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Su Freelancer.com le imprese italiane hanno messo in Rete oltre 33 mila opportunità

I professionisti?Gareggiano sul web

L’incontro tra le aziende e i progetti offerti dai lavoratori

Su Freelancer.com le imprese italiane hanno messo in Rete oltre 33 mila opportunità

I professionisti?Gareggiano sul web

L’incontro tra le aziende e i progetti offerti dai lavoratori

Funziona un po' come eBay o Amazon. Però, le merci in vendita non sono scarpe, lavatrici o smartphone, ma lavoro: dalla realizzazione di un sito al design di un logo aziendale, fino alla traduzione di un testo. Chiamiamolo cloudworking, crowdsearching oppure semplicemente collaborazione a distanza, di certo un fenomeno che sta prendendo piede in tutto il mondo, Italia inclusa. Oggi i nostri copywriter, ingegneri, designer, giornalisti, architetti, assistenti virtuali frequentano i grandi mercati online che incrociano domanda e offerta di lavoro in outsearching in cerca di opportunità globali. Ma non solo loro: lo fanno anche startupper e Pmi made in Italy che vogliono «tecnologizzarsi».

«La spesa per l'esternalizzazione delle aziende italiane è cresciuta del 70% da novembre e del 50% solo negli ultimi due mesi» sottolinea Bill Little, regional director Europe di Freelancer.com, piattaforma di outsourcing e crowdsourcing per Pmi che ha quasi 8 milioni di utenti in più di 240 Paesi e oltre 31 mila nel nostro, dove è sbarcata lo scorso autunno. I datori di lavoro italiani iscritti a Freelancer sono 6.500 e finora hanno messo in Rete oltre 33.000 progetti da realizzare in tutto il mondo. Dove? L'Asia è in pole position: quasi il 30% sono affidati in India (immaginate, basta un click e sei in contatto con un abile ed economico programmatore di Bangalore), seguono Pakistan e Bangladesh (8 e 7%). I vantaggi sono presto detti. «Con 350-400 euro cominci il tuo ecommerce, risparmi, ti concentri sulla core activity, guadagni e finisce che dai lavoro alle persone locali... Ho visto tanti casi del genere» assicura Little.

Ma non è solo una questione di costi. Le nostre piccole imprese impiegano via web anche freelance statunitensi (6,4%) in campi che vanno dall'email marketing alla traduzione dei siti fino alla programmazione. «Per entrare nel mercato Usa» spiega Little. Il meccanismo è semplice: le aziende postano la richiesta con tanto di budget a disposizione, i professionisti la loro proposta economica, il pagamento avviene (è garantito) quando il committente è soddisfatto. Per ora soltanto il 3,6% dei progetti italiani viene realizzato da connazionali: siamo al settimo posto, dopo Romania e Vietnam, seguiti a ruota dal Regno Unito e con un po' di distacco da Ucraina e Cina (2,3%).

Anche per chi lavora a prestazione il «mercato online» è un'opportunità. Stando ai dati di Freelancer i nostri professionisti stanno collaborando soprattutto con aziende Usa, più o meno tre volte tanto che con Regno Unito e Italia (secondo e terzo posto). Ma tra le prime dieci posizioni ci sono pure Australia, India, Cina e Canada. Il problema è che in questo caso ti trovi a competere a livello globale. E, soprattutto, con una concorrenza che a volte può proporre prezzi molto bassi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iolanda Barera

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