Politica

Cara figlia che vai a Parigi per l'Erasmus continua a non avere paura del mondo

Da padre, sognavo questo giorno: il coronamento delle tue fatiche universitarie, il tuo biglietto d’ingresso nella grande Madre Europa senza frontiere

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Ci siamo: la valigia è pronta. Manca giusto il beauty, con i tuoi mascara e i tuoi rossetti. Il volo è domani da Fiumicino: EasyJet con destinazione Parigi. Da padre, sognavo questo giorno: il coronamento delle tue fatiche universitarie, il tuo biglietto d’ingresso nella grande Madre Europa senza frontiere, che cresce e istruisce i suoi figli ai valori eterni dei Lumi: libertà, uguaglianza, fraternità.

Ma c’è una cosa che non avevo previsto, prima della strage delle Ramblas: c’è inquietudine, in questa vigilia del tuo primo Erasmus. Vai sei mesi a studiare a Science Politique. E dentro di noi ci sentiamo come se invece tu stessi partendo per un fronte militare, esposto alla minaccia di un “nemico” invisibile e irriducibile.

Le parole d’ordine che ripetiamo in queste ore sono sempre le stesse. Le nostre democrazie sono più forti. Stiamo distruggendo i tagliagole del Califfo Nero negli avamposti dove la guerra si combatte sul serio, da Mosul ad Aleppo. E le cellule impazzite dell’Isis, così come i terroristi in franchising arruolati su Internet o i disperati kamikaze fai-da-te, non cambieranno il nostro stile di vita. Continueremo a viaggiare e a studiare, a uscire la sera e ad ascoltare concerti, a mangiare nei ristoranti e a bere nei bar, a visitare musei e a fare shopping. Perché noi siamo tutto questo, perché questa è la straordinaria “normalità occidentale” che abbiamo conquistato e che abbiamo insegnato a voi, i nostri ragazzi.

Ti ho sempre detto: qualunque cosa accada, continua a essere cittadina del mondo, nessun criminale fondamentalista, abusando del nome di Allah, potrà farti cambiare idea. Possiamo gridarlo in piazza, nelle 35 lingue parlate da tutte le vittime della mattanza di Barcellona: non ho paura, no fear, no tiengo miedo, no tinc por. Ma dentro di noi, purtroppo, sappiamo che non è così. Io ho paura, mentre osservo già pronto all’ingresso di casa il bagaglio che ti accompagnerà nella Villa Lumière.

Pensando ai tanti padri che soffrono la mia stessa ansia, mi chiedo: posso fermarti, mentre ti accingi a prendere in mano il tuo destino e a condividerlo con quelli della tua generazione, abituata molto più della mia a mettersi in gioco valicando confini e buttando giù muri? Mi sfiora la tentazione di dirti «resta qui, è più sicuro». Dall’Apocalisse dell’11 settembre 2001, sotto i colpi degli assassini di Daesh sono “cadute” New York e Londra, Bruxelles e Parigi, Berlino e Manchester, Madrid e Barcellona, Stoccolma e Turku. L’Italia è stata risparmiata. Il perché resta un virtuoso mistero. Si dice: la nostra intelligence è la migliore, la mafia e la camorra controllano il territorio. In realtà io ho sempre pensato che questo Paese è una perfetta “base logistica” per trafficare in uomini e armi utili a organizzare attentati altrove. Gli strateghi del terrore non hanno interesse ad “esporsi” qui. E dunque dovrei dirti: sì, resta a Roma perché è meno rischiosa di Parigi.

Poi ragiono, e mi rendo conto che anche questa certezza non c’è più. Non tanto per le minacce islamiste sulla chat di Telegram («ora tocca all’Italia»). Non solo perché anche nelle nostre città tutto sta cambiando (la polizia di Roma già invita a «evitare gli assembramenti della movida»). Il “nuovo” terrorismo dei lupi solitari, ai quali basta un’automobile per fare una strage, sfugge a ogni previsione e quindi a ogni prevenzione. Non c’è Grande Vecchio che possa dirigerli, da una grotta di Raqqa o una madrassa di Riyad.

Quindi il mio “consiglio” non serve. Fermarti è una sciocchezza. Ma se parti, da cosa dovrai guardarti, nella metropoli dell’assimilazionismo e delle banlieue? Dovrei dirti «guardati dai ragazzi come te», perché questa è la tragica novità rivelata dal sangue versato sulle Ramblas. Stavolta gli attentatori non sono consumati professionisti della jihad e dell’odio anti-occidentale, già inutilmente noti alle “intelligence”, né vittime inferocite della ghettizzazione razziale e dell’esclusione sociale. Hanno le facce giovani e sorridenti della Generazione Jihad, uguale e contraria alla nostra Generazione Erasmus.
I “ragazzi di Ripoll” che hanno annientato quindici vite sul marciapiede più multietnico di Spagna studiavano in buone scuole e con ottimi voti, come i nostri. Giocavano nelle squadre di calcetto del loro paese, come i nostri. Tifavano il Marsiglia, come i nostri tifano la Juventus. Si guadagnavano qualche soldo come babysitter o baristi, come i nostri. È la loro “normalità”, e stavolta è sorprendentemente simile alla nostra. E allora, come possiamo disarmare questi “bravi ragazzi” del ceto medio, che non incubano la loro rabbia nelle periferie degradate? Come li riconoscerai, figlia mia, tra le migliaia di ragazzi che come te frequenteranno i corsi a Rue de l’Université, a due passi dalla Sorbonne? Un altro “consiglio” inutile, che tengo per me.

Ne resta un altro, l’ultimo. Chissà quanti “Bar le Tabloid” o “le Carillon” frequenterai, nelle tue serate libere a Montmartre o al Quartiere Latino. Chissà in quanti “Bataclan” ascolterai la musica. Dovrai stare attenta agli zaini che ti gireranno intorno, e che per alcuni ragazzi non servono più per portare un panino, una birra o una felpa, ma l’esplosivo “madre di Satana” o il machete? E ancora: chissà quante volte passeggerai, per gli Champs Elysées o per le vie del Trocadero. Dovrai stare attenta ai furgoni che solcano il pavé, e che per alcuni giovani non servono più per consegnare le baguette o gli smartphone, ma per seminare morte tra gli “infedeli”?

Mentre lo penso, mi rendo conto che anche questo “consiglio” non ha senso. Ti risparmio anche questo. Ma allora cosa resta, all’istinto di protezione di un genitore verso un’altra ragazza italiana che va incontro al suo domani? Resta la paura, appunto. Ma anche una speranza. Voi figli, che camminate liberi e apparentemente fragili per le strade del mondo, che fate i camerieri a Piccadilly o gli ingegneri a Wolsburg, saprete come vincere una “guerra” che non avete dichiarato. E saprete difendere l’Occidente molto meglio di come abbiamo fatto noi padri.

 
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