400 del 1993[11], disciplinanti rispettivamente il c.d. “diritto di insistenza”[12] (oggi abrogato) e il regime della durata e del rinnovo (automatico) delle concessioni demaniali marittime. 

Se infatti la disciplina del codice della navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327) – più volte interpretata dal giudice amministrativo e emendata dal legislatore – prevedeva che in presenza di più domande per il rilascio del provvedimento concessorio fosse accordata preferenza al precedente concessionario (diritto di insistenza), l’altra disposizione individuava, oltre ad un termine di sei anni per la durata della concessione, un meccanismo di rinnovo automatico di ulteriori sei anni per il caso in cui il medesimo concessionario avanzasse la relativa richiesta. 

Un simile impianto legislativo, ancorché precedente all’esperienza dell’integrazione europea, ma storicamente datato, fatalmente è entrato in collisione con il diritto dell’Unione europea[13]. L’impianto normativo così concepito costituiva, di diritto e di fatto, concessioni sostanzialmente permanenti, con conseguente ed evidente preclusione di ogni possibilità di inserimento di nuovi concessionari sui medesimi beni demaniali[14], con la conseguenza della negazione di ogni seppur minimo carattere concorrenziale. 

Vale la pena, quindi, chiarire preliminarmente cosa si intenda, dal punto di vista giuridico, delle ricorrenti definizioni “lido” e/o “spiaggia” posto che l’art. 28, lett. a) CdN ne fa, pur citandoli complessivamente, una netta separazione.

Per non addentrarci in una selva oscura che evidenzia altre terminologie, utilizzate più o meno impropriamente, come arenile, litorale, baia, fascia di rispetto costiera (o territori costieri), battigia, scogliera. 

Secondo l’esegesi giurisprudenziale maggioritaria, il lido è quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare, da cui resta normalmente coperta a mezzo delle mareggiate ordinarie, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo; la spiaggia è costituita non solo da quei tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l’arenile, cioè quel tratto di terra che risulti residuo in seguito al naturale ritirarsi delle acque restando idoneo ai pubblici usi del mare. Anche la scogliera fa naturalmente parte dell’arenile in quanto anch’essa potenzialmente destinata agli usi pubblici del mare. 

La potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare e delle sue zone circostanti ne implica la demanialità[15].

Secondo la Corte UE nella ormai nota sentenza ”Promoimpresa” del 2016[16], nonché ai sensi delle due connesse decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nn. 17 e 18/2021) – delle quali si dirà più avanti – la concessione del lido per uso balneazione senza ricorrere a gare pubbliche integra una disparità di trattamento nei confronti di imprese, anche europee, potenzialmente interessate a gestire il bene. Ne consegue che la disciplina nazionale in materia vìola il diritto dell’Unione, specialmente la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), le regole della concorrenza e dell’evidenza pubblica, nonché, evidentemente, la direttiva n. 2006/123/CE.

Tuttavia, come attentamente sottolineato, “la riflessione in merito alla gestione dei lidi non può ridursi a valutare se applicare o meno la regola della concorrenza, ponendo sul mercato gli affidamenti. Piuttosto, è necessario spingersi a considerare la natura giuridica del bene[17], laddove i lidi andrebbero ricondotti alla categoria dei beni collettivi (rectius: dei “beni comuni”)[18]. La fruizione libera delle spiagge, vale a dire quella porzione non oggetto di concessioni demaniali, soddisfa, in particolare, diritti costituzionali primari, consente il libero sviluppo e dunque ne permette la classificazione tra i commons”. I beni comuni sono i beni, direi “le cose”, che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona. Essi sono tutelati e salvaguardati dall’ordinamento anche a beneficio delle generazioni future e possono esserne titolari sia persone giuridiche pubbliche che privati, ma in ogni caso deve esserne garantita la fruizione collettiva[19].

Occorre quindi distinguere tra servizi offerti nella porzione di lido dato in concessione e il bene in sè. Deve trattarsi – nella formulazione datane dalla direttiva “Bolkestein” – di concessioni demaniali marittime che presentino un interesse transfrontaliero “certo” e il cui rilascio sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili (art. 12 direttiva). 

Affronteremo la questione più avanti.

In attesa che il legislatore italiano faccia le sue valutazioni e, soprattutto, scelte ponderate e definitive, possono essere considerati utili per la risoluzione della spinosa questione alcune aperture delle varie Corti. Il legislatore nella sua costituenda disciplina avrebbe, a nostro avviso, un certo margine di interpretazione e decodificazione della volontà del legislatore comunitario.

 Con ciò si intende la possibilità di valutare differenti fattispecie – e quindi disciplinare in modo differente – il variegato caleidoscopio delle concessioni marittime demaniali, pur sempre rimanendo nell’alveo della corretta e conforme applicabilità della direttiva “Bolkestein”. Non escludendone, evidentemente, la diretta applicabilità nei casi in cui non possa parlarsi di “scarsità delle risorse naturali”, “di interesse transfrontaliero certo”, ovvero, quando si renda necessario tutelare diritti diversificati, ovvero, l’eventuale legittimo affidamento del “già titolare” della concessione – che ai sensi della consolidata e centenaria normativa previgente si aspetta(va), legittimamente, il rinnovo della propria concessione – semmai avendo compiuto i necessari investimenti e adeguamenti di legge[20].

Secondo attenta dottrina[21], che la prassi automatica (o similare) delle proroghe delle concessioni non sia conforme ai parametri imposti dal diritto dell’Unione è un dato ormai assodato non solo alla luce della sentenza Promoimpresa, di cui si dirà più avanti, ma anche al netto di alcune precisazioni, in realtà secondarie e comunque già frutto di una robusta prassi (europea), richieste ai giudici nazionali; in particolare, alla valutazione in merito alla sussistenza del requisito della “scarsità” delle risorse naturali disponibili al fine di giustificare l’applicazione dell’art. 12 della direttiva(par. 43).

Sul piano squisitamente giuridico dei rapporti tra l’ordinamento italiano e le norme UE, la difficoltà di una conforme applicazione nell’ordinamento italiano di atti unionali (direttive in particolare) non è una questione nuova[22]. Anzi, nella fattispecie che ci occupa, la trasposizione della direttiva Bolkestein appare come il male minore evidenziando, tuttavia, la punta di un iceberg molto più ampio e complesso.

Sicché, la querelle delle concessioni balneari ci offre lo spunto per riaffrontare temi fondamentali del rapporto tra diritto unionale e diritto nazionale quali, ad esempio, non soltanto la valenza e l’importanza del mercato interno europeo – e quindi il rispetto del regime comunitario di libera concorrenza – bensì, così come emerso dai numerosi ricorsi e relative sentenze nazionali ed europee, il principio di non discriminazione in base alla nazionalità e la parità di trattamento tra cittadini e imprese europee.  Ma anche, rivedere alcune classificazioni sulla valenza giuridica delle “direttive” adottate dalle istituzioni unionali[23], posto che al centro della liberalizzazione del mercato unico europeo – oltre alle previsioni dei Trattati dell’Unione europea (UE) e sul suo funzionamento (TFUE), varie direttive specifiche e una giurisprudenza europea sempre attenta alla tutela dei diritti – si erge come “atto contestato e divisivo” la direttiva Ce n. 2006/123, definita anche “direttiva servizi”. 

Occorrerà analizzare, giocoforza, l’essenza stessa dell’ordinamento comunitario/unionale e, in particolare, elaborare una possibile e praticabile “via comune” cercando di bilanciare gli interessi in campo (dei concessionari balneari nel rispetto delle norme UE) in un rapporto/contrasto tra le norme sovranazionali e le norme nazionali dello Stato membro (l’Italia nel caso che ci occupa) sempre vivo e mai sopito. Così che, si affronteranno tematiche storiche, e decisive, quali la diretta applicabilità di alcune norme comunitarie, la (conseguente) disapplicazione delle norme interne incompatibili ad opera non solo del giudice nazionale ma anche della pubblica amministrazione, il regime degli atti amministrativi emessi in violazione del diritto UE e, ad adiuvandum, la sorte delle sentenze medio tempore adottate a conferma degli effetti di detti atti. Ad aggravare il contesto di per sè già complesso, si riscontrano una congerie di leggi e decreti nazionali italiani in attuazione/revisione delle precedenti norme di esecuzione del diritto unionale che, quindi, nella questione di cui si tratta, si pone come norma originaria di riferimento[24].

Tuttavia, è necessario fare un passo indietro per un indispensabile cenno storico. 

L’idea di concorrenza e la conseguente astrazione, fu elaborato dai critici del mercantilismo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, quale naturale risultato delle libertà fondamentali dell’individuo, in contrapposizione all’economia dirigista nella quale lo Stato determina cosa e quanto produrre e ai monopoli aziendali. Si prenda a modello il punto di vista di due economisti che ci appaiono congruenti nella fattispecie. Secondo una prospettiva, Adam Smith [An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (1776)] riteneva che la pura “e leale” (virgolettato da me aggiunto) concorrenza starebbe ad indicare il “riconoscimento a coloro che forniscono i beni migliori al prezzo più basso. Essa offre un compenso immediato e naturale che una folla di rivali si affanna ad ottenere, ed agisce con più grande efficacia di una punizione distante, dalla quale ciascuno può sperare di sfuggire”. In base a questo approccio, la (leale e) libera concorrenza sarebbe in grado di regolare, da sola, i meccanismi dell’economia; in altra ottica, ma pur sempre correlata alla precedente, secondo Jeremy Bentham [Fragment on Government (1776)], il singolo, perseguendo il proprio interesse individuale, farebbe altresì il bene della collettività, giacché, generalmente non vi è nessuno che conosce i vostri interessi meglio di voi stessi, e nessuno che sia disposto con altrettanto ardore e costanza a perseguirli”. Due prospettive assolutamente attuali.

Posto che il mercato senza regole non si autodisciplina correttamente giacché non tiene in conto fattori extra economici – come un ambiente socio-economico arretrato e non industrializzato, il livello culturale ed educativo scarso, il degrado generalizzato del territorio ecc. – affinché esista una libera e leale concorrenza in un mercato, che si tratti di spazio nazionale, europeo, ovvero mondializzato, deve necessariamente sussistere un quadro giuridico adeguato e trasparente che consenta agli operatori economici, e ai piccoli imprenditori, di misurarsi lealmente con gli altri operatori nazionali, europei ed internazionali – verificando le proprie abilità e capacità imprenditoriali – e di esercitare le loro libertà nel rispetto dei diritti altrui. 

È da molti ritenuto che, come principio generale, la libera concorrenza abbia un effetto positivo sull’economia del mercato in quanto incoraggerebbe le aziende, anche le medio piccole (PMI), ad essere più efficienti, ad innovare dal punto di vista tecnologico e a migliorare costantemente la qualità dei loro beni e servizi per attirare le preferenze dei consumatori/fruitori di servizi. 

Nel settore degli imprenditori balneari non sempre è così; posto che, a nostro modesto avviso, trattasi di una fattispecie molto particolare che andrebbe di conseguenza valutata con un atteggiamento più propriamente coerente alla fattispecie, quanto meno, ove possibile, e nella prima fase di applicazione della legge (sulle concessioni demaniali marittime) che verrà, valutando caso per caso, oppure, tipologia per tipologia. Potrebbe parlarsi di un regime transitorio e diversificato previsto dalla prima legge “pilota” in materia, in attesa di una definitiva normazione con successivi atti di applicazione. Nel rispetto del generale principio di ragionevolezza.

Ciò perché, una differenza – si direbbe una disuguaglianza – a) tra vecchi concessionari ancora in corso di concessioni, b) altri vecchi concessionari con concessione scaduta che attendono la nuova regolamentazione in attesa di gara, c) nuovi imprenditori che intendono, per la prima volta, accedere alla gara per ottenere la concessione per il periodo previsto dallo ius superveniens.

È pur vero che la legge con i suoi caratteri di generalità e astrattezza non si rivolge a determinate persone ma ad una serie indeterminata di soggetti; ma essa è altresì astratta perché non si riferisce ad un fatto concreto ma ad una serie ipotetica di fatti eventuali e il contesto di cui si tratta è enigmatico anche per vari altri aspetti.

Talvolta è infatti difficilissimo, se non impossibile, per le micro, piccole imprese familiari in determinate aree svantaggiate del Paese, potersi confrontare con imprenditori provenienti da altri Stati membri, ma anche italiani[25], con una solidità societaria e capacità imprenditoriali molto più consistenti, nonché, con una cultura del libero mercato e della concorrenza molto più radicata e consolidata. 

Le aziende più competitive, viceversa, anche nell’ottica della transizione ecologica e tecnologica sono, a mio avviso nel settore delle concessioni balneari, assolutamente minoritarie, intendendo quelle imprese in grado di cavarsela nella competizione che il mercato europeo e mondiale oggigiorno richiede e, di conseguenza, realizzare l’obiettivo finale e il necessario e legittimo profitto della propria attività. Obiettivo terminale dell’imprenditore (balneare) che scaturisce come in tutte le fattispecie dall’eccedenza del totale dei ricavi (il prezzo pagato dai fruitori dei servizi balneari) sul totale dei costi (ad esempio investimenti, personale ecc.), non riguarda soltanto l’utile – il guadagno, il profitto che pure è la fonte di sussistenza della sua famiglia – ma una serie (non quantificabile) di rapporti umani con i clienti tradizionali consolidati negli anni, una socialità gestore/cliente habituè che trascende il mero dato economico e, a quanto consta, non appare riconosciuto dalle fredde leggi del mercato. Il profitto è, e rimane, il giusto corrispettivo per la sua abilità e per i rischi assunti, ma è da quantificare anche il retroterra culturale, dell’accoglienza, dell’ospitalità, della socialità e della cordialità dei rapporti umani. 

Questo è un punto importante da tenere presente. 

Come si accennava, tuttavia, la “terribile” concorrenza agli imprenditori balneari (soprattutto micro, medio piccoli), talvolta impari, può giungere non soltanto “dall’esterno” cioè dalle imprese eurounionali – che sono l’oggetto principale di queste riflessioni – ma anche, legittimamente e legalmente, dall’interno del nostro stesso Paese da società nazionali che operano nel settore. 

Come il Gruppo Marinedì s.r.l., ad esempio, che è “leader nel mercato italiano ed europeo per lo sviluppo e la gestione di Marine nazionali e all’estero. Costituisce il primo network di Marina nel Mediterraneo, gestendo direttamente, o in partecipazione con enti locali e privati, strutture portuali dedicate al turismo nautico”[26].

Si ribadisce “legittimamente e legalmente”.

Oppure, solo per fare un altro esempio, sebbene con profili e competenze diverse, la Frittelli Maritime Group S.p.a., azienda con sede ad Ancona operante nel settore marittimo su larga scala, in particolare nel settore dei magazzini generali, doganali ed esteri, nell’imbarco e sbarco di container e merci varie e quant’altro, con una importante quota nel settore del traffico passeggeri e trasporto rotabili, con investimenti che negli ultimi anni ha visto estendere il proprio raggio d’azione a nuove attività come i Servizi Yachting e Bunkering. Da ultimo, si apprende, che sarebbe in programmazione il progetto Eagle che si svilupperà su 50.000 mq e che darà vita ad una moderna concezione dell’ambiente di lavoro. Il “FMG Village” ospiterà, infatti, tra l’altro, un ristorante, una palestra e uno spazio dedicato alle mostre, aperto non solo ai collaboratori, ma, sulla base di una programmazione, esteso a tutta la cittadinanza[27].

Questi due esempi, che sono espressamente citati nel presente studio, dovrebbero servire agli imprenditori (medio) piccoli a darsi una configurazione imprenditoriale più consona alle richieste, non solo di maggiore concorrenza, ma anche di qualità dei servizi in ambienti eco-sostenibili. Come dire: meno cementificazione delle coste e delle spiagge e più ecosostenibilità.

In questa ottica, vanno considerati anche gli aiuti UE al settore e, in particolare, da ultimo, ci si riferisce al PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienzaprogramma con cui il governo gestisce i fondi eurounionali del Next generation EUCome è noto, si tratta dello strumento di ripresa e rilancio dell’economia europea introdottodall’Unione europea all’indomani della pandemia. 

In effetti c’è un nesso sostanziale tra l’approvazione corretta e definitiva della direttiva “Bolkestein”, nonché dell’accettazione del regime della concorrenza alle concessioni marittime balneari e il pagamento delle residue rate PNRR all’Italia con il raggiungimento dei “target” concordati (c. d. “regola aurea”). 

Sul piano politico si tratta di una partita per niente agevole tra la Commissione europea e il governo italiano[28]

Nel rapporto “fare per avere” il punto nodale della trattativa riguarda proprio le concessioni portuali, oltre 200 in Italia, da Genova a Cagliari passando per Trieste e Gioia Tauro, vale a dire, circa 13 miliardi di metri quadrati di banchine affidate in concessione per l’imbarco e lo sbarco di persone e merci, più servizi collaterali. Nell’ottica del potenziamento della competitività del sistema portuale italiano – richiesto dal PNRR, Missione 3, Componente 2 del Piano – occorre trovare il giusto equilibrio tra la tutela degli investimenti già realizzati dai concessionari e l’apertura a nuovi operatori che intendono entrare in questo mercato, in particolare, si presume, negli scali più importanti situati nel Centro-Nord d’Italia[29]. Ma non necessariamente.

Una disciplina nazionale comune (cc. dd. “regole di ingaggio”) appare indispensabile, laddove si consideri che oggi l’organizzazione della “portualità” in Italia è stratificata e disuguale da sito a sito – 16 Autorità di Sistema Portuale[30] e 62 porti – ferme restando le specificità territoriali che potrebbero applicare criteri diversi in relazione alla importanza del porto, della sua posizione e della sua appetibilità[31].

Iniziative imprenditoriali importanti e meritorie si affacciano all’orizzonte di tutto il sistema concessorio marittimo nazionale le quali, evidentemente, mostrano il cambiamento epocale in corso e, viceversa, sottolineano come il livello di talune (non tutte!) concessioni demaniali marittime, allo stato attuale, siano inadeguate, unilaterali e monotematiche, così da esigere una nuova regolamentazione generale.

L’economia del mare[32], peraltro, in tutte le sue variabili/possibilità, va interpretata come volano di crescita non soltanto di tutto il territorio nazionale, ma anche, e soprattutto, del meridione d’Italia agevolato dalla sua posizione strategica[33] come ponte sul Mediterraneo verso l’Africa e il Medio Oriente [grazie anche alle zone economiche esclusive (ZES) e alle zone logistiche semplificate (ZLS)][34].

Si tratta, quindi, in questa analisi, di contemperare esigenze talvolta apparentemente incompatibili, vale a dire, da un lato, il rispetto del diritto dell’Unione europea, giacché non dimentichiamo che l’Italia – Stato fondatore dell’Unione – è parte integrante del mercato unico europeo da più di settant’anni, dall’altro, la tutela delle micro, piccole e medie imprese concessionarie balneari nel contesto italo-europeo. Nella prospettiva dell’attuazione delle norme del Trattato, che, in particolare, sancisce tra i principi generali [l’obiettivo primario di] “accrescere la capacità di concorrenza delle imprese senza imporre alle imprese restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi” (art. 101, par. 3, lett. a TFUE); giacché possono considerarsi compatibili con il mercato interno: a)  gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione [...] (art. 107, par. 3, lett. a TFUE);  nel rispetto anche dei diritti sociali fondamentali, quali definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 che, va ricordato, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione. 

A tal fine, “l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività̀ dell’economia dell’Unione. Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dai trattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative” (art. 151 TFUE); ancora, “L’Unione e gli Stati membri provvedono affinché siano assicurate le condizioni necessarie alla competitività dell’industria dell’Unione. Nell’ambito di un sistema di mercati aperti e concorrenziali, la loro azione è intesa: – ad accelerare l’adattamento dell’industria alle trasformazioni strutturali, – a promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa ed allo sviluppo delle imprese di tutta l’Unione, segnatamente delle piccole e medie imprese” (art. 173 TFUE).

Tuttavia, va riaffermato, non sempre nelle PMI (ovviamente si escludono le cc. dd. “multinazionali” o equivalenti) e in particolare nelle “piccole” aziende familiari che in gran parte gestiscono le concessioni balneari[35] si è avvezzi, in modo professionale, ad essere più efficienti, ad innovare e a migliorare la qualità dei beni e servizi per attrarre le preferenze dei consumatori/fruitori di servizi. Le motivazioni sono varie e complesse: sicuramente territoriali/regionali ovvero di contesto economico e sociale. Non è da considerare irragionevole, ovvero una discriminazione, se si afferma che Portofino gode di un contesto più favorevole rispetto a Capo Rizzuto (Crotone). Entrambe due località turistico-balneari di rispettivo rango ma radicate in un contesto economico diverso e con disponibilità economiche e capacità imprenditoriali differenti per target e mercato.

Se la regolamentazione dei mercati è, quindi, una condizione necessaria affinché la leale competizione avvenga con regole oggettive e proporzionate per tutti, vale la pena ribadirlo, qualora la competizione dovesse essere impari, sproporzionata, asimmetrica, va sostenuta e supportata, nei casi di micro-piccole aziende familiari, non solo con sussidi/protezioni economiche e sociali, ma anche con un’adeguata formazione specialistica in materia. In effetti, per fare un discorso più ampio e aperto al futuro, c’è necessità di formare e qualificare i soggetti richiedenti le concessioni balneari, posto che spesso si tratta di soggetti familiari che si improvvisano imprenditori senza alcuna nozione di gestione e management dell’impresa per piccola o micro che sia.

Potrebbe ipotizzarsi una figura professionale ad hoc, adeguatamente formata ed istruita, si direbbe una “nuova professione”, che, in quanto titolare di un attestato formativo, potesse partecipare alle gare pubbliche con un titolo che potrebbe essere, ope legis, adeguatamente valutato in sede di rilascio di concessioni balneari. Concessioni che quindi sarebbero accordate con riguardo alla professionalità, alle competenze e al merito.

Siffatta condotta andrebbe a limitare, se non eliminare, eventuali disfunzioni di sistema che già oggi sono evidenti. Ci si riferisce, ad esempio, a Condofuri Marina in provincia di Reggio Calabria che, ovviamente, non è il solo caso in Italia, la cui amministrazione comunale non avrebbe assegnato nuove concessioni balneari pur nella disponibilità di aree libere. Secondo Federbalneari il caso Condofuri fa emergere con chiarezza il problema burocratico locale che, quanto alle future gare pubbliche, stando così le cose, rischierebbe di causare un potenziale danno erariale per le casse dell’amministrazione e dello Stato[36].

Lo stesso dicasi nella Regione Campania[37] il cui portale non appare aggiornato, laddove lo Sportello Telematico Unificato, nello spiegare cosa sono gli “stabilimenti balneari” e la necessità di avere la concessione demaniale marittima afferma che “Il rilascio, il rinnovo e la variazione della concessione ha luogo nel rispetto del piano comunale delle coste (PCC) approvato, del codice della navigazione, del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, delle leggi statali e regionali” e “La durata delle concessioni per finalità turistico-ricreativa è fissata ordinariamente in sei anni”. Non facendo alcuna menzione della normativa europea così come prevalente sul diritto interno incompatibile[38].

In ogni caso in varie Regioni italiane si è fermi da anni a legiferare in materia e non soltanto a causa, da ultimo, della direttiva “Bolkestein”[39].

Inoltre, vi sono vari contenziosi in materia approdati (anche) all’attenzione della Cassazione penale, come la sentenza n. 15676 del 22 aprile 2022, che riguarda le concessioni in Liguria e gli spazi liberi che, a quanto consta, sarebbero solo il 15% del totale utilizzabile. Peraltro, come in altre Regioni, la legge regionale n. 13 del 28 aprile 1999 ha stabilito il trasferimento ai Comuni delle funzioni amministrative sul demanio marittimo. Dal che si ricava che il Comune di Genova ha competenza nei tratti di litorale compresi, a Levante, tra il Promontorio di Punta Vagno e il confine con il Comune di Bogliasco; a Ponente tra il confine con il Comune di Arenzano e il Rio Lavandé (zona di Vesima). Una vasta area individuata e gestita dal Comune grazie al Pro.U.D., il Progetto di Utilizzazione del Demanio Marittimo, che individua le aree e gli spazi in concessione demaniale in corso di validità, le previsioni di utilizzo e, soprattutto, la determinazione del canone concessorio[40]

Secondo la Cassazione Penale, Sezione III, la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rinviando al 31/12/2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità ludico-ricreative, ha prodotto effetti solo ed esclusivamente rispetto alle concessioni che hanno beneficiato di proroghe espresse, determinandone la sopravvivenza sino alla data individuata e tali non sono, viceversa, le concessioni già scadute. Secondo i giudici penali lo stabilimento di cui si tratta aveva una concessione dal 1998 scaduta a fine 2009, grazie ad un una proroga già ottenuta dal Comune di Genova nel 2008; il che non rientrerebbe nella generale prorogatio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere fino al 31 dicembre 2023

La Cassazione ha statuito che la pronuncia del Consiglio di Stato non incide in alcun modo sulla posizione dello stabilimento di cui si tratta “in quanto, essa, rinviando al 31 dicembre 2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità ludico-ricreative, ha prodotto effetti solo ed esclusivamente rispetto alle concessioni che hanno beneficiato di tali proroghe, determinandone la sopravvivenza sino alla data individuata, e tale non è la concessione facente capo allo stabilimento di cui si tratta che, rilasciata nel 1998, risulta definitivamente scaduta in data 31 dicembre 2009, a seguito di un rinnovo disposto dal Comune di Genova, senza mai essere stato oggetto di una proroga espressa”. 

Da qui l’ipotizzato reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo (ex art. 1161 CdN) e il relativo sequestro preventivo sul tratto di arenile su cui insiste lo stabilimento balneare de quo. Secondo la Cassazione, “tanto basta a ritenere sussistente il fumus del reato di cui all’art. 1161 CdN posto che l’occupazione dello spazio demaniale marittimo è “arbitraria” ed integra il reato di cui all’art. 1161 se non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando sia scaduto o inefficace il provvedimento abilitativo”.

Al di là di violazioni del diritto italiano – civile, penale, amministrativo – e del diritto eurounitario, che appaiono evidenti, ciò che risalta in egual misura è, come detto e in una prospettiva più ampia, la mancanza di una seppur minima cultura della concorrenza e del mercato.

Un dato storico sulla concorrenza appare lecito.

Senza risalire al XVIII secolo va solo citato lo Sherman Antitrust Act (1890) che possiamo definire la prima legge “antitrust” degli Stati Uniti d’America [e forse del mondo] e rappresenta la prima azione del governo statunitense per limitare i monopoli e situazioni incompatibili con il libero mercato, quali, pratiche monopolistiche, concentrazioni, abusi di posizione dominati, aiuti di Stato[41]. Dallo Sherman Act hanno preso spunto innumerevoli normative nazionali ed internazionali antitrust; tra le quali quella dell’Unione europea sin dall’inizio dell’integrazione europea [già nella Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) del 1951] e italiana [legge n. 287 del 10 ottobre 1990[42], recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” ...cento anni dopo lo Sherman Act]. 

A evidenziare che i Paesi anglosassoni (e non solo) e le loro imprese hanno una cultura antitrust molto più sviluppata e sensibile rispetto ad altre realtà. 

È questo un altro dato da tenere presente.

Si consideri, altresì, che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) istituita in Italia con la legge del 1990 svolge un ruolo puramente domestico e con carattere residuale, applicandosi al mercato esclusivamente nazionale, in quanto, è la Commissione europea e il diritto dell’Unione della concorrenza a regolare il mercato eurounitario. Le due autorità “antitrust”, ad ogni buon conto, cooperano in materia ancorché su livelli differenti[43], come da ultimo la causa promossa dinanzi al Consiglio di Stato (Sezione Sesta) dall’AGCM contro il Comune di Manduria per aver assegnato nuove concessioni in spregio della inapplicabilità delle norme nazionali[44].

Va altresì ricordato, che l’art. 21-bis, della legge n. 287/1990, attribuisce all’AGCM la legittimazione “ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”. La norma, invero, non introduce un generalizzato controllo di legittimità, bensì un potere di iniziativa che, integrando quelli conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità dagli artt. 21 e seguenti, risulta finalizzato a contribuire a una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato[45]. L’interesse sostanziale, a tutela del quale l’AGCM può ricorrere, assume i connotati dell’interesse a un bene della vita, nella specie quello al corretto funzionamento del mercato, che trova tutela a livello unionale e costituzionale e del quale l’AGCM è, istituzionalmente, portatrice[46].

Sebbene l’Italia non abbia una secolare cultura antitrust, la nostra lungimirante Costituzione ha stabilito alcuni principi fondamentali in materia. L’art. 41, ad esempio, sancisce la libertà dell’attività economica privata; coniugando i principi di libertà e solidarietà afferma la libertà di iniziativa economica e quindi orienta il nostro Paese per la scelta dell’economia di mercato, riconoscendo allo Stato il potere di intervenire, mediante leggi, per programmare l’attività economica, sia pubblica sia privata. Limita, tuttavia, per fini di utilità sociale e attraverso leggi il regime di concorrenza – che quindi non è indiscriminato – (art. 4, 3° comma); consente la creazione di taluni monopoli legali in settori specifici e a fini di utilità generale (ex art. 43 Cost.); assicurando l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza nel sistema economico attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale. Tenendo in debito conto, tuttavia, anche altri principi/fondamenti che rilevano con evidenza nell’annosa questione.

Le prospettive di analisi della vastissima dottrina che ha affrontato il tema del mercato e delle regole sono molteplici e variegate. Se ne riassumono i contenuti più rappresentativi.

Alcuni ritengono che l’economia di mercato sia il solo sistema economico efficiente, ma per mantenersi tale e per combinare efficienza ed equità ha bisogno del ruolo della politica economica[47]. Per altri e in una prospettiva diversa, va approfondita la relazione tra le libertà economiche, i diritti fondamentali e la dignità umana nelle loro diverse implicazioni, giacché il quadro costituzionale e i valori e i principi fondamentali che ne derivano costituiscono l’unico mezzo per realizzare quella interazione fra il sociale e l’economico necessaria per ristabilire il giusto equilibrio tra regole di valore e regole di mercato[48]. Altri ancora sostengono sia necessaria una società più giusta e solidale, fondata sulla dignità della persona umana, nonostante, si affermi, che tale società si esprime, sostanzialmente, attraverso i valori del mercato[49].

Le suggestioni che si ricavano dall’analisi di siffatte riflessioni – che rappresentano in qualche modo la sintesi delle opinioni prevalenti della dottrina – dovrebbero far comprendere come il mercato e la sua liberalizzazione (rectius: la sua regolamentazione)  per essere uno strumento di possibile sviluppo equo e solidale, deve tenere in debito conto altre virtù “sociali”, nonché in taluni casi considerare le specificità locali, al di là degli strumenti normativi tipicamente ed esclusivamente economici-mercantili. 

Nondimeno, nel preambolo del Trattato sull’Unione europea si afferma in modo retorico che occorre intensificare la solidarietà tra i popoli europei rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni (sesto considerando); promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell’ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell’integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori; sicché, l’Unione europea promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri (art. 3 TUE); rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. Ancora l’art. 4, par. 2 TUE sancisce che “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”.

2. La questione italiana relativa alle concessioni balneari affonda le radici molto al di là del caso specifico. Si tratta di una generale mancanza di familiarità con il diritto dell’Unione europea (UE) e delle questioni “comunitarie” più in generale. Come si accennava in precedenza, una mancanza di cultura europea e della concorrenza in particolare, nello specifico di competitività delle micro-piccole aziende familiari che, in sostanza, per generazioni familiari, si sono accontentati di ciò che si riusciva a ricavare a fine stagione senza troppi sforzi economici e di investimenti. Occorre, pertanto, rivedere lo status di siffatte micro-aziende familiari (per farle migliorare e qualificare come si accennava) laddove appare necessario, se di competizione europea si deve parlare, far partire “ad armi pari” tutti i soggetti interessati. 

Si cercherà, pertanto, di spiegare brevemente un vecchio ed ancestrale atteggiamento nei confronti dell’Unione che scaturisce, tuttavia, da mere inadeguatezze e incapacità di comprendere le scelte comuni in luogo di una visione essenzialmente domestica. Che lo si voglia o no, che lo si gradisca o meno, la dimensione di riferimento è, rebus sic stantibus, la dimensione europea. Ovviamente, come recitano i Trattati, nel rispetto della ricchezza delle diversità culturali, l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e nella conformità della loro identità nazionale.

Successivamente si valuterà la conformità/applicabilità della “direttiva Bolkestein” con la normativa italiana sulle concessioni demaniali balneari e valutarne la sua indiscussa applicabilità al caso concreto.

Partiamo da alcune notazioni più generali del diritto UE necessarie per comprendere il contesto nel quale ci si deve necessariamente muovere. Ricordando, tuttavia, che l’”Unione europea non è una entità estranea - aliena - agli ordinamenti nazionali, né che si tratti di un’entità extraterrestre. L’Unione europea “siamo noi”! Gli atti legislativi unionali che ci “piombano” addosso - regolamenti, direttive, decisioni, (e anche le sentenze della Corte e del Tribunale UE) - sono negoziati e quindi adottati dai rappresentanti dei governi nazionali “a livello ministeriale” (Consiglio UE) sentito e/o “co-deciso” con il Parlamento europeo che rappresenta i cittadini, (quasi sempre) su proposta della Commissione europea che rappresenta l’interesse comune. Sicché, i cittadini eletti ogni cinque anni portano in sede europea la voce del popolo (Parlamento europeo) mentre il Consiglio UE rappresenta gli interessi nazionali (sostanzialmente) governativi. Per non aggiungere al dibattito due organi consultivi che si aggiungono alla procedura legislativa, quali, il Comitato delle regioni (CdR) ovvero il Comitato economico e sociale (CESE). Nel rispetto delle procedure legislative previste dai Trattati con le votazioni a seconda della materia, a maggioranza, a maggioranza qualificata o all’unanimità.

Come dovrebbe essere noto, entrambi i Trattati sui quali è istituita l’Unione europea, il TUE, e il Trattato sul suo funzionamento (TFUE) sono strumenti giuridici volontariamente concepiti, redatti ed approvati dagli Stati membri – in particolare dai governi e, successivamente, dai Parlamenti nazionali dei 27 Stati membri[50]. Decisioni prese all’unanimità [“Le modifiche (ai Trattati) entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali” (art. 48 TUE)]. La realizzazione del mercato comune/unico/interno europeo è uno dei baluardi dell’intero processo di integrazione e postula, come necessario corollario, la liberalizzazione della circolazione di persone, merci, servizi e capitali (art. 26 TFUE)[51]. Vale a dire, la realizzazione di uno spazio comune senza frontiere interne non già frammentato in tanti territori statali con relativi confini, dogane e dazi. In un regime di libera concorrenza non soltanto tra le imprese europee, ma anche tra gli Stati (intendendo la più ampia accezione di governance centrale, regionale, comunale o pubblica amministrazione) ai quali è precluso, salvo talune deroghe specifiche, la concessione di “aiuti mediante risorse statali, ovvero, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza” (art. 107 TFUE). 

Il regime della libera concorrenza – ovviamente disciplinato rigidamente da norme comuni sotto il controllo della Commissione europea[52] e, successivamente, ove necessario, sul piano giurisdizionale, della Corte di giustizia UE – rappresenta un altro snodo attorno al quale ruota l’”anima” stessa del mercato unico europeo, dell’unione doganale e dell’intero processo di integrazione europea. Peraltro, a conferma generale, l’art. 18 TFUE sancisce, in via di principio, ma anche come diritto di cittadinanza europea, che “nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.

L’Unione, quindi, sollecita gli Stati membri a rispettare il principio dell’uguaglianza dei cittadini UE (art. 9 TUE), delle persone fisiche e giuridiche che beneficiano, pertanto, di uguale attenzione nell’applicazione del diritto UE; la norma del trattamento nazionale costituisce una delle disposizioni giuridiche fondamentali dell’ordinamento comunitario ed è dotata di efficacia diretta, essa può, pertanto, essere fatta valere dai cittadini, dalle persone sia fisiche sia giuridiche, dinanzi al giudice nazionale. 

Per ciò che qui interessa maggiormente, quando si richiede in ambito europeo il requisito della parità di trattamento ci si dovrebbe riferire alle imprese europee, a parità di fatturato, di ampiezza, di numero di unità lavorative-anno (ULA) a tempo pieno o a tempo parziale[53].

Vale a dire, nella fattispecie del rilascio delle concessioni marittime balneari, “equivalenza” nella competizione degli attori in gara. 

Occorre spiegare meglio.

Ferma restando la generale regolamentazione, nazionale, conferente con il diritto eurounionale, occorrerebbe tenere in debito conto – nella disciplina generale – le differenze socio-economiche delle varie zone costiere, della ricchezza valutata in termini di PIL regionale, del costo della vita, del tessuto imprenditoriale presente sul territorio, così che, di conseguenza, l’autorità preposta potrà predisporre gare e bandi pubblici più confacenti alla realtà locale. Nel rispetto della disciplina nazionale che si confà alla disciplina comunitaria.

Laddove l’equivalenza tra le imprese sia improponibile – vuoi perché la differenza tra la “microimpresa”[54], la “media” e la “piccola” impresa appare sproporzionata, vuoi perché le condizioni socioeconomiche del sito o della regione interessata sono al di sotto degli standard minimi equiparabili – non può parlarsi di sana ed equa concorrenza, bensì, ove non si tengano conto di siffatti parametri, di (dis)parità di trattamento. Come dire una sorta di discriminazione “alla rovescia”.

Men che meno verrebbe in rilievo la norma del trattamento nazionale tra le imprese che, a ben analizzare, non appare applicabile in talune circostanze di arretratezza e di disagio socioeconomico, salvo il preventivo intervento pubblico “compensativo” – anche a favore di concessionari già titolari ai concessioni demaniali – con misure atte a porre siffatte aziende in condizione di raggiungere la equiparazione tra i concorrenti, l’emancipazione dal punto di vista economico-sociale, formativo, nonché la crescita imprenditoriale generale. Misure di equità social-concorrenziale da non considerare aiuti di stato vietati dalla normativa europea (artt. 107-108 TFUE), giacché l’impresa non ne guadagna alcun beneficio competitivo, illegittimo, posto che, quanto alle imprese balneari, si tratterebbe di un’evoluzione formativa e di qualità necessaria proprio alla sana ed equa competizione.

 Misure di equità social-concorrenziale destinate a quelle imprese che esercitano una micro-attività economica a titolo individuale, familiare, in forma associativa o societaria, artigianale, al di sotto di una soglia finanziaria e “societaria” che ne determini la categoria[55]

Per spiegare meglio. Laddove una micro o piccola impresa, di tipo familiare, debba concorrere ad armi pari con altre imprese dello stesso settore (turistico-balneare), italiane e/o europee, deve essere, ab initio, messa in condizione di una parità di trattamento quanto meno in termini di strutture, numero degli occupati, degli investimenti, anche eco-compatibili. Accesso al mercato e alla competizione vuole dire anche parità di trattamento come punto di partenza. 

Successivamente il più bravo, l’imprenditore più capace, potrà emergere e vincere la competizione. 

Occorre inoltre segnalare che per la realizzazione del mercato interno europeo (art. 26 TFUE) il Consiglio, su proposta della Commissione, “definisce gli orientamenti e le condizioni necessari per garantire un progresso equilibrato nell’insieme dei settori considerati” (par. 3) e il successivo art.  27 stabilisce che la Commissione europea “tiene conto dell’ampiezza dello sforzo che dovrà essere sopportato, per l’instaurazione del mercato interno, da talune economie che presentano differenze di sviluppo e può proporre le disposizioni appropriate”. Se queste disposizioni assumono la forma di deroghe, esse debbono avere un carattere temporaneo ed arrecare meno perturbazioni possibili al funzionamento del mercato interno (ancora l’art. 27).

Per attuare le politiche comuni che gli Stati membri hanno attribuito volontariamente all’Unione, sono previste procedure legislative che le istituzioni europee devono rigidamente rispettare, così come pure l’utilizzo dell’atto legislativo – più invasivo rispetto ad un altro – salvo se i Trattati non decidano per espresso. Come nel caso della liberalizzazione dei servizi [salvo alcune specifiche materie regolate diversamente] il cui articolo 59, par. 1 TFUE stabilisce che “per realizzare la liberalizzazione di un determinato servizio, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, stabiliscono direttive”. Ancora il successivo art. 60 precisa che “gli Stati membri si sforzano di procedere alla liberalizzazione dei servizi in misura superiore a quella obbligatoria in virtù delle direttive stabilite in applicazione dell’articolo 59, par. 1, quando ciò sia loro consentito dalla situazione economica generale e dalla situazione del settore interessato”. 

A conclusione della ulteriore premessa giova ricordare che, secondo quanto stabilito dai Trattati, “per esercitare le competenze dell’Unione, le istituzioni adottano atti legislativi nel rispetto di procedure ben precise, in particolare, regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri[56]. La direttiva si configurerebbe, tra gli altri atti, come uno strumento giuridico più duttile, più flessibile, una sorta di “atto quadro” di armonizzazione che, pur vincolando gli Stati membri quanto al risultato da raggiungere lascia, tuttavia, un certo margine di apprezzamento per l’atto di diritto nazionale da adottare per la “trasposizione”. Insomma, un atto meno invasivo e prorompente del regolamento. 

Ma la prassi, agevolata da una giurisprudenza della Corte di giustizia rivolta (sicuramente) alla tutela dei singoli, ma anche come deterrente nei confronti degli Stati membri, ha elaborato molteplici interpretazioni che ha comportato, nella sostanza, un’applicazione diversificata delle “direttive” che vale la pena spiegare. 

Autorevole dottrina ha segnalato che la coraggiosa giurisprudenza della Corte di giustizia sull’efficacia delle direttive prende le mosse già dalla sentenza SACE del 17 dicembre 1970 nella quale, per la prima volta, chiarisce il proprio pensiero e le sue scelte, invero, più politiche che giuridiche[57]. Senza scendere nel dettaglio della controversia, basti ricordare che una norma del Trattato (l’allora art. 13, par. 2 CEE) stabiliva la soppressione del tributo italiano, versato dalla SACE, in quanto considerato “tassa di effetto equivalente a un dazio doganale” espressamente vietato dall’unione doganale e da un’apposita direttiva non trasposta. Lo Stato italiano non ha provveduto a sopprimere il tributo violando, così, sia il Trattato sia la direttiva (della Commissione) n. 68/31. 

La Corte di giustizia adita dal Tribunale di Brescia ha sancito sia l’effetto diretto dell’art. 13 CEE – classica “norma in bianco” – in combinato con la direttiva n. 68/31 che, di quell’articolo, ne rappresentava l’effettiva applicazione, sia l’effetto diretto delle direttive non trasposte in quanto sarebbero in grado di produrre, comunque, effetti diretti senza attendere la trasposizione da parte dello Stato, facendo sorgere, ove riscontrabili, diritti soggettivi in capo ai singoli. Vale la pena ricordare ulteriormente che la direttiva, a differenza del regolamento che ha portata generale ed è direttamente applicabile, è indirizzata agli Stati membri, non è (di regola) direttamente applicabile e richiede, entro un termine perentorio, un atto nazionale per il risultato che intende raggiungere, fatta salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi (c. d. “riserva di competenza” nazionale). 

Per la nostra riflessione sulle direttive (inclusa la “Bolkestein”) si possono fare due specifiche precisazioni. In primo luogo, le accuse che già in quegli anni furono poste alla Commissione europea riguardavano l’illegittimità delle sue proposte ritenute troppo “dettagliate” che avrebbero impedito al Consiglio UE – “dei ministri nazionali” – ossia l’istituzione rappresentativa dei governi nazionali, di esercitare il loro potere discrezionale ancora oggi molto importante e decisivo. 

Anche nel successivo e ben noto caso Van Duyn  una cittadina olandese a cui nel 1973 fu vietato l’ingresso in Gran Bretagna, giustificato da motivi di ordine pubblico – la Corte ha riconosciuto esplicitamente che la direttiva in questione poteva spiegare effetti diretti analoghi a quelli dei regolamenti[58]La Corte ha, tuttavia, precisato che una direttiva per godere della efficacia diretta necessiti che le sue disposizioni sono incondizionate e sufficientemente chiare e precise, sempre che lo Stato membro non abbia recepito la direttiva entro il termine fissato, ovvero, la abbia trasposta in modo inadeguato – in toto o in parte – nel proprio ordinamento giuridicoLa Corte di giustizia, tuttavia, sulla scia di evidenti contestazioni (politiche) da parte degli Stati membri, ha modificato (in parte) il proprio indirizzo giurisprudenziale confutando l’efficacia diretta delle direttive, quanto meno sotto il profilo formale, ma riconoscendola sotto il profilo sostanziale [sentenze Ratti (1979) e Becher (1980)]. 

Così si giunge al filone giurisprudenziale che, secondo autorevole dottrina, ha reso possibile il “declino” delle direttive quanto meno così come si pensava fossero ipotizzate come uno strumento legislativo più duttile e flessibile, ovviamente diverso dal regolamento[59]

Ma, a ben vedere, di vero e proprio declino delle direttive non appare corretto argomentare, ancora oggi, proprio alla luce della direttiva Bolkestein.

In particolare, con la sentenza Marshall del 1986 nella quale la Corte mette in chiaro alcuni punti chiave e, per la verità, cerca di limitare gli effetti perversi della giurisprudenza sulla diretta applicabilità delle direttive, ha specificato la sua giurisprudenza e gli conseguenze dell’efficacia diretta delle direttive: “effetti verticali”, cioè azionabili esclusivamente nei confronti dello Stato (a cui la direttiva è indirizzata) ed “effetti orizzontali” applicabile anche tra le persone fisiche e/o giuridiche. Tuttavia, molte sono le contestazioni e le problematiche che potrebbero sorgere da siffatta distinzione, ove si pensi ad esempio alla disparità di trattamento che si verrebbe a creare laddove la stessa controversia verrebbe a costituirsi tra due privati cittadini (effetti “orizzontali”), ovvero tra un privato cittadino e lo Stato inteso anche come pubblica amministrazione (effetti “verticali”): nel primo caso il privato cittadino non potrebbe invocare la direttiva non ancora (o mal) recepita nei confronti del suo datore di lavoro privato, mentre, certamente sì nel secondo caso, trattandosi di pubblico impiego, essendo la pubblica amministrazione (lo Stato in tutte le sue appendici) il datore di lavoro. Ricordando che la giurisprudenza comunitaria in materia di diretta applicabilità (o “efficacia”) delle direttive, appena richiamata, è integralmente recepita in quella nazionale, che in caso di conflitto tra la norma europea (con le caratteristiche sopra ricordate) e norma interna incompatibile, non solo gli organi giurisdizionali, ma anche quelli amministrativi sono tenuti a disapplicare le regole interne contrastanti. 

Questa come altre questioni che attengono alla corretta trasposizione della direttiva restano comunque aperte e in attesa di possibili futuri sviluppi. 

Ciò perché, è insito nello strumento della direttiva possibili (e probabili) inadempimenti dello Stato, verosimilmente, allorché si tratti di direttive “dettagliate” ovvero cc.dd. “a maglie strette”, che non lasciano ampio margine di discrezionalità allo Stato nella sua trasposizione. Sebbene, e questo va sottolineato, la Corte abbia fatto quanto possibile per tutelare, da un lato, le persone e i diritti loro derivanti da una direttiva e, dall’altro, far comprendere agli Stati membri – come deterrente – che non possono giovarsi del loro inadempimento negando la mancanza di adeguamento nazionale alla direttiva. 

Sicché, la Corte, sempre nella prospettiva di un innegabile favor integrationis (e tutela dei diritti delle persone), ha ulteriormente allargato la protezione delle posizioni giuridiche soggettive dei privati (in presenza di un inadempimento da parte dello Stato), che pertanto, possano essere tutelate, in alternativa, in presenza di talune condizioni,  grazie all’innovativo principio della responsabilità dello Stato e conseguente diritto al risarcimento del danno (sentenza Francovich[60]), ovvero, nella impossibilità, quantomeno attenersi all’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario del diritto interno. L’obbligo di interpretazione conforme incombe non solo sulle norme varate dopo, ma anche su quelle varate prima delle fonti dell’Unione europea – direttive in particolare – in rapporto di potenziale conflitto con esse[61]. Se è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così elaborato dal diritto comunitario, riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire le direttive, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione qualsiasi norma di diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato al caso concreto, in modo tale da non comportare un risultato contrario a quello cui mira la direttiva (c.d. “effetto utile”). 

Tuttavia, la diretta applicabilità delle direttive – o di una parte di esse – benché riconosciuta dalla giurisprudenza nazionale non è incondizionata. Se è vero, infatti, che l’applicazione diretta di una direttiva non trasposta, dettagliata, con norme chiare, precise ed incondizionate va considerata unidirezionalmente nell’ottica dell’applicazione di diritti ai singoli sanciti dal diritto unionale, è vero parimenti che qualora si tratti di effetti “verticali inversi” (inverse direct effect), cioè a dire, quando è il potere pubblico ad avvalersi di una direttiva a danno di un singolo, la prospettiva è ribaltata e cambia il titolare del diritto. 

In effetti, nell’ottica della declaratoria di “efficacia diretta”, che comunque rimane non determinante nella fattispecie, l’art. 12 della direttiva “Bolkestein” non impone, né direttamente né indirettamente, obblighi a carico dei singoli, ma disciplina in maniera precisa e dettagliata, viceversa, obblighi agli Stati membri, in particolare, il vincolo ineludibile di svolgere una procedura di selezione aperta ed imparziale qualora il numero di autorizzazioni per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali disponibili[62]

Da quanto sopra emerge che, nonostante le alchimie interpretative della Corte UE, laddove l’atto legislativo unionale sia entrato in vigore, molto scarse (o nulle) sono le possibilità in capo allo Stato membro di non adeguarsi, salvo eventuali ricorsi dinanzi alle magistrature nazionali, ovvero al Tribunale o alla Corte di giustizia dell’Unione europea per verificarne l’adeguatezza e la conformità ai Trattati.

È quindi nella fase unionale di costruzione del diritto UE – c.d “fase ascendente” – che occorre far valere gli interessi nazionali, non soltanto in sede di Consiglio dell’Unione ma anche nel Parlamento europeo (rappresentativo degli interessi dei cittadini), facendo in modo che l’interesse specifico nazionale sia fatto valere – rectius: includere – ancorché integrato nell’interesse generale e collettivo.

Una ultima considerazione sulle fonti eurounionali applicabili. 

La materia che ci occupa, nella segnalata prospettiva comunitaria, attiene sostanzialmente al mercato unico europeo e alla liberalizzazione dei servizi, non riguardando, dal punto di vista delle fonti eurounionali, né il diritto di proprietà (art. 345 TFUE) né la debole e generica base giuridica della politica comunitaria del turismo (art. 195 TFUE)[63].

 Nel senso che, quanto al contenuto delle concessioni balneari, evidentemente, non si concretizza alcun diritto di proprietà sul bene demaniale configurandosi, viceversa, un diritto di uso, di utilizzo, nei limiti e nelle forme previste dalla concessione stessa. Un diritto reale di proprietà, per converso, si concretizza nelle fabbriche e nei manufatti che il concessionario ha prodotto a sue spese necessarie all’esercizio della concessione[64]

Tuttavia, la conservazione del bene paesaggistico è primario e non può tradursi nella deprivazione del valore naturalistico e culturale della costa demaniale. Su questo punto è intervenuta una recentissima giurisprudenza[65], proprio in materia di manufatti necessari al concessionario per l’esercizio dei servizi turistico-balneari oggetto della concessione. 

Secondo la suprema Corte amministrativa, la realizzazione di strutture funzionali alla balneazione costituisce una modalità di utilizzo del bene paesaggistico che non può tradursi nella deprivazione del valore naturalistico e culturale, che deve essere sempre preservato e in modo preminente. Alla luce dei principi costituzionali, infatti, le possibilità di sfruttamento per ragioni turistiche e ricreative sono da considerarsi secondarie rispetto alla prioritaria esigenza di tutela della costa. Pertanto, qualora una disposizione legislativa regionale (come nel caso in questione) consenta il mantenimento, per l’intero anno solare, delle strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, tale norma regionale non va intesa nel senso di prescrivere, quale regola ordinaria, il mantenimento delle strutture per l’intero anno solare, bensì come eccezione limitata ai casi in cui tale possibilità non incida sulle predette esigenze di tutela paesaggistica.

In ultimo, quanto alle competenze eurounionali in materia di turismo (a nostro avviso materia non applicabile in via esclusiva alla fattispecie delle concessioni balneari[66]), va preliminarmente segnalato che la direttiva Bolkestein non è stata adottata ai sensi dell’art. 195 TFUE – vale a dire nell’ambito della realizzazione di una politica eurounionale del turismo – bensì, come ampiamente segnalato, in materia di libera circolazione dei servizi e libertà di stabilimento, in quanto, “una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea” (considerando n. 2).

Dubbi e perplessità sorgono sulle concessioni delle spiagge per uso balneazione (dal lat. balnearius, più tardi balnearis, derivazione di balnĕum ”bagno”) e servizi collegati, come una forma di vero e proprio “turismo” e non di “escursionismo balneare”[67]; tuttavia, tra i tanti “turismi” se di “turismo balneare” trattasi, si tratterebbe dell’esercizio di un servizio “turistico” senza professionalità, laddove, viceversa, i servizi turistici e le “professioni del turismo” sono sempre più professionalizzati e adeguatamente formati.

Considerata la sfuggente nozione generale di “turismo” che ha appassionato da più di un secolo studiosi di diverse discipline[68], la definizione di servizi turistici, mestieri e/o professioni turistiche non poteva essere chiara, precisa, essendo invece ambigua e generica. Secondo l’Organizzazione Mondiale del turismo (OMT) la definizione di “professioni turistiche” generalmente accolta è “quelle (professioni) che organizzano e forniscono servizi di promozione dell’attività turistica, nonché servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti”[69]. Nozione ripresa con qualche specifica anche dal “Codice del turismo” (d.lgs n. 79 del 2011). Sicché c’è da meditare.

(...)

 

 

ALCUNE NOTE SULLA MAPPATURA DEI BENI PUBBLICI DEMANIALI E DEI CONCESSIONARI IN ITALIA

 

 

Secondo i dati ISPRA la costa italiana ha una lunghezza di circa 8.300 kmNella determinazione della lunghezza sono considerati anche tratti di costa rettilinei introdotti in corrispondenza delle foci dei fiumi e delle strutture portuali e marittime (c.d. “costa fittizia”) e tratti di costa artificiali con strutture permanenti realizzate a ridosso della costa[70].

La c.d “mappatura” si fonda sulla legge 5 agosto 2022, n. 118 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”[71] il cui articolo 2 rubricato “Delega al Governo per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici”, stabilisce la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici. Una indagine sui beni demaniali disponibili e sulle concessioni in atto che dovranno essere riassegnate entro il 31 dicembre 2024 tramite procedure selettive ai sensi della legge 118/2022. Nel decreto attuativo previsto dalla legge sulla concorrenza, non si va a disciplinare le gare pubbliche per riassegnare le concessioni, bensì ci si limita ad avviare la ricognizione di tutte le autorizzazioni pubbliche di beni statali, incluse quelle del demanio marittimo su cui insistono stabilimenti balneari, ormeggi, porti e varie altre attività. 

La ricognizione delle concessioni pubbliche è demandata a un costituendo “sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici” presumibilmente chiamato “Siconbep”, che richiederà in via telematica a tutte le amministrazioni locali di comunicare periodicamente ogni dato sulle concessioni pubbliche. Il che lascia quanto meno perplessi laddove il Sistema informativo demanio (Sid), operativo dal 1993, è già in possesso di una buona parte dei dati necessari[72]. Si tratterebbe di aggiornare i dati esistenti nel data base.

Ad ogni modo, nella ricerca di tratti costieri demaniali utilizzabili a fini di politiche balneari occorre tenere in debito conto alcuni fondamenti[73].

In primo luogo, la tutela ambientale delle coste e dei litorali demaniali già ampiamente occupati e cementificati.

Occorre quindi una pianificazione idonea a garantire uno sviluppo delle zone costiere eco-durevole nonché socialmente plausibile, in quanto, oltre a prevedere la tutela della costa come aspetto attinente alla difesa del suolo e del territorio più interno, persegue altresì l’obiettivo di tutela e valorizzazione della qualità ambientale della zona costiera e delle sue risorse. La zona costiera, infatti, rappresenta un valore da preservare poiché fa parte dell’economia costiera nazionale e, a ben vedere, è un sistema estremamente delicato e incredibilmente fragile, sul quale si concentrano usi e interessi molteplici che a loro volta generano forti pressioni sulle varie componenti ambientali, la cui gestione è divenuta critica a causa di uno sviluppo del territorio che non è stato mantenuto entro i limiti della tolleranza.

Il 53% del limite interno delle spiagge è ormai artificiale e il relativo 87% è rappresentato da tessuto urbano denso dei centri abitati e prevalentemente da abitazioni sparse, spesso con nuclei abitativi adibiti a seconde case e destinate al turismo balneare[74].

Si ha, quindi, l’opportunità di invertire il trend dannoso e di porre rimedio, quanto meno in parte, alla “cannibalizzazione” dei siti costieri non adatti ai servizi balneari.

La gestione della fascia costiera, lo si ribadisce, è una problematica fondamentale da affrontare attraverso un approccio integrato e non settoriale, per conseguire un miglioramento qualitativo e una programmazione e gestione sostenibile delle risorse ambientali presenti.

Lo stesso dicasi per i ripascimenti (“beach nourishment”), vale a dire, l’accumulazione periodica, naturale o artificiale, di sabbia negli arenili con lo scopo di mantenere una quantità apprezzabile di sedimenti sulla costa che è disciplinata in tutte le Regioni italiane in modo non sempre omogeneo[75]La disciplina è, a tutt’oggi, piuttosto articolata ma è innegabile che è stata espressamente sancita l’attribuzione alle Regioni di funzioni in via concorrente nella materia della protezione – in senso ambientale – dell’ambiente costiero, da svolgere pur sempre nell’osservanza dei criteri e delle norme tecniche individuati dallo Stato a fini di tutela delle acque marine.

In Italia, circa il 70% delle coste basse è costituito da spiagge sabbiose o ghiaiose, per una lunghezza complessiva di 3.270 km e una superficie territoriale di oltre 120 km2. Le spiagge italiane sono generalmente ampie (alcune decine di metri), presenti soprattutto sul fronte adriatico. L’Emilia-Romagna e il Veneto hanno le spiagge più ampie; la Sicilia è la regione con il maggior numero di chilometri di litorali sabbiosi, mentre la Calabria ha il maggior numero di km2 di spiagge, pari al 20% della superficie nazionale[76].

Anche l’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione ambientale) si occupa della questione a livello delle singole regioni. Le 19 ARPA Regioni, le due ARPA delle province autonome di Trento e Bolzano e ISPRA compongono il “Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente” (SNPA). 

Peraltro, anche l’European Environment Agency si occupa in modo costante della salvaguardia ambientale delle coste europee rappresentando un quadro molto variegato e complesso[77].

“From the North Sea to the Black Sea, the European continent is surrounded by seas with unique characteristics and each faces major challenges. Similarly, coastal zones, which are home to millions of Europeans, mirror this diversity ranging from sand dunes and rocky cliffs to large estuaries. Europeans have been transforming coastal zones for centuries, building cities, ports, and tourism resorts, where many communities rely on healthy and clean coastal and marine ecosystems”[78].

Quindi, da tutto ciò si ricava una fonte importantissima di dati provenienti da varie entità che appaiono indispensabili per la mappatura generale, sia delle coste/spiagge sia delle concessioni.

Il Portale del Mare (SID) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) considerato da taluni obsoleto e inutilizzabile è, tuttavia, una fonte importante di ricerca e accertamento del patrimonio demaniale delle coste italiane, certo, da aggiornare nei dati e adeguare alle esigenze specifiche che le necessità normative richiedono[79]. Cliccando, tuttavia, sulle coste italiane (e non solo) con “Google ibrido”, è possibile “zoommare” sui punti di interesse e avere un quadro abbastanza preciso dello stato dell’arte (anche utilizzando sistemi di “webcam” in tempo reale). In effetti è possibile individuare il posizionamento dei frangiflutti – strutture artificiali non sempre ecosostenibili situate a ridosso delle coste per proteggere spiagge, moli o attracchi dai flutti e dall’erosione provocata dal moto ondoso – anche definiti frangimare, frangionde, e tanti altri sinonimi, fino a giungere a lunghi “serpentoni” costituiti da strutture (tetrapodi) in cemento che definirei veri e propri “ecomostri”.

Secondo uno studio del c.d. “Tavolo dell’erosione costiera”[80], al fine di chiarire il concetto di “sostenibilità” nel caso specifico, vale la pena ricordare cosa viene inteso per “costa sostenibile”, vale a dire, una zona costiera che sia:

a) Resiliente: capace di adattarsi alle future incertezze del cambiamento climatico, tra cui l’aumento del livello del mare, il riscaldamento e la siccità; resiliente alla variabilità del clima, come le tempeste estreme, inondazioni, onde, ecc.; resiliente ai terremoti e all’erosione; resiliente agli impatti negativi dei processi umani, tra cui la pressione del turismo e dello sviluppo urbano sulla costa. 

b) Produttiva: produttiva finanziariamente in settori economici tradizionali, moderni e futuri; in grado di sostenere le aspirazioni economiche della comunità costiere, di fornire un asset competitivo per l’economia locale ad alto contenuto di valori naturali ed economici, di aumentare il benessere e di ridurre la povertà[81]

c) Diversificata: ecologicamente varia, un mosaico di ecosistemi marini e terrestri, di diversi paesaggi rurali e urbani, vecchi e nuovi; una economia varia, in grado di garantire una società aperta e una grande varietà di gruppi sociali, con una distinta caratterizzazione Mediterranea. 

d) Distintiva: mantenendo la specificità culturale delle zone costiere, comprese l’architettura, i costumi e paesaggi, riconoscendo il Mediterraneo come la “culla della civiltà” - fornendo una immagine distintiva di marketing su cui attrarre investimenti[82]

e) Attrattiva: mantenendo l’attrattività della costa, non solo per i visitatori, ma anche per la popolazione locale e per gli investitori, per promuovere un ciclo di auto-sostegno di una crescita sostenibile. 

f) Salutare: esente da inquinamento da fonti terrestri e di origine marina, con aria e acque dolci e marine pulite, con un ambiente sano per le persone, per le risorse naturali come la pesca, e per la fauna selvatica. 

Nel momento in cui la mappatura sarà in via di completamento occorrerà tenere in debito conto siffatti parametri.

La “mappatura” che si va a prefigurare non riguarda soltanto la ricognizione dei beni demaniali già in uso o aree potenziali, bensì attiene anche ai rapporti concessori in atto ovvero scaduti.

Infatti, l’art. 2, rubricato “Delega al Governo per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici” annuncia (par. 1) la “costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori”. La rilevazione di tutti i rapporti concessori deve identificare l’ambito oggettivo e soggettivo delle concessioni stesse, la piena conoscibilità della durata, dei rinnovi, del canone, dei beneficiari, della natura della concessione, dell’ente proprietario e, se diverso da questo, dell’ente gestore, e di ogni altro dato utile a verificare la proficuità dell’utilizzo economico del bene, in una prospettiva di tutela e valorizzazione del bene stesso nell’interesse pubblico è previsto il coordinamento e l’interoperabilità con gli altri sistemi informativi e di trasparenza esistenti in materia di concessioni di beni pubblici.

Le disposizioni (artt. 3 e 4) sull’efficacia delle concessioni demaniali e dei rapporti di gestione per finalità turistico-ricreative e sportive, e la Delega al Governo in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, conformano il regime concessorio dei beni demaniali marittimi per finalità turistico ricreative all’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, tenuto conto delle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021.

Il Dataset “opendata” contiene gli avvisi, i bandi e gli esiti di gara in formato aperto raccolti dalla Banca dati SCP - Servizio Contratti Pubblici[83] gestita dalla Direzione Generale per la regolazione e i contratti pubblici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. 

Non appare del tutto soddisfacente nell’attualità dei dati ma è pur sempre una fonte importante ed accessibile facilmente. 

Inoltre, è possibile reperire ulteriori informazioni disponibili sul sito www.serviziocontrattipubblici.it che consente alle stazioni appaltanti di pubblicare gli avvisi ed i bandi per lavori, servizi e forniture ed altre informazioni[84]. 

(...)

 

Dall’analisi complessiva delle questioni trattate se ne ricava una realtà fortemente complessa, sia per quanto riguarda il quadro giuridico di riferimento, sia per quanto attiene al regime concessorio nazionale del demanio marittimo, sia, ancora, sulla ipotetica disponibilità di nuovi beni demaniali marittimi.

Una legge organica e strutturale che possa dare chiarezza al settore e continuità al regime concessorio e alle attività dei concessionari balneari e marittimi appare quindi improrogabile.

Pur nel gradimento del refrain di Mina “per quest’anno non cambiare...stessa spiaggia, stesso mare (1963) occorre, giocoforza, rivedere l’intero settore nell’interesse e nei diritti di tutti. E che quindi ognuno faccia la sua parte.

 

 

 

La versione integrale il libro può essere acquistato nelle maggiori librerie, piattaforme specializzate online o direttamente 

dall’Editore Luigi Pellegrini 

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[1] Si utilizzeranno nel testo come sinonimi sia l’aggettivo “comunitario”, sia “unionale” o “eurounionale”, sia, talvolta, in modo più generico “europeo”.

[2] Per una ricostruzione completa e sulla inapplicabilità della direttiva alle concessioni balneari cfr. F. Capelli, Evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie. Impatto della direttiva Ce n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari, Napoli, 2021.

[3] Come la ulteriore pronuncia della Corte UE, causa C-348/22, 20 aprile 2023 a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal TAR della Puglia il 30 maggio 2022 nella disputa tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e il Comune di Ginosa, decisione non difforme nella sostanza rispetto, come si vedrà, ad altre pronunce della Corte in materia.

[4] Ma la proposta della Commissione europea era accessibile già nel 2004. Cfr. Doc. COM (2004) 2 finale.

[5] Come il c.d. “ormeggio” e il “battellaggio”. Cfr. F Morandi, G. Benelli, Le infrastrutture dei trasporti ed il demanio marittimo a finalità turistico-ricreativa, in V. Franceschelli, F. Morandi, Manuale di Diritto del turismo, settima ed., Torino, 2019, p. 111.

[6] Tra le tante, v. la sentenza della Corte di giustizia del 12 settembre 2000, Pavlov e altri, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, ECLI:EU:C:2000:428, punto 74; e la sentenza del 10 gennaio 2006, Cassa di Risparmio di Firenze SpA e altri, C-222/04, ECLI:EU:C:2006:8, punto 107.

[7] Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, (2016/C 262/01), in Gazz. Uff. UE (GUUE) n. C 262 del 19 luglio 2016.

[8] R.D. 16 marzo 1942, n. 262 aggiornato al 28/02/2023 con le ultime modifiche legislative apportate, da ultimo, dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197 (c. d. “Riforma Cartabia”).

 

[9] Gazz. Uff. n. 129 del 06-06-2011 – Suppl. Ord. N. 139.

[10] In concordanza con l’art. 28 è l’art. 822 del Codice civile. V. Codice della Navigazione approvato con R.D. 30 marzo 1942, n. 327in Gazz. Uff. n. 93 del 18 aprile 1942, entrato in vigore il 21/4/1942 (con succ. mod. e integr.). Si veda il progetto di riforma della Camera dei deputati, XVII Legislatura, A.C. 2866 “Modifiche al codice della navigazione e altre disposizioni per la semplificazione della disciplina riguardante l’ordinamento amministrativo della navigazione e il lavoro marittimo”, Dossier n° 458 - Schede di lettura 14 luglio 202.

[11] Convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 (in Gazz. Uff. 04/12/1993, n. 285). Ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 14/08/2020 che ricomprende anche il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (in Gazz. Uff. 12/05/2011, n.109.

[12] Cioè il diritto dei concessionari già titolari della concessione alla prosecuzione “automatica” del rapporto con l’amministrazione. Oggi abrogato come si accennava nel testo. Su cui si rinvia a A. Camaiani, Tra diritto di insistenza e gare c’è di mezzo il mare, in https://www.lacostituzione.info/index.php/2022/04/03/tra-diritto-di-insistenza-e-gare-ce-di-mezzo-il-mare/

[13] In argomento F. Sanchini, Le concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo tra meccanismi normativi di proroga e tutela dei principi europei di libera competizione economica: profili evolutivi alla luce della pronuncia della Corte di giustizia resa sul caso Promoimpresa-Melis, in Rivista della regolazione dei mercatihttps://www.rivistadellaregolazionedeimercati.it/Article/Archive/index_html?ida=114&idn=6&idi=-1&idu=-

[14] Il comma 2 dell’art. 37 CdN prevedeva peraltro che, che, nel caso di pluralità̀ di domande di concessione di beni demaniali marittimi, fossero preferite in sede di rinnovo, i titolari delle precedenti concessioni. Il d.l. 5 ottobre 1993 n. 400, convertito nella l. n. 494, recante disposizioni per la determinazione dei canoni delle concessioni demaniali marittime, stabiliva comma 2 dello stesso articolo, come modificato dall’art. 10 della l. n. 88 del nel 2001 e “autenticamente interpretato” dalla l. n. 172 del 2003 (e infine abrogato dalla l. n. 217 del 2011 per far posto alle proroghe “a data unica”), dopo aver fissato in 6 anni la durata delle concessioni “indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività̀”, stabiliva peraltro che le concessioni per finalità̀ turistico-ricreative (ad eccezione di quelle rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla l. 28 gennaio 1994 n. 84) fossero tutte automaticamente prorogate di ulteriori 6 anni a ogni scadenza.

[15] La scelta dell’amministrazione di concedere spazi di arenile in concessione va tuttavia effettuata considerando sempre il superiore interesse pubblico a garantire la libera balneazione.

[16] Comprensibilmente vi è una sostanziosa e qualificata dottrina. Cfr. tra gli altri il numero speciale della rivista Diritto e Società, n. 3, 2021, tra i quali si segnalano i saggi di M.A. Sandulli, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn.17 e 18 dell’Adunanza Plenaria, ivi, pp. 331 e ss.; F. Ferraro, Diritto dell’Unione e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?, ivi, pp359ss.; G. Morbidelli, Stesse spiagge, stessi concessionari?, ivi, pp. 385ss.; M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le “concessioni balneari”: si chiude una annosa vicenda o resta ancora aperta?, ivi, pp. 401ss.; B. Caravita di Toritto e  G. Carlomagno, Appendice, ivi. In https://www.rivistadirittoesocieta.it/diritto-e-societa-n3-2021/ Ma anche, in una diversa prospettiva, G. Vitale, Considerazioni a margine della pronuncia del TAR Puglia sulla disapplicazione da parte dell’Amministrazione di una norma interna incompatibile con il diritto dell’Unione, in Diritto dell’Unione europea, Osservatorio europeo, febbraio 2021.

[17] A. Camaiani, Tra diritto di insistenza e gare c’è di mezzo il mare, cit.

[18] Il caso del “Lido Pola” a Napoli è emblematico. La struttura, originariamente di proprietà del Demanio, è stata prima acquisita al patrimonio del Comune di Napoli e riconosciuta come Bene Comune dalla delibera n.446/2016 e poi indicata come attrezzatura di quartiere all’interno del P.U.A. di Bagnoli (area ex Italsider).

[19] Ibidem.

[20] A tal riguardo si cita altresì l’art. 41 del CdN, rubricato “Costituzione d’ipoteca”, nella parte in cui si statuisce che “Il concessionario può, previa autorizzazione dell’autorità concedente, costituire ipoteca sulle opere da lui costruite sui beni demaniali”.

[21] R. Mastroianni, Il Consiglio di Stato e le concessioni balneari: due passi avanti e uno indietro?, in eurojus, n.1, 2022.

[22] Alla data del 5 ottobre 2022 le procedure di infrazione a carico dell’Italia attualmente in atto sarebbero 82. Si veda https://www.politicheeuropee.gov.it/it/attivita/procedure-dinfrazione/stato-delle-infrazioni/

[23] F. Capelli, Evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie, cit.

[24] Per approfondimenti istituzionali cfr. R. Adam, A. Tizzano, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino, 2022.

 

[25] Si pensi al mercato dei porti turistici in Italia gestite da holding nazionali come “Marinedì” che gestisce, a quanto consta, 14 porti turistici nazionali che rappresentano circa 5.450 posti barca e con obiettivi ambiziosi di ampliare sempre più il proprio portafoglio raggiungendo il target di 12mila ormeggi previsto per il 2026 (Il Sole 24 Ore di sabato 11 febbraio 2023, p. 13).

[26] Marinedi group s.r.l. amplia servizi e potenzialità di strutture portuali già presenti sul territorio e sviluppa, inoltre, progetti per la creazione di nuove strutture, favorendo l’incremento del turismo nautico. Il gruppo Marinedi è protagonista di diverse iniziative nell’area mediterranea ed i vari progetti in fase di realizzazione del network si trovano in diversi stadi di avanzamento. Oltre alla gestione dei Marina già operativi o in fase di costruzione, il Gruppo Marinedì persegue l’obiettivo di individuare nuovi siti marittimi per operazioni di espansione, ampliamento e miglioramento continui. Si veda https://www.marinedi.com/chi-siamo/

[28] Si veda l’ampia disamina di Gianni Trovati ne Il Sole 24 Ore di martedì 14 marzo 2023.

[29] Le Autorità di Sistema Portuale sono enti regolatori che assicurano in modo imparziale e come autorità dello Stato l’utilizzo più vantaggioso del demanio portuale nell’interesse pubblico.

Si veda il sito https://www.assoporti.it/it/home/

[30] Il 15 settembre 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 169 del 2016 (Gazz. Uff. del 31 agosto 2016), che riordina le Autorità Portuali in Italia. https://dati.mit.gov.it/catalog/organization/about/autorita-portuali

[32] Dal X Rapporto sull’Economia del Mare 2022 realizzato dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne per INFORMARE – Azienda Speciale della Camera di Commercio di Frosinone Latina – si evince che l’economia del mare è al centro del dibattito dell’Unione Europea, che ne ha riconosciuto la propria strategia per un’”Economia Blu Sostenibile” – Blu Economy – nella convinzione che tutela dell’ambiente e economia, non sono in contrapposizione, ma rappresentano il connubio indispensabile per la crescita.

[33] La Blue Economy inverte le gerarchie territoriali, ribaltando la tradizionale dicotomia Nord/Sud. Il Mezzogiorno, grazie alla peculiare posizione geografica delle sue regioni, è l’area che contribuisce maggiormente al valore aggiunto prodotto dall’economia del mare, seguito dal Centro d’Italia. La prima sviluppa il 30,4% della ricchezza prodotta dal “Sistema mare” e la seconda il 26,8%, quote che scendono nettamente se si fa riferimento al totale economia (Mezzogiorno 22,4% e Centro 21,7%). Seguono il Nord/Ovest (26,0%) ed il Nord/Est (16,7%). Il ruolo del Mezzogiorno e del Centro si accentua se si analizzato i dati sull’occupazione, considerato che insieme racchiudono il 64,8% delle persone impiegate nei settori dell’economia del mare (Mezzogiorno 37,5% e Centro 27,3%; totale economia: Mezzogiorno 26,9% e Centro 21,5%). Il restante 35,2% dell’occupazione è da ricondurre per il 19,2% al Nord/Ovest e per il 16,2% al Nord/Est.

[34] Con DPCM 25 gennaio 2018 è stato adottato il Regolamento recante l’istituzione di Zone Economiche Speciali (ZES) in GURI Serie Generale n. 47 del 26 febbraio 2018Analogamente alle ZES delle aree portuali delle regioni “meno sviluppate” ed “in transizione”, la normativa vigente prevede e disciplina condizioni favorevoli allo sviluppo di nuovi investimenti anche nelle aree portuali delle regioni più sviluppate, mediante la possibilità di istituire Zone logistiche semplificate (ZLS) nelle regioni individuate dalla normativa europea come ”più sviluppate” che includano almeno un’area portuale compresa nella rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)https://politichecoesione.governo.it/it/strategie-tematiche-e-territoriali/strategie-territoriali/zone-logistiche-semplificate-zls/

[35] Secondo l’indagine del Sindacato italiano balneari (Sib) aderente a Fipe-Confcommercio rappresentano il 75% del totale, 80mila imprese, di cui 30mila titolari di stabilimenti per un settore che occupa circa 150mila addetti, tra operatori al lettino, camerieri e bagnini, senza considerare poi l’indotto e il giro d’affari collegato.

[36] Cfr. Federbalneari Italia, Concessioni balneari, il paradosso calabrese: “Rilasci bloccati dalla burocrazia”, in https://www.mondobalneare.com/concessioni-balneari-il-paradosso-calabrese-rilasci-bloccati-dalla-burocrazia/

[37] http://campania.master.globogis.eu/attivita-economica/stabilimenti-balneari

[38] Si tenga in conto anche la legge regionale 10 maggio 2012, n. 10 con le modifiche apportate dalle leggi regionali 9 agosto 2012, n. 27, 7 agosto 2014, n. 16,  4 dicembre 2019, n. 25 e 29 giugno 2021, n. 5. 

 

[39]https://www.indicenormativa.it/norme/procedimenti?procedimento=Stabilimenti%20balneari&istituzione_parents=1&istituzione=

[40] In base ad una datata tabella si può avere una idea del valore delle concessioni in https://www.genova24.it/2013/11/canoni-demaniali-la-regione-pubblica-le-cifre-che-ogni-stabilimento-paga-per-la-concessione-60226/

[41] Evidentemente i tempi cambiano, così come i governi e il loro approccio alla difesa della concorrenza e del libero mercato. Un esempio tipico dei nostri tempi è l’Inflaction Reduction Act un maxipiano del valore di 370 miliardi di dollari voluto dal Presidente Biden per assicurare che gli USA raggiungano i target di riduzione delle emissioni entro il 2030 con una serie di “aiuti” alle imprese che ne fanno uno strumento non solo anti-inflazionistico ma anche di stimolo alla crescita. In barba alla concorrenza e al libero mercato...come dire, in tempi di eccezioni occorrono misure eccezionali. Nella Ue, viceversa, si organizza Basilea 3+...

https://www.catf.us/it/2022/08/inflation-reduction-act-what-it-is-what-it-means-how-it-came-to-pass/

[42] Gazz. Uff. del 13 ottobre 1990, n. 240, Ultimo aggiornamento 27.08.2022.

[43] Va ricordato che il mercato unico europeo è uno spazio in cui è garantita la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi. È uno degli obiettivi fondamentali dell’integrazione europea. I 27 Stati membri che ne fanno parte hanno abolito i dazi e i controlli doganali alle frontiere interne e hanno uniformato gran parte delle loro normative. Il suo funzionamento è regolato e controllato dalla Commissione europea, che vigila sul piano interno all’UE e allo stesso tempo negozia per conto degli Stati membri sul piano internazionale gli accordi commerciali con Stati terzi. L’Unione europea è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il mercato unico comprende i 27 paesi dell’Unione europea e, sono aggregati benchè non Stati membri, Islanda, Liechtenstein e Norvegia fanno parte dello Spazio economico europeo (SEE), creato nel 1994 per permettere a questi Stati europei non membri dell’Unione di accedere al mercato unico. Anche la Svizzera partecipa al See con alcune restrizioni. 

 

[44] Sentenza 16 febbraio 2023 pubblicata il successivo 1° marzo, registro generale n. 9454/2021.

[45] Corte Cost. 14/02/2013, n. 20. Il potere di iniziativa AGCM è finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (art. 21, comma 1, della legge citata) e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». Esso si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso. Detta disposizione, dunque, ha un perimetro ben individuato (quello, per l’appunto, della concorrenza), compreso in una materia appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), concernente anche la potestà regolamentare, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, primo periodo, Cost.

 

[46] La scelta del legislatore di attribuire all’Autorità un potere di agire a tutela di tale interesse, costituisce un’opzione di stretto diritto positivo, che lungi dall’essere contraria al vigente quadro costituzionale, si inserisce, anzi, nell’ambito degli strumenti di garanzia di effettività̀ del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa. Il quadro legislativo e giurisprudenziale offre, del resto, sempre più frequenti esempi di legittimazione ad agire, in qualche modo sganciata dai canonici criteri di individuazione della situazione di interesse legittimo. Si pensi, in primo luogo, alle due ipotesi di legittimazione delle associazioni di categoria ad agire a tutela degli interessi collettivi e degli interessi diffusi previste dall’art. 4 della L. 11/11/2011, n. 180. Del resto, come ricordato dalla Corte di giustizia nella più volte citata sentenza Promoimpresa“il considerando 39 della direttiva in questione precisa che la nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di concessioni”. E la stessa sentenza ha chiaramente affermato che “tali concessioni possono quindi essere qualificate come autorizzazioni, ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale. Mi sia consentito in argomento il rinvio ai miei Le innovazioni introdotte dalla legge 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991) in materia di risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi, in Il Consiglio di Stato, 4-1992, p. 757 ss. e Profili comunitari della recente sentenza n. 62/2004 del Tar Calabria tra responsabilità dello Stato e risarcibilità degli interessi legittimi (Nota a Tribunale amministrativo Regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. II, 13 gennaio 2004, n. 62, in Le Corti Calabresi, n. 1-2004, p. 147ss.

[47] A. Quadrio Curzio, Riflessioni su mercato e politica economica, in aggiornamenti sociali, 1991, p. 609ss.

[48] Sul punto M. C. de Cicco, Riflessione su democrazia e dignità umanaUniversidad externado de Colombia, 2013, in https://books.openedition.org/uec/186?lang=it

[49] P. Perlingieri, Mercato, solidarietà e diritti umani, Rassegna di diritto civile, 1995, p. 84ss. e Normas constitucionais nas relações privadas, Revista da Faculdade de Direito, Universidade de Lisboa, 1999, p. 63ss.].

[50] In particolare, articolo 4, paragrafo 2, lettera a), e articoli 26, 27, 114 e 115 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

[52] In materia di unione doganale l’art. 32 TFUE sancisce che la Commissione europea, tra le altre attribuzioni, nell’adempimento dei compiti che le sono affidati dai Trattati si ispira (...) “all’evoluzione delle condizioni di concorrenza all’interno dell’Unione, nella misura in cui tale evoluzione avrà̀ per effetto di accrescere la capacità di concorrenza delle imprese”. 

[53] Si veda, a tal riguardo, la Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese n. 3003/361/CE, in GUUE L 124 del 20 maggio 2003, p. 36.

[54] Raccomandazione cit. art. 1, Titolo I dell’Allegato.

[55] Raccomandazione cit. il cui articolo 2 rubricato “Effettivi e soglie finanziarie che definiscono le categorie di imprese” stabilisce: 1. La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.  2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. 3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR. 

 

[56] Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi. Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti” (art. 288 TFUE).

[57] F. Capelli, Evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie, cit., p. 18ss. Già nella precedente sentenza Grad, causa 9/70, la Corte, facendo seguito alle sentenze Van Gend end Loos (1963) e Costa-Enel (1964), aveva continuato il suo cammino interpretativo a favore della tutela degli interessi dei singoli, e, altresì, come deterrente nei confronti degli Stati inadempienti, affermando che la diretta efficacia dei singoli riguardava qualsiasi atto comunitario diverso dai regolamenti.

 

[58] In materia di libera circolazione dei lavoratori, causa 41/74 del 4 dicembre 1974.

[59] F. Capelli, Evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie, cit., p. 53ss.

[60] Sentenza Corte di Giustizia 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90. Sulla quale, tra i tanti, M. Fragola, La responsabilità dello Stato e la tutela dei diritti dei singoli, in Temi di diritto dell’Unione europea, Milano, 2008, pp. 47-79; Id. La responsabilità dello Stato membro e i diritti dei singoli nella prospettiva della Costituzione europea, in Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali, diritti fondamentali (a cura di S. Gambino), Milano, 2006, pp. 415-430; Id. La responsabilità dello Stato nei confronti dei singoli nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, n. 4-1997, p.681ss.

 

[61] Cfr. Corte di giustizia, sent. 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, punto 8; nonché, ancor più esplicitamente, sent. 5 ottobre 2004, cause riunite C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer, punto 115.

[62] R. Mastroianni, Il Consiglio di Stato e le concessioni balneari: due passi avanti e uno indietro, cit.

[63] Per una sorta di “politica comunitaria del turismo” prima del Trattato di Lisbona grazie all’utilizzo di altre basi giuridiche cfr. M. Fragola, Profilo comunitario del turismo, Padova, 1998 e Codice della legislazione del turismo, Milano, 1995. Per un commento sistematico dell’art. 195 cfr. M. Fragola, Art. 195, in Trattati dell’Unione europea, a cura di Antonio Tizzano, II ed., 2014, Milano, pp. 1659-1664.

[64] Peraltro, i giudici di Lussemburgo hanno affermato che l’art. 345 TFUE è espressione del “principio di neutralità” dei Trattati in relazione ai regimi di proprietà negli Stati membri. Il 22 ottobre 2013 la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso la sentenza concernente le cause riunite Staat der Nederlanden c. Essent NV (C-105/12), c. Essent Nederland BV (C-105/12), c. Eneco Holding NV (C-106/12) e c. Delta NV (C-107/12) i cui paragg. 29 e 30 sanciscono il principio di neutralità dei Trattati in relazione ai regimi di proprietà negli Stati membri. L’art. 345 TFUE, infatti, sancisce che “I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà̀ esistente negli Stati membri”. 

[65] Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2023 n. 2559

[66] Sebbene il considerando n. 33 sancisca che tra i servizi oggetto della direttiva rientrano numerose attività in costante evoluzione, fra le quali figurano (...) “il settore del turismo compresi i servizi delle guide turistiche”.

[67] Escursionismo balneare “mordi e fuggi” da esaurirsi nell’arco di una giornata grazie all’utilizzo dei siti oggetto di concessioni marittimo-balneari per uso balneazione, elioterapia, svago e utilizzo del tempo libero con conseguenti servizi aggiuntivi.

[68] Per tutti B. Belotti, Il diritto turistico, Milano, 1919. In epoca successiva G. Mariotti, Storia del turismo, Roma, 1958; U. Fragola, Studi sul turismo, Napoli, 1967; M. P. Chiti, Profilo pubblico del turismo, Milano, 1970; F. Tedeschini, Turismo e poteri pubblici, Milano, 1983; con un incremento esponenziale dello studio interdisciplinare del turismo a partire dagli anni ‘90 ad oggi.

[69] Cfr. L. Righi, Le professioni turistiche, in V. Franceschelli, F. Morandi, Manuale di diritto del turismo, 7a ed., Torino, 2019, p. 208.

[70] Dati ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) - Più del 9% di costa è ormai artificiale, delimitata da opere radenti la riva (3,7%), porti (3%) e strutture parzialmente sovraimposte al litorale (2,4%).

[71] Gazz. Uff. n.188 del 12-8-2022 

 

[72] Istituito con la Legge n. 44/1991, peraltro, designato anche come il “sito istituzionale” previsto dal D.Lgs. 17.10.2016. n. 201 (attuativo della direttiva 2014/89/UE che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo).

[73] Per una ricostruzione completa e tecnica si rinvia allo studio dell’ISPRA https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/statoambiente/tematiche-2012/Cap.5_Mare_ambiente_costiero.pdf

[74] Fonte: ISPRA.  

[75] La materia del ripascimento degli arenili, e più in generale quella  della  difesa  delle  coste,  che per anni ha sofferto di una disciplina  lacunosa e poco armoniosa  nell’attribuzione  delle competenze,  ha  ricevuto  un  primo ordinato assetto con la legge l8 maggio   1989,  n. 183  “Norme  per  il  riassetto  organizzativo  e funzionale  della difesa del suolo”, che ha compreso fra le attività di programmazione,  pianificazione  ed  attuazione  degli interventi destinati  a  realizzare  la  finalità  della  difesa  del suolo “la protezione delle coste e degli abitati dell’invasione e dall’erosione
delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi” (art. 3, comma 1, lettera g), delegandone le funzioni - con esclusione delle aree di rilievo e di interesse nazionale - alle regioni (art. 10, comma 7).

 

[77] The European Environment Agency (EEA) is an agency of the European Union that delivers knowledge and data to support Europe’s environment and climate goals.

[78] Così Ana Paula de Sousa nel suo “Seas and coasts” consultabile in https://www.eea.europa.eu/en/topics/in-depth/seas-and-coasts

[80] MATTM-Regioni, Linee Guida per la Difesa della Costa dai fenomeni di Erosione e dagli effetti dei Cambiamenti climatici. Documento elaborato dal Tavolo Nazionale sull’Erosione Costiera MATTM-Regioni con il coordinamento tecnico di ISPRA, 2018, http://www.erosionecostiera.isprambiente.it/files/linee-guida-nazionali/TNEC_LineeGuidaerosionecostiera_2018.pdf

[81] Questo è un obiettivo delicato e decisivo al tempo stesso che appare come il punto fondamentale della nostra analisi.

[82] Da integrarsi con i punti b) e e).

[83] Il Servizio contratti pubblici (SCP) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, realizzato in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ed ITACA, dà attuazione agli obblighi informativi e di pubblicità previsti dal D.lgs. 50/2016 in ordine a: 
pubblicità di avvisi, bandi ed esiti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (articoli 29 e 73 del Codice dei contratti pubblici e Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 2 dicembre 2016); pubblicità dei programmi biennali di acquisti di beni e servizi e dei programmi triennali dei lavori pubblici, nonché dei relativi aggiornamenti annuali (articolo 21 del Codice dei contratti pubblici e Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, 16 gennaio 2018, n. 14); pubblicazione degli atti di cui all’art.29, comma 1, del Codice dei contratti pubblici; rilevazione e pubblicazione dell’elenco anagrafe delle opere incompiute (Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 13 marzo 2013, n. 42 ). SCP fornisce altresì un servizio di supporto tecnico giuridico di help desk alle stazioni appaltanti sulla disciplina dei contratti pubblici al fine di favorire uniformità di indirizzi ed evitare molteplicità di soluzioni operative (articolo 214, comma 10, del Codice dei contratti pubblici). SCP viene erogato integralmente online ed è articolato su base nazionale e regionale costituendo un sistema a rete tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le Regioni e Province autonome, che consente agli operatori del settore di poter utilizzare i servizi erogati accedendo liberamente dai punti di contatto della rete stessa.