L’elusiva conclusione dell’incontro dei ministri francesi e italiani sul grave dissenso sui cantieri Stx non ha messo a fuoco le altre questioni cruciali sul tappeto: la politica della migrazione e la situazione libica. Questo conferma che l’iniziativa di Emmanuel Macron non è circoscrivibile ad un singolo episodio contrattabile, ma annuncia un rilancio geopolitico della Francia che riapre una dinamica storica europea di antica data.

C’è un dettaglio sinora trascurato nei contrasti franco-italiani di queste settimane: il silenzio di Berlino. Come se la diatriba non riguardasse minimamente il governo tedesco che pure ha le sue proposte sulla questione libica, sulla questione dei migranti e più generale sui modi in cui gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero trattare i loro legittimi «interessi nazionali». La stampa tedesca, che nelle scorse settimane aveva elogiato Macron per la promettente prospettiva di una rinnovata intesa franco- tedesca, sembra distratta.

Ma certamente non lo è la cancelliera Merkel che nell’incontro con l’appena eletto presidente francese aveva esplicitamente parlato di impegno comune per il rilancio politico ed economico dell’Europa, per il rafforzamento della sicurezza e della difesa. Per la verità, poi non si è andati oltre le affermazioni di principio. Anzi non è mancato chi - negli stessi ambienti della cancelleria - ha sospettato che Macron si rivelerà un partner assai esigente e intransigente quando sono direttamente in gioco gli interessi francesi.

Poi, imprevista, è arrivata la diatriba con l’Italia sui temi concreti e sensibili della Libia, della migrazione, segnata da un inatteso stile perentorio da parte del presidente francese. A molti è venuto spontaneo evocare atteggiamenti tipici di quello che oggi si chiama «sovranismo» e che nella tradizione francese ha i nomi di bonapartismo e gollismo ecc. Ci sarà ora un macronismo? Si tratta di insopprimibili sindromi nazionali o di una vera e propria strategia?

È legittimo il sospetto che la paralisi decisionale dell’Unione europea faccia venire alla luce quello che storicamente era stato dichiarato solennemente superato, cioè il riemergere di un «sistema di potenze nazionali» alla ricerca di un nuovo «equilibrio» vecchia maniera basato su confronti degli interessi nazionali.

Se è così, diventa istruttivo ripercorrere alcune tappe originarie di questo sistema delle potenze che erano alla ricerca di un nuovo equilibrio. Una ricerca che, accentuando in realtà crescenti squilibri, ha prodotto un sistema di contrapposizioni sempre più rigide. Ricordare questi eventi non è fare archeologia storica.

Nel caso specifico della Libia sono tornati alla memoria episodi di conflitto italo-francese che hanno lasciato un segno. Cominciamo da due date sintomatiche nella loro quasi contemporaneità.

1881: occupazione francese della Tunisia, che l’Italia considera area di propria influenza. Si apre una dura competizione per il controllo della Libia.

1882: entrata dell’Italia nella Triplice Alleanza con le Potenze centrali (Germania e Austria-Ungheria) ostili alla Francia. A questo proposito nei manuali di storia è rimasta la drastica definizione di Gaetano Salvemini della Triplice come «alleanza innaturale» per l’Italia. In realtà si è trattato di una alleanza dettata da Realpolitk imposta dalla logica di potenza che stava dominando l’intera Europa e che poneva l’ancora debole Regno d’Italia nella classica posizione del vaso di coccio tra vasi di ferro. Con una Francia ostile.

Facciamo un passo indietro. Non va dimenticato che Cavour stesso nei suoi ultimi mesi di vita, si rivolgeva alla Prussia per sottrarsi alla gravosa egemonia francese. E Bismarck, una volta giunto al potere, avrebbe ricercato l’alleanza italiana per quella che noi chiamiamo la Terza guerra di indipendenza (1866) contro l’Austria; guerra che per la Prussia è stata la prima prova di forza politico-militare per l’egemonia sulla Germania divisa. L’unificazine tedesca sarebbe stata raggiunta dopo la sconfitta della Francia (1870/71) con una Italia consenziente, che coglie l’occasione per entrare in Roma con le armi. Come si vede, si è creato un intreccio di complicità, di alleanze, di diffidenze, di rovesciamenti di alleanze - tutte in nome dell’interesse nazionale.

Con la fine degli Anni Settanta e con gli Ottanta dell’Ottocento sotto l’egemonia informale della Germania bismarckiana si instaura sul Continente un sistema di equilibri di potenza che consente tra l’altro alla Francia di dedicarsi intensamente all’ampliamento e rafforzamento del proprio impero coloniale. L’Africa settentrionale ne costituisce la parte più importante. È inevitabile quindi lo scontro con l’Italia che ha aspirazioni analoghe in Tunisia e Libia. Di più, esasperando la concorrenza commerciale ed economica con l’Italia. La Francia boicotta i prodotti agricoli meridionali. Insomma la «nazione sorella», cui pure l’Italia doveva molto per la propria unificazione (anche se alla fine l’unità fu più tollerata che promossa...) stava imponendo all’Italia una posizione di benevole dipendenza.

È a questo punto che entra in gioco la Germania ( non l’Austria-Ungheria ) come punto di riferimento economico-finanziario, politico e culturale sottilmente alternativo a quello francese. Inizia, tra l’altro, l’età d’oro della recezione della filosofia tedesca in Italia. È in questa fase che trova la sua radice la grande duplice ambivalenza degli italiani, che si sentono provinciali a fronte delle grandi culture francese e germanica. Si tratta un periodo complesso che meriterebbe di essere rivisitato e riscritto, distinguendo cultura universitaria e scientifica, letteratura, opinione pubblica ed economia. Il governo trova figure importanti come Crispi e soprattutto Giolitti. Entrambi, per altro, etichettati dagli avversari come «filotedeschi».

In questo clima non mancano in politica episodi singolari e sintomatici delle ambivalenze italiane. Merita di esserne riportato uno. Nel 1902 viene rinnovata l’appartenenza dell’Italia alla Triplice Alleanza, in un clima però di ritrovata sintonia con la Francia, che rimane nemica intransigente della Germania. È naturale che l’opinione pubblica, la stampa e il parlamento tedesco sollevino dubbi e interrogativi sulla «affidabilità» della politica italiana. Disarmanti sono in proposito le parole del ministro italiano Prinetti che dichiara che l’Italia ha certamente «alleati» (i tedeschi) cui rimane fedele ma ha anche «amici» (i francesi) con i quali intrattiene buoni rapporti. Il cancelliere del Reich, grande amico e conoscitore dell’Italia, von Bülow tiene un famoso discorso nel Reichstag dai toni comprensivi e ironici usando la celebre metafora del «giro di valzer». «Non c’è nulla di male - dice - se la moglie fa un giro di valzer con un estraneo, purché rimanga fedele al marito». In realtà l’espressione «giro di valzer» rimarrà nel gergo diplomatico (non solo italiano) con significato negativo, come sinonimo di inaffidabilità.

Per alcuni anni ancora l’Italia giolittiana riesce a muoversi con cauta disinvoltura, decide la conquista della Libia con un’azione militare sostanzialmente «tollerata» con sentimenti opposti, dalle grandi potenze, ma certamente non dalla Francia. Il clima politico di questi anni non è affatto quello della belle époque, come superficialmente si continua a ripetere, perché è carico di sospetti e latenti ostilità che ci si illude di tenere sotto controllo sino all’ultimo - sino alla crisi del luglio /agosto 1914, dopo l’assassinio a Sarajevo dell’erede al trono di Vienna.

In questo contesto si consuma la grave decisione del «cambio del nemico» da parte dell’Italia che in alcuni mesi dalla dichiarata neutralità di fronte all’’azione di guerra di Austria e Germania contro Francia, Inghilterra, Serbia, Russia, passa al ripudio della Triplice Alleanza e quindi allo schieramento attivo a fianco di Francia e Inghilterra. È un azzardo politico e militare dalle conseguenze incalcolabili. Costerà all’Italia, oltre che una guerra durissima e sanguinosa, l’accusa di «tradimento» da parte dei tedeschi e degli austriaci, sia pure compensata dalla riconoscenza dei francesi. Sono atteggiamenti e memorie in seguito criticamente rivisitate, corrette e ricorrette, in parte rimosse - ma in fondo inestinguibili. Su di esse si sono sovrapposte le esperienze ancora più traumatiche dei crimini dei regimi totalitari, della Seconda guerra mondiale, dell’Olocausto. Anche queste parzialmente riscattate dai valori ritrovati dalle diverse Resistenze. Ma la Francia non mancherà di punire con un duro trattato di pace (nel 1947) gli errori e i crimini commessi dall’Italia fascista.

Il miracolo atteso dalla costituzione politica della nuova Europa, grazie ai tre grandi padri francese, tedesco e italiano (Schuman, Adenauer, De Gasperi) era anche quello di ripensare questa lunga drammatica storia per non ripeterla. Ma l’Europa da essi sognata non era soltanto frutto di una proiezione di ideali, bensì anche di una sobria constatazione realistica che essa fosse l’unica risposta agli interessi materiali delle nazioni europee. Cancellare l’idea stessa di «potenza nazionale», del «sistema delle potenze», dei nazionalismi ne era solo il presupposto. Oggi, di fronte a quelli che approssimativamente chiamiamo «populismi» e «sovranismi» ci rendiamo conto di quale enorme lavoro politico e culturale sia rimasto ancora da fare.