Esteri

Amnesty contro l'Ungheria di Orban: botte e burocrazia per tenere lontani i richiedenti asilo

Il premier ungherese Viktor Orban (ap)
In un nuovo report l'accusa: il muro di filo spinato al confine con Serbia e Croazia solo un dettaglio di un "sistema" fatto di labirintiche procedure e violenze come deterrente alle richieste di protezione dei rifugiati
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BUDAPEST - Il muro di filo spinato eretto in Ungheria, al confine con Serbia e Croazia, nel cuore dell'Europa, dal governo ultraconservatore del premier Viktor Orban per tenere migranti e rifugiati al di fuori dei confini nazionali è diventato il simbolo della politica populista del tutto indifferente al dovere della solidarietà prima ancora che agli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Una critica che Orban si è sentito muovere contro da più parti nel corso dell'anno trascorso da quella estrema misura, adottata nella difficilissima estate 2015 della grande emergenza europea per il fiume umano in marcia da oriente lungo la rotta balcanica. Ora, però, da Amnesty International giunge un'analisi più ampia del caso Ungheria, in cui l'odioso reticolato si riduce a dettaglio di un ben più organico "sistema" per la gestione del diritto d'asilo "platealmente" disegnato in modo da scoraggiare gli aventi diritto a farne richiesta a Budapest. Poggiato su due colonne portanti: un "labirinto" di procedure burocratiche e le pratiche violente delle forze dell'ordine. Così centinaia di rifugiati sono rimasti bloccati sul lato serbo del confine.

L'accusa è contenuta in Speranze abbandonate: l'attacco dell'Ungheria ai diritti dei rifugiati e dei migranti, report di Amnesty in cui si parla apertamente di "maltrattamenti" nei riguardi dei richiedenti asilo come "deterrente". "Un sistema palesemente destinato a scoraggiarli" ha dichiarato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l'Europa, presentando il rapporto, mentre "il primo ministro Orban ha sostituito lo Stato di diritto con uno Stato di paura". Ma Dalhuisen non solleva dalle loro responsabilità i leader europei, per non aver "saputo contrastare con decisione le violazioni delle leggi dell'Unione europea da parte dell'Ungheria. Così facendo, hanno rafforzato xenofobi e populisti col rischio che in Ungheria si produca una grave minaccia strutturale allo Stato di diritto e al rispetto dei diritti umani".

Si attende la reazione ungherese, che probabilmente non sarà molto diversa da quella mostrata dopo l'emersione di altri e similari atti accusatori nelle scorse settimane, in particolare quello di Human Rights Watch. Il governo, semplicemente, respinge ogni addebito forte del consenso interno che trasformerà prevedibilmente in un plebiscito la consultazione referendaria di inizio ottobre, quando gli ungheresi diranno "no" alle quote di migranti imposte dalla Ue a ogni Stato membro. Prima della pubblicazione del report di Amnesty, il portavoce dell'esecutivo, Zoltan Kovacs, ha dichiarato che le accuse mosse all'Ungheria in merito ai pestaggi di migranti da parte della polizia ungherese sono "chiare bugie".

Eccole, allora, le "bugie" messe nero su bianco da Amnesty International. "Il rapporto di Amnesty è basato su ricerche condotte in Serbia, Ungheria e Austria e su interviste a 143 persone, la maggior parte delle quali rifugiati e migranti - si spiega nel documento -. Nel settembre 2015, l'Ungheria ha terminato la costruzione del muro di filo metallico alla frontiera con la Serbia, poi esteso anche al confine con la Croazia. Quindi ha adottato una legge che prevede un esame sommario delle domande d'asilo. In due varchi di confine sono state aperte le cosiddette 'zone di transito', container metallici in cui vengono esaminate le domande e trattenuti coloro che vengono accettati. Ogni giorno nelle 'zone di transito' vengono ammesse solo 30 persone, col risultato che centinaia di altre rimangono in condizioni di degrado lungo il confine o nei centri sovraffollati della Serbia". "Al momento della visita di Amnesty International al confine tra Ungheria e Serbia, oltre 600 persone si trovavano in campi improvvisati, in molti casi da mesi - prosegue il rapporto -. Ad Amnesty, "un richiedente asilo del campo di Horgos, che aveva dovuto portare in braccio l'anziana moglie per buona parte del viaggio dall'Afghanistan", ha raccontato di essere lì da 22 giorni "e non è detto che passeremo domani". Un altro, nello stesso campo da 18 giorni, si sfogava così: "Siamo scappati dalla guerra, siamo scappati dalla sofferenza. Perché qui al confine ci trattano come animali?". "A causa delle procedure estremamente rigide, alcuni richiedenti asilo cercano di entrare irregolarmente in Ungheria. Una legge del giugno 2016 consente l'immediato ritorno in Serbia di tutti i richiedenti asilo fermati fino anche a otto chilometri di distanza dal confine, in territorio ungherese. Le persone fermate vengono respinte illegalmente, senza alcuna considerazione per l'eventuale necessità di protezione o per particolari condizioni di vulnerabilità. I dati ufficiali lasciano intendere che la nuova prassi dei respingimenti ha ampiamente sostituito la procedura penale precedentemente in vigore per gli ingressi irregolari". Alcune delle persone intervistate da Amnesty International hanno riferito che durante i respingimenti i richiedenti asilo "sono stati presi a calci, picchiati e minacciati coi cani". Uno ha visto un agente picchiare un uomo dopo averlo fermato lungo la frontiera, mentre un altro poliziotto commentava: "Possiamo farvi tutto, pure se fate denuncia non vi darà retta nessuno". Storia simile quella di un 17enne non accompagnato fermato dalla polizia 10 chilometri all'interno dell'Ungheria: "Uno del nostro gruppo è stato preso a calci sui piedi fino a quando gliene hanno fratturato uno". All'interno delle "zone di transito", gli uomini in viaggio senza familiari "vengono spesso detenuti illegalmente anche per quattro settimane - accusa ancora il documento di Amnesty -. Molti di loro si vedono giudicare inammissibile la domanda d'asilo in quanto provenienti dalla Serbia",  considerato "Paese terzo sicuro. Poiché la Serbia formalmente non li riprende indietro e non fornisce accesso a una procedura d'asilo equa e individuale, le persone respinte dalle zone di transito non hanno altra alternativa che intraprendere un percorso diverso per entrare nell'Unione europea". Passo successivo. "I richiedenti asilo che riescono a superare le zone di transito sono portati in centri d'accoglienza aperti o chiusi dove le condizioni sono terrificanti: mancano i servizi basilari, i bambini non ricevono istruzione o non svolgono attività e le cure mediche sono scarse. Alcuni minori convivono insieme agli adulti. La mancanza di servizi di traduzione e una lunga e complessa procedura d'asilo creano ostacoli spesso insormontabili ai richiedenti asilo". "La detenzione è la regola" accusa Amnesty, che all'epoca della sua ricerca ha verificato che il 60 per cento dei 1200 richiedenti asilo registrati in Ungheria si trovava nei centri di detenzione. "Nonostante ripetute richieste, ad Amnesty International non è stato permesso di visitare il centro di detenzione per richiedenti asilo di Kiskunhalas, l'organizzazione ha potuto però incontrare ex detenuti che hanno denunciato le violenze e le minacce subite dalla polizia e dal personale di sicurezza". La testimonianza di un richiedente asilo palestinese picchiato a Kiskunhalas: "La polizia e gli addetti alla sicurezza sanno che ci sono un sacco di telecamere in giro, così portano i detenuti in parti del centro dove nessuno può vederli e li picchiano". In conclusione, il direttore John Dalhuisen ha ricordato come "nel dicembre 2015, la dimensione della sofferenza dei rifugiati e dei richiedenti asilo al confine e all'interno dell'Ungheria, insieme all'adozione della nuova legislazione sull'asilo, hanno spinto la Commissione europea ad avviare una procedura d'infrazione, tuttora in corso. Invece di provare vergogna per il fatto che vengono portate alla luce le clamorose violazioni del diritto internazionale in corso in Ungheria, il primo ministro (Orban) le celebra come un esempio da imitare da parte degli altri Paesi. Consentire a tutto questo di andare avanti procurerà altra miseria a persone vulnerabili in fuga dai conflitti".