Una sera di agosto la ricca famiglia dell’Est europeo scende dallo yacht attraccato al porto antico di Genova per accomodarsi al tavolo del ristorante che si affaccia sul molo vista Lanterna. «What is a pizza con le acciughe?», chiede il papà. La cameriera balbetta.

La risposta è più o meno questa e non ha bisogno di traduzioni: «È una pizza con le acciughe». Non si sa quanto abbiano capito. Speriamo abbiano comunque apprezzato la cena, affidandoci al buon nome della cucina mediterranea.

Sì, in inglese - di cui oggi, giorno della nascita e della morte di William Shakespeare l’Onu celebra la giornata internazionale - andiamo male.

Ancora, sempre, anche se negli anni siamo un po’ migliorati. Nel 2013 l’«Index» di conoscenza dell’inglese che l’agenzia di vacanze studio Ef pubblica ogni anno bollava il nostro livello di lingua “basso”. Negli anni successivi siamo passati al “medio” ma non c’è granché da rallegrarsi.

In Europa si esprimono peggio di noi soltanto i francesi. Anche gli spagnoli, nemmeno loro grandissimi “native speakers”, hanno un voto migliore. E dire che in Italia le prime lezioni di lingua, anche se ci limitiamo ai numeri, si fanno già all’asilo. Tante scuole superiori, specie i licei, organizzano il soggiorno studio in Inghilterra. Anni fa, il Censis evidenziava che le famiglie italiane arrivavano a spendere anche 20mila euro in corsi extra e vacanze d’inglese per i figli. Ma intanto ci si chiede: perché, dopo anni di studio di Present perfect e paradigmi siamo sempre insufficienti?

Il problema è anzitutto l’approccio: gli esperti concordano nel dire che nella scuola italiana si bada troppo alla grammatica e poco all’uso della lingua. «Una cosa innaturale: un bambino prima impara a parlare, anche facendo errori e poi, quando inizia la scuola elementare, conosce le regole e migliora», osserva Maria Perillo, responsabile didattica dei corsi proposti dal sito e app Aba English che usa un metodo “al contrario”: si parte dall’ascolto di video e dalla conversazione per arrivare a scrivere. «E i risultati sono ottimi».

L’altro aspetto è che in Italia l’inglese non fa parte della vita quotidiana: non guardiamo serie e film in lingua originale e in genere cerchiamo informazioni soltanto su siti italiani. In Olanda e gran parte del Nord Europa è facile trovare in tv programmi stranieri non doppiati, infatti quei paesi sono sempre al top della classifica di Ef. «Per migliorare basterebbe impostare l’inglese come lingua del cellulare o iniziare a vedere i telefilm con i sottotitoli, anche in italiano», continua Perillo.

Ne ha parlato anche al programma di Radio Rai, Eta Beta. Tra gli ospiti c’era pure Paolo Ernesto Balboni, docente di Didattica delle lingue moderne di Ca’ Foscari, che ha rimarcato un altro limite dell’Italia: «Il livello richiesto per insegnare lingua a scuola è il B1, troppo basso». E gli studenti ci rimettono. Soltanto il 55% dei ragazzi diplomati nel 2016 - rivela AlmaDiploma - dice di avere una buona conoscenza dell’inglese. Tra i liceali la percentuale sale al 59, ma nei professionali affonda al 36. Intanto la lingua resta il primo requisito richiesto per trovare lavoro. «Di sicuro questi numeri devono essere migliorati», commenta Renato Salsone, direttore di AlmaDiploma. «Un’occasione potrebbe essere organizzare i progetti di alternanza scuola-lavoro, oggi obbligatori, all’estero. Qualche scuola lo fa già, ma si può migliorare».

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