Milano, 29 aprile 2016 - 21:31

Il talento di Edna O’Brien,
narrare la vulnerabilità femminile

Una selezione di racconti della scrittrice (Einaudi Stile libero)
Viaggio nell’essenza dell’animo femminile: debolezze e slanci traditi dagli uomini

L’autrice irlandese Edna O’Brien (1930) L’autrice irlandese Edna O’Brien (1930)
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La cosa che più colpisce nei racconti di Edna O’Brien, a parte l’inesausta maestria dell’esecuzione, è la varietà. Questa scrittrice conosce molti mondi e ce li presenta con un profondo acume, una precisione che ha del prodigioso, una tenerezza divertita e un’immancabile compassione. Pur avendo lasciato presto la terra dove è nata e cresciuta, non se ne discosta mai. È una delle scrittrici più sofisticate di oggi, eppure la sua sensibilità è pervasa dalla luce dell’Irlanda più occidentale, e nella narrazione torna di continuo ai bei campi e alle cittadine malinconiche della sua giovinezza.

«Oggetto d’amore» (Einaudi Stile libero, pp. 376, euro 18,50)
«Oggetto d’amore» (Einaudi Stile libero, pp. 376, euro 18,50)

Nei racconti «internazionali» — e di sicuro Henry James riconoscerebbe in lei una compagna di viaggio — guarda con l’occhio calcolatore dell’esule ai fremiti salaci e alle false lusinghe della vita nel bel mondo. La storia che dà il titolo al volume, Oggetto d’amore, uno dei più apprezzati fra i racconti del periodo maturo, non solo traccia con chiarezza implacabile, quasi forense, lo sbocciare e l’appassire di una storia d’amore, ma ritrae anche, con una certa noncuranza, il mondo pacchiano e compiaciuto della Londra borghese degli anni Sessanta. Soltanto una ragazza venuta dalla contea di Clare direbbe del supponente amante avvocato la prima volta che vanno a letto insieme: «Mi aveva anche intenerito vederlo ripiegare il copriletto di seta verde, una cosa che io non faccio mai».

Edna O’Brien ha cominciato la sua carriera di scrittrice, e l’ha cominciata presto, in una stagione aurea del racconto irlandese. Lei e altri semi-contemporanei come John McGahern e William Trevor si rifacevano a Sean O’Faolain, Frank O’Connor, Mary Lavin e Benedict Kiely e, ovviamente, al James Joyce di Gente di Dublino, eppure l’opera raccolta in questo volume prova che il suo vero maestro è stato Cechov, perché rivela un’empatia indiscutibilmente cechoviana con i personaggi e gli ambienti che ritrae.

John Banville (1945)
John Banville (1945)

Il genio di uno scrittore si riconosce dalla capacità di scavare a fondo nella coscienza delle personalità più disparate. Conosciamo Edna O’Brien come l’irlandese cosmopolita, la bella donna dai capelli rossi che si muove con disinvoltura non solo a Londra e a New York ma anche nei giardini del piacere e nei porti turistici europei; l’amica e confidente delle grandi figure dell’arte e della cultura contemporanee; l’antesignana sfuggita alla trappola dell’Irlanda cattolica per crearsi da sola una vita all’estero che le donne giovani — come quelle che prendono amorevolmente vita nella trilogia delle Ragazze di campagna — sognavano e di sicuro ancora sognano. Eppure è quella stessa Edna O’Brien che ne I re della pala è capace di ritrarre con precisione e doloroso coinvolgimento la vita dura e intollerabile degli sterratori irlandesi che hanno scavato le fondamenta per ricostruire la Gran Bretagna postbellica.

Né si è lasciata sfuggire dalla memoria artistica il benché minimo particolare dell’Irlanda di quei primi tre romanzi letteralmente meravigliosi: Ragazze di campagna, La ragazza sola e Ragazze nella felicità coniugale. Uno dei racconti più belli, più divertenti, più evocativi e di una precisione agghiacciante di questa raccolta, Bagordi irlandesi, che riecheggia alla lontana I morti di Joyce, evoca un mondo che è l’Irlanda degli anni Cinquanta ma che potrebbe anche essere la Russia di fine Ottocento, la Russia di Tolstoj, Turgenev e Cechov. In Mary, il personaggio centrale, Edna O’Brien esprime tutta l’innocenza, il desiderio e la delicatezza di un tenero bocciolo finito irrecuperabilmente fra le erbacce: «Gonfiare la bicicletta, trasportare la torba, pulire la casa e sbrigare lavori maschili — non ricordava di aver mai fatto altro in vita sua. Il padre e i due fratelli lavoravano nel corpo forestale, perciò ricadeva tutto sulle spalle sue e della madre: i tre bambini piccoli da accudire, il pollame, i maiali, il burro. La vita era dura nella loro fattoria tra i monti irlandesi».

La delicatezza e l’affettuoso umorismo esibiti in Bagordi irlandesi sono magici ma lo è anche, a suo modo, il ritratto impietoso della rudezza e della crudeltà della vita di campagna. Difficile pensare a un altro scrittore contemporaneo capace di combinare l’immediatezza e il ricordo partecipe che costituiscono il tessuto di questo luminoso racconto.

I giovani scrittori di oggi, specie le giovani scrittrici, sanno che Edna O’Brien ha scatenato una rivoluzione nella scrittura irlandese. Nessuna prima di lei, nemmeno Kate O’Brien o Mary Lavin, era riuscita a offrire un ritratto narrativo del tutto convincente della sensibilità femminile. A colpire in queste storie non è tanto la raffigurazione delle protagoniste, quanto il modo in cui l’autrice cattura nella rete della sua arte un che dell’essenza stessa della femminilità. Alcune delle sue eroine sono chiaramente pazze, ma sono tutte in un modo o nell’altro rovinate dal mondo, nella fattispecie dal mondo maschile. E sono tutte spiritualmente vulnerabili; anzi, potremmo dire che Edna O’Brien è la poetessa della vulnerabilità.

Due dei racconti più commoventi, La signora Reinhardt e Paradiso, ritraggono donne che sono state, ciascuna a suo modo, tradite dagli uomini e dalle loro pretese impossibili che le vorrebbero diverse da quello che sono. La signora Reinhardt, lasciata dal marito per una ragazza viziata che ha la metà dei suoi anni, è struggente in modo quasi insopportabile, determinata com’è a non lasciarsi sfuggire nulla di ciò che la vita potrebbe ancora offrirle, e ovviamente ne esce con le ossa rotte. Anche la giovane senza nome di Paradiso ha la smania di assaporare le ricchezze della vita e per questo si dà a un anziano playboy milionario che non fa nemmeno lo sforzo di capirla e che alla fine la scarica, apparentemente perché non è stata capace di imparare a nuotare.

Qui, come spesso altrove, Edna O’Brien lamenta la condizione delle sue donne ferite e allo stesso tempo ne celebra l’esuberanza, la generosità e, in definitiva, lo spirito indomito. È, semplicemente, una delle scrittrici più raffinate del nostro tempo.

(Traduzione di Giovanna Granato)

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