I rapporti oggi si sono rasserenati. C’è voluto un cambio ai vertici che ha fatto rumore per ricondurre la discussione tra Telecom e il governo a un livello «accettabile», per usare un aggettivo pronunciato dal ministro Carlo Calenda. Ma c’è stata una fase, appena pochi giorni fa, in cui tutti erano contro Tim. L’Antitrust, l’esecutivo, Enel, la Cassa depositi e prestiti. Il motivo del contendere? La banda ultra larga, tutte quelle tecnologie cioè che permettono agli italiani di navigare a gran velocità sul web. In ballo ci sono miliardi di euro: la sola Tim ha annunciato che investirà 11,5 miliardi nei prossimi tre anni.

Lo scontro è sulle gare pubbliche di appalto Infratel, per installare le tecnologie nelle «aree bianche», quelle cioè più depresse del paese e meno convenienti per un investitore. L’ex monopolista Telecom Italia ha battagliato per un appalto che aveva considerato inizialmente di scarso interesse, annunciando di non voler investire in queste zone. Poi ha mischiato le carte sul tavolo avanzando l’intenzione di investire: facendolo però in via autonoma e senza aiuti pubblici, attraverso la società Cassiopea.

L’intervento dell’Antitrust

L’Autorità garante della concorrenza ha aperto un procedimento contro il gruppo telefonico – che in questi giorni cambia l’amministratore delegato, dopo le dimissioni di Flavio Cattaneo - per possibile abuso di posizione dominante, accusandolo di ostacolare le gare con lo scopo di mantenere il proprio storico monopolio. La società si difende e assicura che la propria correttezza emergerà.

Le condotte contestate sono due. Una riguarda le gare Infratel: la prima già aggiudicata a Open Fiber, alleanza tra Enel e Cdp, per la banda ultra larga per piccoli comuni o zone periferiche di sei Regioni italiane vale 4 miliardi di euro e prevede l’installazione del filo rapido Ftth (che parte da una velocità minima di 100 mega): i primi cantieri sono stati aperti oggi; la seconda gara vinta dallo stesso soggetto ma non ancora ufficializzata è da 1,2 miliardi e infine la terza, che vale tra i 4 e i 500 milioni, deve ancora partire.

In questo caso il comportamento dubbio per l’Antitrust riguarda la scelta di annunciare l’interesse a investire quando le gare erano già in corso, ma anche a causa dei ricorsi presentati ad autorità giudiziarie e amministrative. Scelte queste ultime che Tim avrebbe messo in atto per rallentare la procedura, e «ostacolare lo sviluppo di forme di concorrenza infrastrutturale e l’entrata di nuovi concorrenti». Il secondo motivo, secondo l’autorità garante della concorrenza, sta nel presunto accaparramento preventivo della clientela, anche con politiche commerciali anti-concorrenziali (prezzi non replicabili, vincoli al cliente).

Tim ha assicurato di aver agito nel rispetto delle norme, ha respinto le accuse e, in qualche modo, le ha ribaltate affermando che l’avvio dell’istruttoria si deve «alla presentazione nelle scorse settimane ed in un arco di tempo estremamente ridotto di una serie di esposti da parte dei soggetti portatori di un interesse ad impedire la realizzazione del suo investimento».

All’attacco di Tim

Contro l’ex monopolista non c’è solo l’Antitrust, che concluderà il procedimento entro il 31 ottobre 2018, ma anche Infratel e la società controllante Invitalia, che è del ministero dello Sviluppo economico. Nel corso di un’audizione al Senato i vertici delle due società avevano fatto notare che nelle aree bianche Tim ha fatto solo dichiarazioni ma «nessun investimento», assicurando che l’interesse pubblico «sarà tutelato». Inoltre, secondo quanto emerso dall’ultima consultazione, le promesse degli operatori nelle aree nere e grigie stanno un po’ venendo meno e, di conseguenza, le aree bianche stanno aumentando: tanto che non è stato escluso un nuovo intervento.

Cosa dice il governo?

In questa partita il ministero dello Sviluppo economico è intervenuto in modo diretto dopo che l’amministratore delegato di Tim, sentito in Parlamento, aveva accusato di aver costruito i bandi «ad hoc» per altri concorrenti. Parole che non sono piaciute al ministro Carlo Calenda che ha risposto per le rime alle parole del manager: «Le affermazioni sono gravi ed inaccettabili tanto più in quanto rese in una sede istituzionale. I bandi Infratel, a cui peraltro Tim ha partecipato insieme ad altri operatori, sono stati strutturati nel pieno rispetto delle regole nazionali ed europee. Sono certo che la società tornerà immediatamente ad utilizzare, nei rapporti con il Governo, un linguaggio consono». L’iniziativa di Tim, che voleva andare avanti comunque e autonomamente, è stata giudicata ostile dall’esecutivo. Ora la battaglia tra le parti è rientrata e l’ex monopolista, controllato dai francesi di Vivendi (del finanziere bretone Vincent Bollorè), è impegnato nella messa a punto della nuova architettura aziendale.

Qual è la situazione della fibra in Italia

Secondo le stime di Infratel, nel 2020 il livello di copertura della banda ultra larga sarà del 21,7% per le connessioni oltre i 100 mega e del 59,9% per quelle oltre i 30 mega. Il 18,5% delle unità immobiliari, invece, non disporrà di internet ultraveloce. Uno scenario poco incoraggiante anche perché la consultazione Infratel effettuate nel 2017 su 19 milioni di numeri civici in tutta Italia nelle aree grigie e nere (quelle in cui gli operatori sono finora intervenuti con programmi propri di infrastrutturazione o che lo faranno nei prossimi tre anni) ha fatto emergere nuove «aree bianche», vale a dire quelle dove nessun operatore di tlc intende investire per portare la rete a banda ultralarga. «Queste nuove aree bianche potrebbero essere oggetto di nuovi interventi», ha spiegato nelle scorse settimane l’amministratore delegato di Infratel, Domenico Tudini.

La situazione non si sposa con gli obiettivi dell’Agenda digitale europea 2020, secondo cui tutta Italia deve essere coperta con banda ultra larga entro i prossimi anni. Gli obiettivi per ora non sono a portata di mano. In generale per ora, come riporta il sito di Infratel, accede alla banda ultra larga da 100 Mb il 4,4 per cento della popolazione (il 24 per cento in Europa), a quella da 30 Mb il 41,7 per cento (il 76 per cento in Ue). La popolazione con accesso alla banda da 2 a 20 Mb è invece il 99,1 per cento.

Ricambio ai vertici e normalizzazione

La connessione tra lo scontro per la banda ultralarga e il ricambio ai vertici di Telecom è stata smentita. Ma di sicuro Vincent Bollorè non ha alcuna intenzione di proseguire una guerra con il governo italiano su questo tema. L’uscita di Flavio Cattaneo, che è rimasto alla guida di Tim per poco più di un anno, potrebbe permettere comunque una normalizzazione nei rapporti tra le parti: è possibile che in questo modo venga aperta una nuova fase, da cui potrebbero trarre benefici soprattutto gli italiani.

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