EUROPA

Spagna, lo stupro dei SanFermines tra web e tribunali

Cinque uomini, tra cui un militare e un Guardia Civil, accusati dello stupro di una ragazza durante la tradizionale festa di Pamplona. Fanno parte di un gruppo che si fa chiamare La Manada (il branco). Mentre è in corso il processo, scattano le mobilitazioni in solidarietà con la donna e la disobbedienza virtuale.

È incominciato in questi giorni e tra molte polemiche il processo per quello che è conosciuto come “lo stupro dei SanFermines”. I fatti risalgono al luglio 2016: è il periodo degli encierros a Pamplona, le tradizionali corse dei tori nelle strade che si affrontano quasi sempre con un elevatissimo tasso di alcol nel sangue e che trascinano la cittá in un vortice festivo che dura una settimana.

È notte fonda, una ragazza di nemmeno vent’anni ha perso l’amico che la accompagnava e siede su una panchina. È abbastanza ubriaca, aspetta di riprendersi per raggiungere la macchina dove lei e l’amico – venivano da Madrid – avrebbero dormito. Le si avvicina un tipo che attacca bottone. Poi i tipi diventano cinque e come nel copione di un film dell’orrore la storia va avanti: da veri gentiluomini si offrono di accompagnarla ma invece la spingono dentro un portone, la violentano tutti in tutti i modi possibili e mentre lo fanno la riprendono in video. Quando se ne vanno le rubano anche il telefono, per impedirle di chiamare aiuto. Dopo pochi minuti lei riesce a uscire dal palazzo; ancora mezza nuda e scioccata viene soccorsa da una coppia e portata in ospedale.

Se questa storia vi sembra inquietante, aspettate di sentire il resto: dei cinque violentatori uno è militare e un altro è Guardia Civil. Si scopre che su WhatsApp fanno parte di un gruppo di una ventina di maschi che si fa chiamare La Manada (il branco), che per loro quella violenza era una sorta di rito e che erano partiti da Siviglia con tutta l’intenzione di metterlo in pratica. Nel gruppo parlano dell’uso di corde e di droghe che annullano la volontà – dalle classiche roipnol alla burundanga (conosciuta come droga dello stupro) e dentro il gruppo posteranno con orgoglio anche le immagini che hanno girato durante la violenza. La notizia scuote i social spagnoli, sui quali amici, parenti e fidanzate hanno il coraggio di difendere quei *bravi ragazzi* che volevano solo divertirsi. In fondo, obbiettava argutamente la vox populi maschilista, alcuni di loro sono anche bellocci, non hanno bisogno di forzare una donna per fare del sesso (come se stuprare una persona fosse un atto sessuale, quando sappiamo che è piuttosto un esercizio di prevaricazione che poco ha a che fare con il sesso).

Le conversazioni nel gruppo? Sono esagerazioni, scritte solo per scherzare. Peccato che si scoprirá in seguito che uno degli accusati è implicato in un altro stupro di gruppo (avvenuto un paio di mesi prima di quello dei SanFermines) nel quale la vittima racconta di essere caduta in uno stato di incoscienza forse proprio grazie all’uso di una sostanza. E chi è dei cinque? Il Guardia Civil.

Al processo, le conversazioni del gruppo e il video dello stupro non sono stati ammessi come prove, mentre sí che lo è stata la relazione di un detective privato, pagato dalla difesa, che ha seguito la ragazza per dimostrare che in fin dei conti il trauma non l’aveva danneggiata poi tanto: lei ha continuato a studiare, a uscire con le sue amiche, a fare dei viaggi. Ha continuato a vivere – e questo la rende sospetta. Come succede quasi sempre nei casi di abuso sessuale, è la vittima ad essere giudicata.

La tesi della difesa è che la ragazza fosse consenziente e che solo dopo quella mezz’ora di inferno si sia pentita e abbia voluto vendicarsi, rovinando la vita a cinque bravi ragazzi che in fondo hanno sbagliato solo a rubarle il telefono.

Dal web è arrivato un primo atto di disobbedienza civile telematica, quello di diffondere le foto con i volti degli imputati (che invece avevano chiesto e ottenuto, da parte del Tribunale, il rispetto della loro privacy) mentre oggi nelle principali città della Spagna sono convocati presidi e manifestazioni nei luoghi simbolo della giustizia, per protestare contro la gestione di questo caso che è diventato esemplare di una modalitá sessista di vivere la festa (gli stessi SanFermines, che da alcuni anni sono nell’occhio del ciclone, cercano di arginare con campagne di comunicazione mirate certi eccessi che rendono l’evento troppo pericoloso per le donne – e non sono i tori il problema).

D’altra parte nello stato spagnolo il movimento femminista in questi ultimi anni ha affrontato la questione come una vera e propria emergenza sociale: ad aprire la strada sono stati i collettivi di Catalogna e dei Paesi Baschi, ma ormai in quasi tutte le feste popolari esiste un protocollo contro le aggressioni sessiste, omofobiche e transfobiche ed è attivo un servizio d’ordine di donne al quale ci si può rivolgere e che può intervenire in caso di necessità. Una iniziativa dal basso, perché dove non arriva la giustizia patriarcale a tutelare i soggetti più a rischio è l’autorganizzazione delle donne – e dei loro alleati – a garantire che il divertimento sia per tutte e tutti e non a spese di qualcuna.