«L’amore è la preferenza esclusiva accordata a un uomo o a una donna rispetto a tutti gli altri», dice una signora su un treno, all’inizio del romanzo di Tolstoj, La sonata a Kreutzer. «Preferenza per quanto tempo? Per un mese? Per due giorni, per mezz’ora?», ironizza Vasja che ha appena ucciso sua moglie. «A lungo, a volte per tutta la vita», risponde allora la donna. Ma Vasja, ormai, non la ascolta nemmeno più. L’amore di cui parla questa donna, per lui, esiste solo nei romanzi.
E dire che una persona possa amarne un’altra per tutta la vita è come dire che una candela possa ardere senza mai consumarsi. Ma che cosa vuole dimostrare esattamente Tolstoj attraverso questo romanzo?
Lo scrittore russo, ne La sonata a Kreutzer, è drastico: la vita coniugale è un inferno. E ciò che comunemente viene chiamato amore, per lui non è altro che una pia illusione, un’invenzione romantica che serve solo a nascondere quello che spinge davvero gli esseri umani gli uni verso gli altri, ossia il desiderio carnale. Appena quest’appetito si esaurisce, d’altronde, niente tiene più legate tra di loro due persone, eccetto il dovere. Appena i sensi vengono appagati, non è più possibile alcuna condivisione. Pian piano si ridiventa estranei, soffocati dagli obblighi e dai giuramenti. Ma è veramente questo l’amore?
In realtà, se si cerca di leggere tra le righe quello che manca alla coppia raccontata da Tolstoj, ci si rende conto che il grande assente è proprio l’amore. Nessuno dei due protagonisti della Sonata a Kreutzer si fida. Nessuno dei due accetta di aprirsi all’altro, lasciando che le cose accadano. Nessuno dei due è disposto a fare spazio alla presenza altrui. Ecco perché Tolstoj non fa altro che mettere in scena un incontro impossibile che si disgrega e che, col tempo, non può non andare in frantumi. Vasja e la moglie non fanno nemmeno lo sforzo di capirsi. E, con il passare degli anni, ognuno si trova solo con le proprie recriminazioni. Tutto il contrario dell’amore, appunto! Che accade e aumenta solo quando ognuno riesce al tempo stesso a essere presso di sé e accanto all’altro.
Nell’amore, è la prossimità che alimenta la convivenza, la condivisione, la fedeltà. Ma la prossimità, per realizzarsi, richiede lo sforzo dell’avvicinamento. «Essere presenti significa avvicinarsi da un altro luogo o da un’altra situazione», scrive il filosofo francese Jean-Luc Chrétien. «Sono davvero qui solo perché ci sono arrivato e vado da un posto a un altro solo perché non ci sono sempre stato». Chi si avvicina a un’altra persona, d’altronde, lo fa sempre e solo a partire da ciò che gli manca e da ciò che, forse, non avrà mai. Ma è proprio accettando questo vuoto incolmabile che si permette poi all’altra persona di non sentirsi mai del tutto sola.
Il senso dell’amore, in fondo, risiede proprio in questo: un progetto che si dispiega nello spazio dell’incontro e che rende possibile l’intimità della coppia; un progetto che si radica nel presente, ma che, pur senza chiudersi al futuro, permette al cambiamento di trasformare la relazione e alla ripetizione di non essere mai monotona. Per amare, e amare veramente, è sempre necessario aprirsi all’alterità, nonostante si corra il rischio di alienarsi. Soprattutto quando si scopre che l’altro è sempre e solo un’immagine dell’altro che ci portiamo dentro. Aprirsi all’alterità per salvarsi, quindi. Scoprendo che, nonostante tutti i rischi e tutti i compromessi, noi stessi ne abbiamo bisogno per sopravvivere alle nostre fratture.