Milano, 4 agosto 2015 - 09:22

Caso Cocoricò: non si può sballare con il permesso del questore

Alcune discoteche sono luoghi extra-territoriali. Genitori e gestori devono collaborare all’unica soluzione possibile: la repressione (parola sgradevole, ma che funziona)

di Beppe Severgnini

shadow

Siamo riusciti a vietare le sigarette nei locali pubblici. Tutto il resto circola liberamente, e ogni tanto uccide. Lamberto Lucaccioni, 16 anni, è stato stroncato da una overdose di ecstasy (Mdma) al Cocoricò di Riccione.

Il Questore di Rimini, Maurizio Improta, ha ordinato la chiusura del locale per quattro mesi, elencando dettagliatamente tutti gli interventi delle forze dell’ordine negli ultimi due anni, compresi quelli del 118.

«Chiudere le discoteche per lo sballo è come chiudere le strade per gli incidenti», sostiene il nuotatore Simone Sabbioni, 18 anni, di Riccione. C’è una differenza che forse sfugge, al giovanotto e a tutti coloro che, in queste ore, dicono cose del genere. Sulle strade, gli incidenti sono l’eccezione, e tutti cercano di evitarli. In molte discoteche lo sballo è la regola, tutti lo sanno, ma si fa finta di niente.

I piagnistei dei gestori dei locali notturni li conosciamo bene: noi tentiamo! Noi controlliamo! Noi interveniamo! Cosa possiamo fare se i ragazzini bevono fino a rischiare il coma etilico e s’impasticcano? Se le ragazzine si prostituiscono per una banconota? Se giovanissimi italiani e coetanei immigrati si picchiano come ebeti nei parcheggi, tirandosi calci e bottiglie? Si potrebbe rispondere ai virginali disco-imprenditori: quanti minorenni con la vodka nel bicchiere avete allontanato? Quanti controlli avete condotto, quante pastiglie avete sequestrato? Quante denunce sono partite da voi, utili a identificare gli spacciatori?

La verità, come spesso capita, è banale. Le discoteche, come gli stadi di calcio, sono diventati luoghi extraterritoriali. Posti dove sono consentiti comportamenti che, altrove, porterebbero a una denuncia o a un arresto. I luoghi dello sballo sono diventati discariche sociali che fingiamo di non vedere. Papà e mamme preferiscono non sapere. Finché un giorno capiscono — magari dopo una telefonata notturna dei carabinieri — che là dentro ci stanno i propri figli e i propri nipoti. E rischiano di non tornare a casa.

Nessuno vuole «criminalizzare l’industria del divertimento», come recita il coro (interessato) dei professionisti del ramo. Ma qualcuno — la maggioranza degli italiani, almeno — vorrebbe evitare che quest’industria ospiti, tolleri e incoraggi comportamenti criminali. L’educazione e la prevenzione, evocate dalla politica in queste ore, non bastano. Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.

Parola sgradevole, ma inevitabile. La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia. Per anni abbiamo tollerato gli ubriachi alla guida e le strade notturne trasformate in anticamere dei campisanti. Tragedie, dolore, invocazioni, prediche, campagna di sensibilizzazione: nessun risultato. È bastato introdurre norme chiare nel codice della strada (compresa la «tolleranza zero» per i neopatentati) e intensificare i controlli: i risultati sono subito arrivati.

Lo stesso dovremmo fare con le discoteche. È inutile chiedere, pregare, auspicare. Bisogna intervenire.

Intendono collaborare, gestori e titolari? Beppe Riboli, uno dei più noti progettisti di locali notturni, spiegava al Corriere nel 2012: «Le discoteche sono arredate anche per il tipo di stupefacenti che si consumano. Gli enormi stanzoni neri per l’ecstasy hanno lasciato il posto ai privé della cocaina, con pista da ballo piccolissima e tanto colore bianco».

Oggi dice, a proposito del Cocoricò: «Se fai un club così (enorme, psichedelico, zero arredi), se offri musica così (hard core, techno, trance), se la mandi a 120 decibel (un aereo al decollo), se hai un parco-luci così (strobo da 5.000 watt, teste mobili, accecatori, videoled) non c’è verso: per essere normale devi essere sballato». Una novità, per gli addetti ai lavori?

Qualcuno, leggendo, dirà: non fate gli ipocriti, voi giornalisti, voi genitori, voi educatori, voi adulti! Cosa credete che girasse ai vostri tempi, nei concerti rock o nelle cantine del punk? Incensi e camomilla? Risposta: giravano alcol e droghe anche allora, ma in quantità e con modalità diverse. Chi ne faceva uso aveva le sue colpe, spesso pagate a caro prezzo; ma almeno ci risparmiava il perbenismo della trasgressione.

I nuovi, giovanissimi trasgressori vogliono sballare col permesso del Questore: francamente, è troppo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT