Politica

Referendum, l'allarme negli Usa e in Europa: "Quel voto pesa più di Brexit"

Dal Wall Street Journal al New York Times, dal Financial Times al Paìs la stampa internazionale mette l'Italia al centro della crisi e vede nella consultazione autunnale il possibile epicentro di un nuovo shock politico per l'Ue

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NEW YORK - Il referendum italiano è "più importante di Brexit". Lo sostiente il Wall Street Journal nell'edizione di ferragosto. Mette l'Italia al centro della crisi europea: per ragioni di stagnazione economica, e non solo. L'analisi preoccupata del quotidiano Usa s'inserisce in un crescendo di attenzione sulla scadenza d'autunno: anche il New York Times e il Financial Times hanno lanciato segnali simili, additando nell'Italia l'anello debole della crescita europea (dati di venerdì).

Ma anche il possibile epicentro di un nuovo shock politico che indebolirebbe la già traballante Unione. L'allarme non è riservato ai media anglosassoni: il giornale spagnolo El Paìs ha definito l'Italia "la nuova malata d'Europa che potrebbe trascinare il continente in una ricaduta nella crisi". Diversi emissari della finanza e dell'industria globale, dagli uomini di George Soros a top manager della Silicon Valley, hanno confidato preoccupazioni analoghe in occasione delle loro visite in Italia. Da più parti si trae una conseguenza immediata: il governo Renzi deve ottenere da Bruxelles un margine di tolleranza più ampio, per lanciare una robusta manovra di bilancio a favore della crescita.

A riaccendere i riflettori sul caso Italia sono stati i pessimi dati che hanno chiuso la scorsa settimana: l'eurozona nell'insieme cresce, ancorché debolmente, perché è trainata da una performance della Germania migliore del previsto, ma l'Italia si è fermata e questa sua frenata rallenta tutti. L'analisi del Wall Street Journal sottolinea che siamo alle prese con un male antico, antecedente alla grande crisi globale del 2008, visto che "dal 1996 al 2011 la crescita italiana è stata in media dello 0,9% annuo contro +1,4% in Germania, +1,8% in Francia, +2,6% in Spagna". Le conseguenze del lungo ristagno italiano le pagano anzitutto i giovani. La disoccupazione giovanile da noi raggiunge il 36,5% contro una media europea del 20,8%.

La questione italiana non è scoppiata all'improvviso sulla stampa straniera di ferragosto. Un antefatto c'era stato un mese prima, con la copertina ansiogena dell'Economist: l'immagine di un autobus pericolante, in precario bilico sul ciglio di un precipizio, pronto a cadere nel burrone sottostante. La fiancata dell'autobus era dipinta col nostro tricolore. In quel caso la denuncia partiva dalle banche italiane in dissesto. Ma The Economist inseriva l'analisi nel contesto di un allarme-paese più generale, descrivendo l'Italia con questi tratti drammatici: "Quarta economia d'Europa, una delle più fragili col debito pubblico al 135% del Pil, con il tasso di occupazione adulta più basso dopo la Grecia, un'economia agonizzante da anni, soffocata da eccessi normativi e produttività debole".

Il Wall Street Journal nell'edizione del 15 agosto ha aggiunto a questo quadro fosco la variabile politica: "È questo scenario che rende il referendum vitale, probabilmente più importante di Brexit". Il giornale americano riferisce che "i mercati sono concentrati sulla posta in gioco politica del referendum", cioè il rischio che una bocciatura degli elettori travolga Renzi, "ma il vero costo per l'Italia sarebbe che l'economia resterebbe inchiodata nella sua stagnazione di lungo termine", rendendo più difficile la soluzione di tanti problemi: dal debito pubblico alle sofferenze bancarie.

L'altro grande quotidiano americano, il New York Times, sempre a Ferragosto riprende l'analisi dettagliata dell'agenzia Reuters sulla "stabilità a rischio in Italia". Su quattro scenari relativi all'esito del referendum d'autunno, ben tre sono negativi. Primo: "Il referendum viene bocciato. Renzi si dimette e il Senato sopravvive. Il sistema elettorale si converte in una proporzionale che rende ancora più difficile capire chi comanda. Nuove elezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioranze diverse". Risultato: ingovernabilità a perdita d'occhio. Il secondo scenario New York Times-Reuters vede Renzi sconfitto ma capace di sopravvivere alleandosi con Forza Italia "per guadagnare tempo e riformare la legge elettorale prima di un'elezione parlamentare nel 2018". Un governo simile "trascurerà l'economia, mentre crescerà il consenso per i 5 stelle che vogliono un referendum sull'appartenenza all'euro". Terzo scenario, l'unico positivo: "Renzi vince e riesce a far passare la riforma della giustizia, della pubblica amministrazione, delle sofferenze bancarie". Ma c'è posto per un ultimo scenario in cui la vittoria dei sì al referendum non è affatto positiva: "Se Renzi non riesce a risanare l'economia, il M5S vince nel 2018, e non ha più limitazioni vista la debolezza del nuovo Senato".

Il New York Times conclude con un'esortazione identica a quella con cui si chiude l'articolo del Wall Street Journal: la necessità di un potente stimolo fiscale. Ed è la stessa lezione a cui il Financial Times dedica un intero editoriale. Intitolato: "Renzi deve lanciare un'offensiva per lo stimolo". Questa pressione ha come destinatari finali Bruxelles e Berlino. Anche il Financial Times considera come "un errore di Renzi l'aver personalizzato il referendum" e prevede che "molti italiani coglieranno l'occasione per votare contro un governo sempre più impopolare". Ma lo sbaglio è stato fatto, e a questo punto Renzi "deve ottenere libertà di manovra dall'Unione europea". In fatto di austerity, le regole non sono più applicate con la severità di un tempo. Molti osservatori ricordano che Bruxelles ha già dimostrato tolleranza verso la Francia, la Spagna e il Portogallo quando non hanno rispettato i vincoli di bilancio. Si potrebbe aggiungere che dopo Brexit l'incubo di altre defezioni ha ridotto ai minimi storici la disciplina interna, nonché la capacità di pressione della Germania sui propri partner. In fatto di lassismo europeo, stanno accadendo cose ben più gravi in campo extra-economico: l'impotenza dell'Unione di fronte agli abusi contro lo Stato di diritto in Polonia e Ungheria. Un po' di elasticità sulle manovre pubbliche a sostegno della crescita, sarebbe un segnale di rinsavimento per fermare in extremis l'onda anti-europea di tante opinioni pubbliche.

Le esortazioni a Renzi perché prima del referendum si svincoli dalla soggezione verso Bruxelles, si spiegano anche con la delusione per l'operato della Banca centrale europea. I dati di venerdì sulla crescita dell'eurozona, sempre fiacca se paragonata a quella americana (o a maggior ragione se confrontata con gli anni d'oro, dai Sessanta ai Novanta), hanno innescato nuove bordate di giudizi negativi sul "quantitative easing" in versione Bce. Quegli acquisti di titoli, pur mantenendo ai minimi storici i tassi d'interesse, non stanno rianimando la crescita come invece era avvenuto nella prima versione (made in Usa) del "quantitative easing" applicato dalla Federal Reserve tra il 2009 e il 2015. È la conferma di quanto sostengono da tempo gli economisti della sinistra neokeynesiana, da Paul Krugman a Joseph Stiglitz: la politica monetaria da sola non basta, ci vuole anche una manovra di bilancio per rianimare un'economia così malata. Meno tasse, più investimenti pubblici. Renzi dia l'esempio, se non vuol perdere il referendum d'autunno e scatenare un effetto Brexit al quadrato: il messaggio è corale, dagli osservatori stranieri.
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