Lacerato all’interno, senza una guida e ora anche orfano del suo primo alleato. La deriva che ha travolto il Pd e portato Bersani alle dimissioni si arricchisce di un nuovo capitolo: il divorzio da Sel. L’elezione del presidente della Repubblica segna in modo inequivocabile le distanze tra il partito di Bersani e quello di Vendola come si è affrettato a spiegare lo stesso governatore: «Da ora saremo impegnati a ricostruire dalle fondamenta una sinistra di governo. L’otto maggio a Roma convocheremo la prima assemblea di popolo per lanciare questo nuovo percorso. Sarà un cantiere. Tutti coloro che dopo lo schianto del Pd sono interessati, sono benvenuti».

Le divergenze tra i due (ex) alleati sono parse evidenti fin dall’inizio della partita per il Colle quando Sel aveva posto il veto sul nome di Marini preferendogli Rodotà. Malumori e distinguo continuati per tutti gli scrutini successivi e ammorbiditi solo dal nome di Prodi. Ma anche l’apertura sul nome del Professore da parte dei vendoliani non è bastata a far rientrare le accuse incrociate che a più riprese sono piovute sull’ala sinistra dello schieramento. Per fugare i dubbi e ribadire l’onestà dell’alleanza i parlamentari vendoliani erano ricorsi all’espediente di firmare il voto a Prodi aggiungendo una “R.” davanti al cognome. Il messaggio era semplice: rispedire al mittente le accuse sottolineando che i voti mancanti alla conta di Bersani erano altri e anche più pesanti.

Ora dopo ora il focolaio del dissenso è cresciuto, alimentato anche dalle esternazioni di esponenti democratici che di fatto guardano già al dopo-Bersani. Prima della sesta votazione il ministro Barca ha provato a spiegare su Twitter quanto fosse «incomprensibile che il Pd non appoggi Stefano Rodotà o non proponga Emma Bonino». Dello stesso parere il sindaco di Bari Emiliano che su Facebook ha invitato «tutti i grandi elettori progressisti ad insistere su Rodotà». Polemiche che infiammano un dibattito già rovente e anticipano la corsa alla segreteria. «Hanno fatto finta che andasse tutto bene - accusa la senatrice Pezzopane - ora serve un dibattito vero».

Il voto a Napolitano poteva essere l’ultima chance per ricompattare il partito e riavvicinare Sel, ma la partita si è arricchita di altri elementi. Prima di accettare la rielezione il Capo dello Stato ha diffuso un comunicato nel quale poneva come unico vincolo «una collettiva assunzione di responsabilità» che tradotto significa disponibilità a un governo di larghe intese Pd-Pdl-Scelta Civica. Scenario indigesto a Sel che ha preferito rimarcare le distanze e rispondere all’appello dei 5 Stelle in favore di Rodotà. «Sarebbe una sciagura per il Paese» ha spiegato Vendola sottolineando di essere «ontologicamente all’opposizione di una cosa del genere». Concetto ribadito anche dal deputato Sergio Boccadutri: «Da oggi inizia la costruzione di una nuova sinistra moderna». Questa volta senza il Pd.

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